di SABINA CROCE
Tra i temi che agitano questa convulsa campagna elettorale mi pare che poco spazio venga dato, da parte di quasi tutti i partiti, alla questione della sanità.
Dopo mesi di commenti sull’inadeguatezza della risposta sanitaria durante la fase acuta della pandemia e poi sugli strascichi di quest’ultima sulla ripresa dell’attività routinaria (ospedali che sospendono le liste d’attesa, che esportano interventi su altri ospedali o che operano di notte, ne abbiamo letto anche in questi giorni) ci si aspetterebbe di sentire qualcosa di più sulle proposte in materia dei vari partiti e coalizioni. Invece, il tema sembra scivolato in seconda linea.
A me invece il tema in questione interessa moltissimo, e non solo, o non tanto perché ho lavorato tutta la vita in questo settore, ma soprattutto perché appartengo ad una fascia di età in cui l’eventualità di doversi avvalere di prestazioni sanitarie si fa di anno in anno più concreta: vale per me così come per tanti altri concittadini di una Regione senescente più ancora del Paese intero, che già non brilla per giovinezza.
Dovremmo quindi tutti preoccuparci di quale tipo di sanità ci troveremo davanti nei prossimi anni o decenni. E pensarci per tempo, perché in questo settore le bacchette magiche hanno meno fortuna che in altri. La sanità che vogliamo va costruita con una visione chiara mettendo oggi le premesse per costruire qualcosa di valido domani, o dopodomani. Pertanto mi pare che quando andremo a votare dovremmo aver dato un’occhiata alle proposte dei vari partiti in tema di sanità.
Il servizio sanitario nazionale che è stato una grande conquista degli anni ’80, quello che tutto il mondo ci invidiava, oggi non si regge più. In un certo senso, si può dire che è stato vittima del suo successo: l’aspettativa di vita è salita così tanto, le capacità di mettere una pezza, farmacologica o chirurgica, a condizioni patologiche le più varie, si è talmente elevata che oggi ci sono troppi anziani da curare, troppe terapie impossibili da negare; e i fondi per la sanità non riescono a coprire le esigenze di tutto questo gerontocomio diffuso che siamo diventati.
Le soluzioni trovate sono stati da una parte i tagli, dall’altra la concentrazione delle occasioni di cura in grandi centri polispecialistici, nel migliore dei casi di eccellenza, spesso affidati a privati nella convinzione di ottenere una maggiore efficienza.
Riguardo alla seconda soluzione, pare a me che se è certamente adatta ai grandi centri urbani, mal si attagli alla grande maggioranza del territorio italiano, fatto di piccole e medie città, di paesi, di territori montani e campestri spesso isolati. Una peculiarità che anche se può creare dei problemi oggi ci appare più come una risorsa da valorizzare che come un ostacolo da rimuovere. E che però va sostenuta con interventi che facilitino la vita degli abitanti, come appunto presidi sanitari e scolastici ed infrastrutture.
E riguardo ai tagli, che sono sempre dolorosi e alla lunga si rivelano un autogol (non parlo dei tagli agli sprechi, naturalmente, ma di quelli alle risorse ) io avrei un’altra idea.
L’unico modo valido di spendere meno nelle cure è quello di avere meno persone da curare. E in un paese che invecchia questo significa mantenere le persone non solo vive più a lungo, ma più a lungo in salute. Significa lottare contro le malattie croniche in maniera capillare e personalizzata, esaltando le azioni di educazione ad una vita sana, di prevenzione delle patologie e delle loro complicanze con il lavoro diretto sul paziente.
Certo, convincere le persone ad alimentarsi correttamente, a smettere abitudini di vita e consumi dannosi, a svolgere un’adeguata attività fisica, mentale e relazionale è più faticoso che prescrivere qualche pillola (che è poi la soluzione prediletta anche dai pazienti, ma non la più felice), ma i risultati sono premianti.
E chi può fare questo da un grande ospedale lontano? Il grande ospedale lontano deve servire quando tutto il resto è fallito.
Il grosso di questo lavoro deve essere svolto da una medicina di prossimità sempre più efficiente, potenziata ed incoraggiata. Oggi tra l’altro la telemedicina può essere un grande sostegno per il medico di prossimità.
Il modello del grande ospedale superspecialistico, se è indispensabile per chi ha patologie gravi e non altrimenti curabili, ha comunque dei limiti che possono essere superati solo dalla compresenza accanto al paziente di un medico di famiglia che lo conosce, che ne conosce abitudini, patologie, familiarità, lo segue nelle terapie e lo orienta nelle scelte.
Se oltre a prolungare la vita delle persone riusciremo a mantenerle in salute, ad ottenere una longevità sana, avremo una popolazione attiva più a lungo, più utile a se stessa a agli altri e minori costi per l’intero servizio sanitario.
E a proposito di costi, siccome in questi frangenti ogni euro del Pnrr verosimilmente andrà a finire altrove, io spero che per il Ssn ci si convinca finalmente a chiedere il famoso Mes.