di ALBERTO BRUZZONE
Richin era bello come il sole. Come una giornata di tramontana. Come un bronzo di Riace. Bello e di successo. Con le donne e nella vita. Con lo sport e la famiglia. Un calciatore, un atleta, un uomo di cuore. Un fratello amabile, un cugino straordinario, uno zio indimenticabile.
Un simbolo, ecco. Ieri come oggi.
Un mito come Cleopatra, come le persone che ricorderemo sempre giovani, sempre all’apice, mai con una ruga, un acciacco, un capello bianco.
Questo era Richin Sannazzari, il primo e più famoso giocatore dell’Entella, quando di uguale ad adesso c’erano solo i colori biancocelesti della maglietta, che i fondatori del sodalizio chiavarese avevano voluto identica a quella dell’Argentina, in omaggio ai tanti migranti che andavano e tornavano dalla Riviera di Levante.
E’ una storia di amore, di sacrificio, di impegno, di guerra, di dolore, la sua. Un racconto epico, ad ascoltare le parole dei discendenti di quella famiglia, oggi divisi tra Chiavari e Parigi.
Qui nel Tigullio, se dici Richin, ancora molti lo collegano al celeberrimo calciatore. E la memoria, che i discendenti tengono sempre fresca con grande spirito e passione, contribuisce a rafforzarne quel manto di sacralità che tutti i personaggi mitologici hanno. Come se anche Richin, al pari di Ares, Efesto, Apollo, Atena, Artemide, Afrodite, Ermes e tutti gli altri fosse ‘caro agli Dei’.
Era nato alla fine dell’Ottocento, a Chiavari. Vero nome Enrico. Aveva due fratelli ed altrettante sorelle. La famiglia si occupava di produrre scarpe, ed era indubbiamente benestante.
Erano gli anni in cui nasceva il foot-ball, scritto proprio così, a separare i due termini inglesi. In cui si giocavano le prime partite in piazza Roma a Chiavari, e attenzione: non scendevano in campo solo i bambini, ma per la prima volta pure gli adulti. A rincorrere tutti insieme, metà da una parte e metà dall’altra, quella palla fatta di stracci, o di carta pressata legata con lo spago.
Fu quello, in una Chiavari ancora tanto diversa rispetto a oggi, il primo teatro delle imprese di Richin. Che spesso giocava da solo. Nel senso che aveva un talento superiore alla media, dribblava e scartava tutti, faceva giochi di prestigio con la palla. Bello, spavaldo, ma anche leale e generoso, tanto da diventare un punto di riferimento per tutti.
E allora, con uno così dalla propria parte, perché non iniziare a parlare di squadra? Fu così che, dentro l’armeria Lanata, nacque il primo embrione dell’Entella. Rigorosamente con i colori dell’Argentina.
Correva l’anno 1914.
Il simbolo, nemmeno a dirlo, fu Richin Sannazzari. Il primo a fare gol. A vestire la fascia di capitano. Il primo a tesserarsi. La famosa ‘Tessera Numero 1” che ancora oggi i discendenti custodiscono gelosamente. Il mito c’era da tempo, già oltre piazza Roma. Ma ora era pronto a uscire da Chiavari. Per presentarsi al mondo intero.
Dietro l’aspetto di un Asso di Picche. Il marchio distintivo del campione. O meglio, del Campione.
E pensare che quel vezzo, quel distintivo che si sarebbe portato dietro per l’eternità, era venuto fuori per caso. Come spesso avviene. Durante una partita, nella foga del gioco, Richin si strappò la maglia. Ai tempi, non è che ci fossero quelle di ricambio. Così lui ebbe l’idea di farci cucire sopra una singolare toppa: un asso di picche di feltro nero. Il suo tratto distintivo.
Tutti iniziarono ad applaudirlo e acclamarlo con quel nome: Asso di Picche. Fece anche da modello per una statua, che oggi è ancora sul lungomare di Lavagna. Proprio come un Dio. Il CR7 d’inizio Novecento.
Il periodo non è casuale, perché coincide con una forte instabilità politica in Europa. Quella che portò allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Anche Richin dovette mollare pallone, sport e altre passioni per partire. E andare sul fronte. A combattere ancora, ma con altre armi. Molto meno spettacolari. Molto più dolorose.
La sua vittoria fu tornare vivo, e poter riprendere a giocare a calcio. A fare la sua bella vita. A fare il rentier, per dirlo con la stessa eleganza con cui lui toccava la palla.
Era divino. Ma anche di gran cuore. Con i fratelli e con un cugino in particolare, Aldo (insieme nella foto a sinistra). Al quale aveva confidato tutti i suoi segreti. E al quale, un giorno partendo all’improvviso, aveva lasciato le sue cose più care. Perché sapeva che Aldo sarebbe rimasto a Chiavari. Che gliele avrebbe serbate con cura.
Una bella mattina Richin, all’apice del sogno e della carriera, si alzò e disse che basta. Che era venuto il momento di andar via. Di sparire dall’altra parte del mondo.
Si stabilì in Perù e non si seppe mai il motivo del suo addio. Aldo, morto negli anni Novanta, se lo portò dentro sino alla fine. Senza mai raccontarlo.
Richin continuò a scrivere lettere ai suoi parenti nel Tigullio. A quelli che aveva conosciuto, così come alle persone che non aveva mai visto. Raccontò di essersi sposato, ma di esser rimasto senza figli. E, continuamente, chiedeva notizie della sua Entella. Il primo, indimenticato grande amore.
Oggi sarebbe bello se la città gli tributasse il giusto merito. Magari intitolando a Richin Sannazzari proprio quei campi della Colmata che sono stati da poco ristrutturati e che verranno inaugurati a breve. Sarebbe un regalo di Chiavari verso un suo simbolo. Verso un uomo esistito tanto tempo fa, ma che continua a vivere nel cuore di tutti gli sportivi.
Morto in Perù da anziano. Ma morto giovane per il Tigullio, per la memoria, per tutti noi. Bisogna consegnarlo, ora e per sempre, alla leggenda.
‘Muor giovane colui che al Cielo è caro’, recita un frammento del poeta greco Menandro.
E non puoi non pensare a Richin.
Il Dio del pallone di piazza Roma.