di ANTONIO GOZZI
La triste vicenda del Covid ci ha obbligato a riconcentrarci sui temi sanitari e della salute pubblica. Abbiamo visto sotto una nuova luce e quasi con una lente di ingrandimento lo stato delle strutture e dell’organizzazione della sanità nel nostro Paese comprendendone meglio virtù, vizi, ritardi e contraddizioni.
Le virtù sono ascrivibili soprattutto al personale medico e paramedico ospedaliero che in questi due anni di pandemia è stato il vero protagonista della resistenza al virus con comportamenti, dedizione e sacrifici spesso eccezionali.
Anche la gestione commissariale della pandemia operata dal Governo Draghi attraverso l’opera del generale degli Alpini Figliuolo è stata all’altezza del compito.
Medici e infermieri sono stati celebrati per l’opera straordinaria svolta soprattutto nei momenti durissimi del 2020. Occorre che dalle celebrazioni si passi ai fatti con un riconoscimento dei meriti da parte dello Stato che non sia meramente simbolico.
Vizi, ritardi e contraddizioni della sanità italiana sono sotto gli occhi di tutti. In particolare la situazione sanitaria e ospedaliera nazionale si è mostrata in tutta la sua tradizionale variegata diversità territoriale, laddove a isole di eccellenza strutturale si alternano situazioni arretrate, inefficienti e bisognose di forti interventi di risanamento, ristrutturazione e rilancio che negli anni non sono stati fatti.
Senza essere un esperto e quindi senza pretesa di dare insegnamenti ad alcuno mi limito a una serie di riflessioni che mi hanno accompagnato lungo questi due anni difficili, nei quali spesso mi è capitato di misurare e analizzare la situazione sanitaria italiana secondo la mia cultura di uomo di economia e di azienda.
La necessità di utilizzare al meglio risorse scarse, la complessità organizzativa e gestionale dei servizi, il ruolo cruciale delle persone nello svolgimento di questi servizi, l’impatto dell’innovazione tecnologica sono tutti elementi che in qualche modo rimandano a una cultura economica.
Le questioni riguardano sia la domanda che l’offerta di sanità.
Iniziamo dalla domanda.
Accanto alla tradizionale domanda sanitaria legata alla salute e alle malattie della popolazione l’Italia, come peraltro il resto d’Europa, vive una situazione che si va rapidamente modificando. Siamo colpiti da una terribile crisi demografica dove al crollo della natalità corrisponde un forte e progressivo invecchiamento della popolazione. Una popolazione più anziana è una popolazione più fragile e più debole, e necessita di maggiori interventi e sostegni non solo economici ma anche sanitari.
La demografia è una scienza sufficientemente esatta, consente cioè di fare previsioni attendibili. Gli scenari di invecchiamento progressivo della popolazione sono sotto gli occhi di tutti da tempo e avrebbero consentito un’adeguata preparazione e programmazione che purtroppo non vi sono state.
Il primo obiettivo ovviamente è di far invecchiare la gente il meglio possibile affinché abbia sempre meno bisogno di cure e di ospedalizzazione. Ciò si ottiene innanzitutto con stili di vita migliori e quindi con un importante sforzo educativo. La medicina del territorio e preventiva deve svolgere, come vedremo, un ruolo strategico al riguardo, ed operare con interventi di primo livello volti ad evitare quanto più è possibile l’ospedalizzazione dell’anziano.
Una popolazione anziana richiede inoltre importanti interventi di riabilitazione e questo tipo di interventi incrocia e incrocerà sempre di più biotecnologie, robotica e innovazione in generale. Come vedremo, e come già indicato da più parti, la Liguria ha e avrà molto da dire in futuro al riguardo, non solo perché siamo la popolazione più anziana d’Italia, ma anche perché abbiamo l’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) che lavora da tempo su questi temi. L’ipotesi dell’Ospedale di Erzelli come laboratorio di ricerca collegato all’IIT su riabilitazione e cura è una delle più interessanti fino ad oggi formulate.
Un secondo elemento che condizionerà sempre di più in futuro la domanda sanitaria sarà rappresentato probabilmente dalla ricorrenza di situazioni come quelle vissute con la pandemia. Una Terra con sempre più abitanti e sempre più globale è un contesto nel quale i rischi di questo tipo si allargano e tenderanno a ripresentarsi.
Non sarà possibile farsi trovare impreparati come è avvenuto con il Covid 19. Oggi le mascherine sono disponibili ma vi ricordate quando nel 2020 all’inizio della pandemia era impossibile trovarle? Vi ricordate la mancanza di ventilatori e di attrezzature per terapie intensive?
Non farsi trovare impreparati comporta grandi investimenti ma anche una flessibilità organizzativa che è difficile per le strutture complesse specie se pubbliche. Bisogna essere capaci di raddoppiare o triplicare in poco tempo le terapie intensive, ad esempio, e questo lo si fa con la disponibilità di macchinari ma soprattutto con la disponibilità di personale qualificato oggi grandemente insufficiente.
La disponibilità di medici e personale sanitario sarà una delle grandi sfide del futuro. La carenza attuale, sempre più grave, può essere superata solo riconoscendo a medici e infermieri uno status sociale ed economico molto migliore dell’attuale.
Queste considerazioni ci portano a riflettere sull’offerta sanitaria.
Come detto una sanità in gran parte costituita da ospedali non moderni richiede ingentissimi investimenti in strutture ma anche in capitale umano. Purtroppo negli anni dell’austerità si sono fatti tagli importanti sugli investimenti pubblici di ogni tipo e anche in su quelli in sanità. Il ritardo negli investimenti ha provocato in molte situazioni quelle carenze e quel degrado che si incontrano oggi non soltanto in alcuni ospedali del Sud.
Il tema della disponibilità di risorse finanziarie è quindi determinante. E qui le cose non vanno bene.
Anche in questa fase di interventi straordinari non sembrano esservi molte risorse per la sanità. Rifiutati i 30 miliardi di euro del Mes ai tempi dei Governi Conte primo e Conte secondo anche nel Pnrr non vi sono molte risorse destinate alla sanità. La salute è la sesta e ultima missione di cui parla il Piano.
I propositi sono ambiziosi: un efficace miglioramento del Sistema Sanitario Nazionale per rendere le strutture più moderne, digitali e inclusive, garantendo equità di accesso alle cure, rafforzando la prevenzione e i servizi sul territorio, promuovendo la ricerca.
Lo stanziamento non è pero strabiliante: 7,5 miliardi di euro sui 222 circa del totale previsto per il Pnrr più il Fondo complementare; una quota quindi che non supera il 3,3% della disponibilità totale.
I 7,5 miliardi di euro previsti andranno spesi: 4 sulla casa come primo luogo di cura, assistenza domiciliare e telemedicina; 2 su case della comunità e presa in carico della persona; 1 su rafforzamento dell’assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture (Ospedali di Comunità); 0,5 su salute, ambiente e clima.
Lodevole il focus sulla prevenzione e sull’assistenza a casa, importantissima per una popolazione sempre più anziana; ma poco o niente vi è sulle strutture ospedaliere i cui interventi di modernizzazione, efficientamento e riqualificazione restano tutte a carico del Bilancio dello Stato, e cioè di quella fonte di finanziamento che è stata progressivamente ridotta nel tempo.
La scarsità storica di risorse pubbliche a disposizione evoca inevitabilmente il tema dei capitali privati nei sistemi sanitari.
Negli ultimi anni specie in Lombardia accanto alle tradizionali aree di presenza di capitali privati (laboratori di analisi e case di cura per anziani) vi sono stati significativi investimenti sempre privati anche in strutture ospedaliere qualificate e di alto livello.
Il ‘modello lombardo’ fatto di grandi ospedali concentrati con significative presenze di capitali privati e sempre minor ruolo della medicina territoriale, modello per molti anni portato ad esempio di qualità ed efficienza, non ha dato risultati straordinari nel contrasto alla pandemia. Si è guardato alla migliore risposta di altre regioni,Veneto su tutte, laddove vi è stata nel tempo una minore concentrazione di strutture ospedaliere e una più efficace tradizionale presenza della medicina territoriale e dei medici di famiglia.
Un ragionamento da riprendere e sviluppare è quello relativo a quali siano le aree di sanità su cui ha senso l’intervento dei privati e quali no. Al riguardo si incrociano questioni fondamentali quali: l’efficienza delle prestazioni e della spesa pubblica necessaria per averle, l’equità di accesso alle cure, la possibilità delle strutture pubbliche di potersi organizzare con la stessa flessibilità ed efficienza di quelle private, liberandosi da pastoie burocratiche e sindacali ormai insopportabili.
Ma anche i temi dell’innovazione tecnologica, delle biotecnologie, della ricerca applicata alla salute ci chiedono di rileggere il rapporto tra pubblico e privato, tra Stato e mercato nella riorganizzazione futura dei sistemi sanitari.
La sensazione che ho è che sia possibile, sulla base di assunzioni chiare e trasparenti, trovare un equilibrio virtuoso.
In Liguria e nel Tigullio stiamo sperimentando grazie all’opera e all’impegno del Comitato Assistenza Malati un modello di intervento dei privati nella sanità pubblica del tutto nuovo e oltremodo interessante. Non vi si chiede la gestione convenzionata di servizi sanitari ma si finalizzano ingenti donazioni a scelte di programmazione sanitaria volte alla qualificazione e efficientizzazione di strutture ospedaliere pubbliche. Un modello simile a quello che duecento anni fa portò anche in Liguria alla nascita delle grandi strutture ospedaliere i cui padiglioni molto spesso furono finanziati con opera caritatevole da famiglie abbienti del territorio.
Creare competizione per la sempre migliore qualità ed efficienza delle strutture sanitarie pubbliche, che verranno premiate o meno da finanziamenti dedicati di fondazioni e di privati, potrebbe essere un ulteriore strumento capace di allargare le risorse disponibili e premiare l’efficienza e il merito.