di ENRICO LASTRICO*
La quantità totale di rifiuti speciali esportata nel 2016 è pari a 3,1 milioni di tonnellate, di cui il 67,4% (2,1 milioni di tonnellate) è costituito da rifiuti non pericolosi ed il restante 32,6% (1 milione di tonnellate) da rifiuti pericolosi.
Anche nel 2016, i maggiori quantitativi di rifiuti speciali esportati all’estero sono stati destinati alla Germania, complessivamente 850 mila tonnellate (il 27,1% del totale), seguita da Cina (260 mila tonnellate), Francia (247 mila tonnellate), Austria (227 mila tonnellate), ma anche Usa, Israele, India, Corea, Marocco, Pakistan, Hong Kong, Thailandia, Indonesia: i rifiuti speciali sono stati esportati nel 2016 in oltre trenta paesi nel mondo!
Questi fatti ci riportano al concetto espresso in precedenza di assoluta necessità di possedere a livello nazionale un sistema impiantistico efficiente per chiudere degnamente il ciclo dei rifiuti che produciamo. Senza quello, come si vede, aumentiamo la circolazione dei rifiuti e generiamo un conseguente inquinamento globale dovuto al notevole consumo di energia per spostarli da una parte all’altra (emissioni in atmosfera) e non siamo certi della loro corretta gestione soprattutto se destinati a paesi meno attenti all’aspetto ambientale.
Se ci sorprendono l’articolazione e la complessità della gestione dei rifiuti, è altrettanto sorprendente scoprire che, nonostante un sistema impiantistico estremamente carente, riusciamo anche ad importare rifiuti speciali per gestirli nei pochi impianti efficienti di casa nostra: infatti nel corso del 2016 abbiamo importato 5,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali di cui 137 mila tonnellate sono pericolosi. Si tratta prevalentemente di rifiuti di legno, ferro e metalli ed il 38% del totale proviene da impianti di trattamento dei rifiuti, ma ci sono anche terra e rocce e rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento di metalli e plastica.
Come abbiamo visto, la gestione dei rifiuti in Italia è estremamente ‘fluida’ ed il suo inquadramento in un sistema ordinato risulta estremamente complesso per innumerevoli fattori. Il risultato di questa situazione è che si lasciano ampi spazi di manovra a gestioni dubbie o malavitose come emerge dal Rapporto Ecomafie 2018 diLegambiente.
Dal 1997 Legambiente racconta le aggressioni criminali alle risorse ambientali del nostro Paese e mai fino ad oggi sono stati effettuati tanti arresti per crimini contro l’ambiente come nel 2017, mai tante inchieste sui traffici illeciti di rifiuti; spiccano infatti le 538 ordinanze di custodia cautelare emesse per reati ambientali nel 2017 (139,5% in più rispetto al 2016). In particolare per quanto riguarda i trafficanti di rifiuti: 76 inchieste per traffico organizzato (erano 32 nel 2016), 177 arresti, 992 trafficanti denunciati e 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati (otto volte di più rispetto alle 556 mila tonnellate del 2016). Il settore dei rifiuti è quello dove si concentra la percentuale più alta di illeciti, che sfiorano il 24%.
Il ruolo centrale della politica non è quello di generare ricchezza, ma di stimolare la crescita dei sistemi; per migliorare la situazione o risolvere la questione, non dovrebbe cavalcare populismi ambientalisti e falsi miti, ma creare le condizioni socio/tecnico/economiche per la realizzazione delle infrastrutture necessarie (impianti) e stimolare la ripresa di un mercato delle materie seconde che è al collasso. I consorzi obbligatori (CONAI, ecc.) rischiano la bancarotta perché da un lato devono riconoscere per legge (accordo ANCI-CONAI) i corrispettivi ai comuni per i rifiuti differenziati raccolti, ma dall’altro non riescono a vendere i materiali ricevuti dai Comuni perché il mercato non è ricettivo e le aste vanno addirittura deserte (v. asta COREVE del 22 ottobre 2018 dove sono state aggiudicate solo il 9% delle tonnellate previste: 12 mila tonnellate vendute su135 mila tonnellate messe in vendita) oppure il mercato viene parzialmente saturato dalle importazioni: sorprendentemente si scopre che nel 2017 abbiamo importato 80 mila tonnellate di imballaggi di vetro, 60 mila tonnellate di imballaggi in plastica, 11 mila tonnellate di carta e cartone, ma anche 32 mila tonnellate di abbigliamento e 15 mila tonnellate di prodotti tessili!
Da questo panorama sconcertante emerge sempre più la necessità di una ‘regia’ generale a livello nazionale sulle strategie di gestione dei rifiuti, sia urbani che speciali, che possa superare gli interessi locali a vantaggio dell’intera comunità con una visione organica sovra regionale anche impiantistica.
La buona notizia è che la Legge di Bilancio di previsione 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205), ha attribuito all’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico (Aeegsi) compiti di regolazione anche nel settore dei rifiuti e l’Autorità diventa ARERA, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. I compiti assegnati ad ARERA saranno esercitati con gli stessi poteri e quadro di principi finora applicati negli altri settori già di competenza dell’Autorità (elettricità, gas, sistema idrico integrato e teleriscaldamento) e, come dice il testo della legge, avranno natura di regolazione e controllo in materia di rifiuti “al fine di migliorare il sistema di regolazione del ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati, per garantire accessibilità, fruibilità e diffusione omogenee sull’intero territorio nazionale nonché adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione, armonizzando gli obiettivi economico-finanziari con quelli generali di carattere sociale, ambientale e di impiego appropriato delle risorse, nonché di garantire l’adeguamento infrastrutturale agli obiettivi imposti dalla normativa europea, superando così le procedure di infrazione già avviate con conseguenti benefici economici a favore degli enti locali interessati da dette procedure”.
La cattiva notizia è che il soggetto regolatore incaricato ARERA è ancora lontano da poter definire strategie efficaci perché sono ancora in corso modifiche organizzative e gestionali per avviare tutte le necessarie attività funzionali alla prima operatività delle nuove competenze e una prima ricognizione della situazione attuale del settore e della segmentazione delle singole attività nel ciclo dei rifiuti.
La politica sta finalmente arrivando, anche se molto lentamente, ad una conclusione che sembrava ovvia agli addetti ai lavori da molto tempo; resta da vedere se effettivamente il soggetto regolatore eserciterà appieno i suoi compiti con profitto. Occorre dire che, dati gli aspetti analitici, progettuali, autorizzativi, normativi, burocratici e, non ultimi, economici in gioco, prima di vedere qualche risultato tangibile occorrerà molto tempo.
Nel frattempo mancano gli impianti, le norme non favoriscono l’imprenditoria privata per la loro realizzazione, il pubblico non è in grado di investire economicamente sulle infrastrutture necessarie, si continua a produrre sempre maggiori emissioni di CO2 in atmosfera dai trasporti per l’eccessiva circolazione dei rifiuti e le tasche dei cittadini sono sempre più gravate da costi nascosti dei quali molti di noi non ne sospettano neppure l’esistenza, ma che purtroppo sono l’ago della bilancia economica del sistema integrato di gestione dei rifiuti.
La soluzione del problema non è dietro l’angolo, ma, fortunatamente, si sono presi negli ultimi anni e si stanno attualmente prendendo provvedimenti normativi da parte di numerosi stati e dall’Europa che daranno progressivamente i risultati attesi; il percorso purtroppo non sarà rapido perché coinvolge aspetti sociali, tecnologici ed economici consolidati che dovranno necessariamente cambiare per adeguarsi alle nuove esigenze.
(2/fine)
Fonti:
ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale
Rapporto Rifiuti Speciali – Edizione 2018
Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2017
Legambiente
ECOMAFIA 2018 – Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia
* (l’autore è un esperto di analisi, progettazione, gestione e commercializzazione di servizi ambientali e di igiene urbana)