di DANILO SANGUINETI
Definire Silvia Salis la ‘Mary Poppins dello sport italiano’ (la ‘praticamente perfetta’) viene spontaneo: brava, intelligente, bella, trovarle un difetto è impresa disperata, agonista senza macchie, campionessa quando era agonista, prima della classe da dirigente, a suo agio con i media, resiliente alle lusinghe del glamour (pur avendo le physique du role), sensibile al richiamo della settima arte tanto da scegliere come compagno di vita un regista cinematografico (Fausto Brizzi).
Una ragazza che rifiuta il mainstream, che non ha paura di andare controcorrente, capace di farsi apprezzare tanto dal Palazzo quanto da chi ne rimane fuori, donna di lotta e di governo, vicepresidente vicario del Coni, erede di Giovanni Malagò e, cosa che in Italia ha una valenza anche superiore all’intero lotto delle doti sopra elencate, baciata dalla sorte. Presa sotto la sua ala la spedizione italiana a Tokyo (vice capo delegazione), ha assistito alla più straordinaria giornata vissuta dall’atletica italiana dalla prima Olimpiade ad oggi.
Domenica 1° agosto due ori in 20 minuti, due successi da leggenda, mai ottenuti prima nella specialità regina dei concorsi (il salto in alto) e nella gara regina dei Giochi tout court, i 100 metri. Tamberi e Jacobs sono diamanti purissimi che Lady Silvia porterà per sempre incastonati al suo braccialetto di timoniera dello sport italiano. Tra i capi del Coni oggi e potenziale leader dei leader domani.
Nella stessa giornata era in piazza Caprera a Santa Margherita Ligure per il ciclo di incontri ‘Aspettando il G20’. “Che emozione indicibile – spiega – ero a Tokyo e vi posso dire che c’era un’atmosfera meravigliosa a casa Italia. L’Italia sta andando forte. In tutte le discipline. Certo, io vengo dall’atletica e queste due medaglie mi hanno stupito: mi aspettavo, ci aspettavamo il rilancio del movimento, questo trionfo va oltre ogni aspettativa”.
Un momento perfetto. “Una sceneggiatura da film (il marito era in platea, ndr), l’abbraccio tra i nostri due campionissimi, con il tricolore sulle spalle, l’intesa tra Tamberi e l’altro atleta per dividersi la medaglia. Emozioni indescrivibili”.
Potrebbe essere il momento della svolta. “Il contagio, una parola che in questi mesi ha avuto un’accezione solo negativa, in questo caso torna positivo. Due ori che daranno una scossa, non solo alla nazionale di atletica, all’intera spedizione. È un potenziale volano per l’intero sport italiano, oso dire per il nostro paese. Abbiamo inviato un’immagine positiva oltre che vincente, l’amicizia e la sportività nei gesti dei due vincitori sono un’immagine fortissima”.
Peccato per le limitazioni anti Covid. “C’è un problema a Tokyo, inutile negarlo, purtroppo non si poteva fare altrimenti. Auguro solo che i ragazzi possano vivere altre esperienze a cinque cerchi con un altro clima attorno al Villaggio e alle gare. Senza pubblico e senza possibilità di vivere il paese ospitante perdi qualcosa”.
Lei lo sa bene, lo ha provato per due volte. Le sue convocazioni olimpiche fanno parte di quella valanga di premi e riconoscimenti, un’unanimità di apprezzamenti che avrebbero stroncato o quanto meno preoccupato anche il più tosto tra i competitor, non lei che è ‘tougher than the rest’.
Silvia Salis è l’incarnazione della new wave femminista, che non rivendica: assume le responsabilità e le gestisce al meglio. Il segreto del suo successo sta nella sua stessa storia, come orgogliosamente racconta. “Vietato improvvisare quando aspiri a ruoli di rappresentanza. Non ci si inventa sul momento. Io mi sono trovata davanti a un bivio diverse volte e il merito che mi riconosco è quello di aver deciso senza esitazioni. Preparavo la terza Olimpiade e sono incappata in un infortunio serio, dal quale faticavo a guarire. Non ho voluto intestardirmi, chiesi al medico che mi curava ‘Tornerò come prima?’ e mi rispose ‘No, mi dispiace’. E capii. La chiusi lì. ‘Allora smetto’”.
E senza esitare iniziò la nuova scalata. Prima alla Federatletica poi alla Giunta Nazionale del Coni: “Ho studiato, mentre ero dirigente mi sono laureata in Scienze Politiche con una tesi sulle Federazioni Sportive. Ed ecco il terzo bivio. Ho 35 anni, e dopo un quadriennio nel Consiglio Nazionale del Coni e nel Consiglio Nazionale della Fidal, ho ritenuto giusto mettermi di nuovo alla prova. Lo ho fatto iscrivendomi alle elezioni come dirigente non più in quota agonisti”.
Il che implica confrontarsi non più con ‘colleghi’ incontrati sino a poco tempo prima negli stadi di mezzo mondo ma con presidenti e scafatissimi ras delle varie Federazioni. Nemmeno a dirlo Salis ha stravinto, risultando la più votata tra gli eletti in Giunta, conquistandosi sul campo il ruolo di presidente vicario del Coni, incaricata di reggerne le sorti in caso di assenza o impedimento di Malagò.
“Penso che mi abbiano premiato per quanto mostrato nei quattro anni di lavoro nel team del presidente Coni. Insieme abbiamo affrontato sfide di ogni tipo: le riforme epocali decise dal Governo, prima tra tutte la creazione di Sport e Salute, poi la battaglia per ottenere l’assegnazione dei Giochi Invernali all’Italia, infine l’inusitata crisi per la pandemia che ha messo sotto incredibile pressione il nostro mondo”.
La sua storia è tanto bella da sembrare un film americano, quello della self made woman che emerge dal niente e diventa una star. Una caparbietà che si coglieva sin dalle sue scelte iniziali. Muove i primi passi da atleta nel campo di Villa Gentile a Genova, suo padre Eugenio era il custode dello storico impianto del capoluogo. Sino a 9 anni si cimenta nel salto in lungo. Ha un personale di 3,70 metri che la segnala ai tecnici ma a 13 anni viene notata da Walter Superina che la convince a provare la sua specialità, il martello, per anni negato alle donne perché ritenuto troppo mascolinizzante…
Silvia somma due primati: risultati a raffica e lo fa senza perdere un’oncia della sua grazia, senza mettere su decine di chili, vince e rivince: dieci titoli nazionali, solo Ester Balassini ha fatto meglio, imbattuta dal 2010 al 2015, due qualificazioni olimpiche, 2008 Pechino e 2012 Londra. La medaglia tanto sognata non arriverà mai. Nel 2016 il serio infortunio sopra citato la obbliga al ritiro.
Passa dalla pedana alla scrivania ma i suoi lanci vanno sempre a primato. Quattro anni alla Fidal, la Federatletica, poi a maggio l’incoronazione al Comitato Olimpico. E adesso è nella cabina di comando di un aereo azzurro che vola altissimo. Tra quattro anni Malagò non sarà rieleggibile. Il suo successore potrebbe appartenere al sesso… debole? Silvia anche su questo ha già le idee chiarissime. Confessa: “Niente discorsi di genere. Sono ormai stucchevoli. Io so che le quote rosa sono servite e servono. In certi ambienti altrimenti non si entra. Ma è tempo di superarle, a questo noi puntiamo. Sono lì perché sono una donna, vorrei essere lì perché sono più brava, degli uomini e delle altre donne. Io voglio opportunità non di aiuto”.
Idee chiare anche su come e dove intervenire. “Lo sport di alto livello è un lavoro. Va esteso il professionismo, non giriamoci attorno. È una battaglia culturale per tutti gli sportivi. E riguarda tutti, ancora una volta senza distinzione di genere. Una battaglia che né il Coni né le Federazioni possono combattere da soli, occorre l’intervento del Governo. Vorrei che non solo in queste giornate di esaltazione ci si ricordasse che cosa è lo sport per un paese, che sacrifici fanno le donne e gli uomini per arrivare alle Olimpiadi”.
Lei, da ex esponente di una specialità considerata troppo brutale per delle fanciulle, sa molto bene di cosa parla. “Io voglio rivolgere un appello ai genitori, segnatamente alle mamme. Io troppo spesso ho sentito che esclamavano ‘Judo? No, le rovinerebbe!’. Mi chiedo chi e che cosa rovini una disciplina che richiede armonia, concentrazione, autocontrollo. Fate fare alle vostre figlie gli sport che vogliono. Non esistono discipline maschili o femminili. Sono queste classificazioni e questi steccati che creano discriminazioni, instillano concetti sbagliati su cosa la donna può o non può fare. Pugilato, calcio? Perché no? Insegnate alle vostre bimbe che possono fare tutto, magari non arriveranno alle Olimpiadi, ma saranno persone consapevoli delle loro possibilità. Pensate a una donna che solleva 120 chili o che corre su una pista con un velo. Perché lo sport è un catalizzatore, è un potente vettore di cambiamento, regala immagini che fanno per una causa più di centinaia di discorsi”.
Lucida e affilata come una lama. Nessuna contorsione dialettica, dritta al punto, come un martello scagliato con forza, nell’aria. Confessò: “Per avere i voti bisogna essere credibili e io mi sforzo di esserlo. Gli attestati ricevuti me lo hanno confermato. Volevo una medaglia olimpica, non l’ho avuta, l’ho accettato. Capire se si è in grado di arrivare a un obiettivo e accettare comunque il verdetto è la lezione più grande che mi ha dato lo sport”.
Ne ha fatto di strada la bimbetta che seguiva il papà nelle quotidiane mansioni di custode del campo di atletica Villa Gentile a Genova, la antica casa dei saltatori, corridori, marciatori, lanciatori liguri. “Ho respirato atletica sin dalla tenerissima infanzia, amo lo sport, vivo per esso e credo che questo lo avverta chiunque parla con me”. Sa da dove viene e proprio per questo sa perfettamente dove andrà. Ancora più in alto.