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Giovedì, 1 giugno 2023 - Numero 272

Renzo Dalmaso, una lunga carriera a servizio del volley

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Tra il pugno, alla palla, e la carezza, a uno delle migliaia di miniatleti che ha fatto crescere, scorre un’intera vita dedicata alla pallavolo; a spargere il verbo, in ogni palestra, in ogni condizione, con ogni mezzo. Renzo Dalmaso, un nome che qualunque allenatore sopra gli anta pronuncia con rispetto e che si affretta a insegnare ai più giovani. Maestro di color che sanno nel gioco di squadra più praticato al mondo, quello meno sessista e a maggior diffusione geografica. In dodici lustri ha ricoperto ogni ruolo, dall’atleta al dirigente, ma è stato ed è soprattutto un insegnante, un teorico.


Ha contribuito a disegnare il volley moderno dopo averlo interpretato nella fase eroica: “Il mio incontro con la pallavolo risale al 1958. Eravamo un pugno di studenti dell’Istituto Tecnico di Chiavari, intendevamo allestire una squadra e partecipare ai campionati della zona. Trovammo un campetto di calcio, libero per poche ore, era una macchia di asfalto con i buchi in mezzo, buoni per piantarci i pali e stendere una rete molto ma molto provvisoria. Il tipo di parquet non permetteva quasi nessun movimento, l’attrezzo che usavamo per giocare era un pallone da football in cuoio chiuso da stringhe e permetteva di schiacciare solo usando i pugni. Inevitabile che dopo la prima partita avessimo le nocche sbucciate. Ed erano escoriazioni che non guarivano perché nella partita seguente i graffi tornavano a sanguinare”.
Si fatica solo a immaginare tutto questo, sessant’anni per lo sport sono un’era geologica. “A noi bastarono dodici mesi per capire. La nostra squadretta si fece onore e partecipò ai campionati studenteschi, andammo a Genova, vedemmo che schiacciare con i palmi era ‘consigliabile’. Il  gruppo, formato da 8-9 amici, si allargò, nel 1960 l’inaugurazione della Marchesani, la prima palestra chiavarese pensata e realizzata per gli sport di squadra al coperto, cambiò in positivo il nostro lavoro. Io ero giocatore-allenatore, venivo da Santa Margherita, i compagni rappresentavano l’intero Levante. Il mio spostamento da sotto rete a bordo campo fu progressivo. Nel 1969 a Coverciano presi il patentino di terzo e massimo grado come allenatore, e dopo quattro anni di studio nel 1970 mi laureai all’Isef. Ero pronto per il prossimo step”.
Si fa notare come un coach dalle idee così innovative, arrivando in serie B (quando era la seconda categoria per importanza a partire dall’alto)  potrebbe entrare nel giro professionistico, sceglie invece il settore giovanile. Ha conosciuto Carmelo Pittera, si forma una coppia di teorici che farà la rivoluzione. “Avevamo ben chiaro come nella gestione dei vivai ci fosse da cambiare molto, anzi ogni cosa. Ancor prima che nella tecnica e negli schemi occorreva modificare la mentalità, il modo di rapportarsi con i giovani”.
Presidente della Commissione Nazionale Organizzazione Giovanile Fipav, docente ai corsi nazionali allenatori per il settore giovanile, più volte responsabile del settore giovanile e scolastico della Fips. Autore di testi e guide tecniche rivolte ad allenatori, insegnanti e maestri, crea il ‘Centro Pilota Federale di Minivolley del Tigullio’ e ne fa uno dei tre centri nazionali di sperimentazione che negli anni novanta producono e sviluppano nuove metodologie didattiche, con un occhio particolare per la fascia dell´infanzia e dell’adolescenza.
“Suggerimmo l’uso di palloni, materiali, terreni di gioco tarati sull’età dei mini-atleti. Sino ad allora negli sport di squadra, calcio in primis, si davano ai bambini i palloni dei grandi. Noi proponemmo esercizi e strumenti adatti a un fisico ancora in formazione. Per fare propaganda ci inventammo il ‘volley nelle piazze’, momenti di festa dove i ragazzi si avvicinavano al nostro sport in modo naturale, senza forzature”.
Funzionò, continua a funzionare tanto che le discipline ‘cugine’ si sono rapidamente adeguate. Il cammino di Renzo tornò verso Levante ad inizio del nuovo secolo. “Nasce l’Amis, ed è stato anche qui un successo sorprendente. Oggi che abbiamo unito le forze con l’Admo siamo la società pilota in tutto il Levante, per numeri credo che solo il Rapallo possa essere paragonato a noi. Diciamo la verità, in molti pensavano che la sinergia Chiavari-Lavagna non potesse durare, invece grazie anche all’opera di giovani amici come mio figlio Marco e Simone Cremisio l’intera macchina gira a pieno regime senza che si avverta il minimo scricchiolio. E siamo tornati a essere un modello di settore giovanile al quale guardano anche da fuori regione”.
Il professore allontana con un gesto l’idea del pur meritato passaggio di testimone. “Anche volendolo non me lo consentirebbero ragioni familiari: mia moglie Bruna è il presidente della società, mio figlio Marco uno dei tecnici, sono gli altri due vertici di un triangolo che non potrebbe essere più equilatero. Siamo una famiglia che respira pallavolo, in casa Dalmaso non sappiamo dove terminano gli affetti personali e dove comincia l’amore per questo nostro sport. E poi lo confesso, ogni pomeriggio quando seguo i bambini più piccoli che provano i primi balzi e che abbozzano una schiacciata faccio anch’io un salto, ma nel tempo”.
Si soffia sulle nocche, i segni dell’antica fiamma sono sempre lì.

DANILO SANGUINETI

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