di ALBERTO BRUZZONE
Arriva il ricorso al Tar Liguria contro il progetto di depuratore di vallata sulla Colmata a mare di Chiavari. Lo firmano quattro cittadini e una società che ha gli uffici nella zona, ovvero l’azienda Virtual srl, che si occupa di web e sviluppo digitale ed è guidata da Marco Lanata.
La richiesta di annullare il progetto del depuratore e tutte le autorizzazioni a esso legate arriva dagli avvocati Enrica Croci e Francesco Turrini Dertenois, entrambi del Foro di Genova. L’atto chiama in causa Regione Liguria, Città Metropolitana di Genova, Conferenza dei Servizi, Comune di Chiavari, Asl 4 Chiavarese, Agenzia del Demanio – Direzione Regionale della Liguria e, naturalmente, la società Iren Acqua, che ha l’incarico di realizzare materialmente il contestato impianto di depurazione.
I quattro ricorrenti e la società Virtual delineano in trentatré pagine i motivi della loro contrarietà: “La scelta di localizzare l’impianto davanti al lungomare di Chiavari, in adiacenza al Porto Turistico nonché in parte all’interno del porto stesso (che, è bene ricordarlo, è l’unico della Liguria ad avere la Bandiera Blu) – si legge – è manifestamente irragionevole e inopportuna poiché comporta la presenza di un impianto impattante sotto il profilo paesaggistico e ambientale, nella zona a maggior vocazione turistico-ricreativa del Comune”.
Inoltre, “la decisione di scaricare in mare le acque trattate dall’impianto, implica l’impossibilità di riutilizzarle secondo le indicazioni di matrice europea. Questa esigenza avrebbe potuto essere soddisfatta privilegiando una delle numerose altre opzioni progettuali, come per esempio la localizzazione del depuratore a Leivi”.
Il depuratore di vallata dovrebbe servire i comuni di Chiavari, Lavagna, Cogorno, Leivi, Coreglia, Zoagli, San Colombano, Carasco, Borzonasca, Mezzanego e Ne, “ma il progetto non concerne affatto un impianto volto a depurare le acque reflue di tutti i comuni sopra indicati, in quanto le opere di collettamento dei comuni siti nelle valli Fontanabuona, Sturla e Graveglia non sono state neanche progettate”.
A livello urbanistico, “il progetto ha subìto nel corso dell’istruttoria rilevanti modifiche, finendo per discostarsi dalla previsione iniziale come recepita nel Puc, senza che sia stata attuata alcuna variante allo strumento urbanistico. Inoltre l’opera, prevedendo il posizionamento del camino sulla diga sopraflutti in adiacenza agli ormeggi delle barche e alle strutture per i pescatori, sconfina nel perimetro del Porto Turistico”.
Altro tema è anche “la costruzione di un manufatto lungo più di 300 metri e di un’altezza superiore agli 8 metri, che essendo posizionato a fil di banchina ostacolerà la vista del mare”. E il quadro economico: “Nei documenti progettuali manca un quadro economico unitario dell’opera. Pertanto per stimare il costo del progetto è necessario sommare cinque documenti diversi, il che porta all’importo complessivo di 131 milioni di euro. Questa cifra supera di oltre undici milioni di euro quella stimata dalla Città Metropolitana, ma in realtà in realtà il costo dell’opera completa è ben maggiore considerando sia i circa 9 milioni di euro necessari per il collettamento degli altri comuni, sia il fatto che i quadri economici prodotti fanno riferimento al prezzario 2020, e contengono dunque cifre inattuali”. Extra costi che, a ben vedere, finiranno nelle bollette di tutti i cittadini. Ma ecco i dettagli del ricorso, punto per punto.
Le opere di collettamento delle valli non progettate
Una volta individuata l’area di Colmata per la costruzione del depuratore, come si legge nel ricorso, “è emerso un aspetto evidentemente prima non adeguatamente ponderato, ovvero l’estrema difficoltà di realizzare le opere di collettamento relative alla Valle Fontanabuona, stante la necessità di posare le condutture o lungo il Fiume Entella o nella parallela via Parma, strada intensamente trafficata anche perché costituente l’unico collegamento tra Chiavari e la Valle Fontanabuona. Pertanto la Società, anziché rivedere la valutazione comparativa del progetto con altre alternative (quale ad esempio lo “scenario n. 1” che contemplava il revamping [ammodernamento] del depuratore esistente di Preli), ha semplicemente stralciato il collettamento dianzi esaminato dal progetto. Si noti che la Società ha continuato a denominare il progetto ‘Impianto di depurazione delle acque reflue di Chiavari in zona Colmata a servizio dei Comuni di Chiavari, Lavagna, Cogorno, Leivi, Coreglia, Zoagli, San Colombano, Carasco, Borzonasca, Mezzanego e Ne’, ma in realtà ha progettato unicamente il collettamento tra Chiavari e Lavagna per risolvere il problema derivante dall’infrazione comunitaria”.
La violazione del Puc di Chiavari e il villaggio della pesca
Secondo il ricorso, “il Piano Urbanistico Comunale localizza il depuratore all’interno della cosiddetta ‘Colmata’, ovvero di un’area fronte mare, originariamente appartenente al demanio dello Stato e in seguito ceduta al Comune di Chiavari. Questa collocazione comporta il necessario posizionamento del ‘camino’ dell’impianto – ovvero dell’elemento di maggiore pericolosità poiché fonte di cattivo odore e potenziali infezioni batteriche – all’interno della Colmata stessa”. Ma, in realtà, “dopo la prima fase di valutazione istruttoria la Società – plausibilmente proprio per semplificare l’eventuale futuro inserimento del plesso scolastico in zona – ha modificato la conformazione dell’impianto, variandone il perimetro, e spostando il camino fuori dalla Colmata, oltre 100 metri più ad ovest, sul muro paraonde del porto e quindi all’interno del Porto Turistico come individuato dallo stesso Puc. Questa scelta, anche a prescindere momentaneamente dalle implicazioni igienico-sanitarie e logistiche sull’assetto attuale e futuro del porto, avrebbe richiesto una variante del Puc, che invece non è stata attuata”. Peraltro, come noto, “il Comune di Chiavari nel 2011 ha affidato l’ampliamento del Porto Turistico in concessione di costruzione e gestione ad un soggetto proponente che si è impegnato – tra le varie opere ed urbanizzazioni – a realizzare anche le strutture per i pescatori nel punto previsto dal dianzi citato regolamento, in cui il progetto impugnato ha localizzato il camino del depuratore”. Quindi, “anche volendo prescindere momentaneamente dall’evidente assurdità di collocare il punto più pericoloso di un impianto per la potenzialità di rilasciare sostanze pericolose per la salute umana nel luogo ove il pescato dovrà essere venduto alla cittadinanza, è comunque palese la difformità del progetto rispetto alle previsioni urbanistiche concernenti la conformazione attuale e futura delle strutture portuali”.
La violazione della fascia di rispetto di 100 metri
Nel testo del ricorso al Tar si specifica che “il nuovo posizionamento del camino implica che la fascia di rispetto di 100 metri di raggio a protezione della salute umana vada a sovrapporsi ai posti barca del Porto Turistico dati in concessione a privati cittadini. Incomprensibilmente, pur sapendo che attorno alla parte più potenzialmente pericolosa dell’impianto è prescritta una fascia di protezione, le Amministrazioni procedenti hanno consentito alla Società di operare una modifica al progetto che implica di fatto l’inutilizzabilità di parte delle strutture portuali già assentite in concessione”. E ancora: “La mancata considerazione dell’impatto dovuto alla presenza del camino sul molo è particolarmente grave anche perché il Comune – che è concessionario di tutta l’area portuale dal 1973 – ha in più occasioni evidenziato la necessità di valutare l’incidenza del progetto sulle barche ormeggiate”.
Il progetto ha ignorato Provveditorato alle Opere Pubbliche e Capitaneria di Porto
Nel progetto di Iren, “è stato omesso il coinvolgimento del Provveditorato alle Opere Pubbliche Interregionale come richiesto dalla Capitaneria di Porto”. Quindi, “non si comprende come sia stata autorizzata la realizzazione di un impianto che, vista l’automatica creazione di una fascia assoluta di rispetto intorno ad esso, non incide solo sulle concessioni demaniali rilasciate a partire dal 1973 dallo Stato al Comune di Chiavari, come riepilogate nel Progetto di utilizzo comunale delle aree demaniali marittime, ma soprattutto sulla stessa utilizzabilità pubblica del demanio, visto che rende sostanzialmente inagibile una porzione del molo, numerosi ormeggi e lo stesso specchio acqueo”.
Il quadro economico errato
Secondo i legali dei ricorrenti, “in via preliminare bisogna osservare come il costo dell’opera sia difficilmente desumibile dagli atti perché è stato progettato unicamente il collettamento tra Chiavari e Lavagna, e non quello dei Comuni delle Valli Fontanabuona, Sturla e Graveglia, che costituiscono la parte più complessa e costosa del collettamento stesso. Quindi, benché l’opera evochi la depurazione delle acque reflue di Chiavari, Lavagna, Cogorno, Leivi, Coreglia, Zoagli, San Colombano, Carasco, Borzonasca, Mezzanego e Ne, in realtà serve solo i primi due comuni”. E ancora: “La prima difficoltà nello stimare il costo dell’opera deriva dal fatto che nei documenti progettuali manca un quadro economico unitario dell’opera. Pertanto per stimare il costo del progetto è necessario sommare cinque documenti diversi, ovvero i quadri economici delle condotte di scarico a mare, dell’impianto di depurazione, delle opere di difesa del litorale, delle sistemazioni esterne, della condotta di scarico e della fognatura, il che porta all’importo complessivo di euro 131.180.049,88 euro. Questa cifra di per sé supera di oltre undici milioni di euro quella stimata dalla Città Metropolitana. Si deve però aggiungere che in realtà il costo dell’opera completa è in realtà ben maggiore considerando sia i circa 9 milioni di euro necessari per il collettamento degli altri comuni, sia il fatto che i quadri economici prodotti dalla Società fanno riferimento al prezzario 2020, e contengono dunque cifre inattuali. Ad oggi il prezzario 2022 propone importi aumentati del 20-30% rispetto al 2020 a causa della nota congiuntura internazionale che ha fatto lievitare drammaticamente i costi delle materie prime. Quindi l’opera non ha la copertura finanziaria postulata dalla Città Metropolitana”.
La forzatura della Regione
L’ultimo elemento del ricorso: “Nel corso della conferenza dell’8 giugno il rappresentante del Comune di Chiavari ha evidenziato – stante la materiale impossibilità di esaminare centinaia di tavole in un giorno – di non essere in grado di rilasciare il nulla osta al permesso di costruire, e di non avere mai avuto una simile esperienza nell’ambito di una conferenza di servizi; inoltre ha altresì osservato come la Società non avesse prodotto né un quadro economico unitario, né un cronoprogramma complessivo dal quale dedurre la durata dei lavori, e neanche, con riferimento alla parte di demanio da occupare, il necessario modello D1 con l’indicazione dei punti fissi della concessione”. Ma, nonostante questo, “la Regione ha ribadito, con riferimento alle obiezioni sollevate, la necessità di concludere la conferenza e ha infine affermato che ‘sono state rilasciate tutte le autorizzazioni date con le prescrizioni elencate, ma poiché la conferenza risulta chiusa, ulteriori atti successivi non sono da considerarsi legittimi. Il permesso di costruire viene rilasciato in questa sede senza prescrizioni”.