(r.p.l.) Milioni di italiani sono chiamati al voto per il Referendum 12 giugno sulla giustizia ma, a conti fatti, in pochi hanno capito che cosa si vota, perché, e soprattutto, come. I 5 quesiti referendari sono espressi in modo incomprensibile ai più, impedendo di capire le conseguenze di un Si o un No.
Coloro che voteranno anche per le Elezioni amministrative saranno già in cabina elettorale per eleggere i propri rappresentanti quel giorno: a loro quindi verrà consegnato un bel malloppo di schede (sia per le elezioni sia per il referendum).
Tra leggi strane, commi e vocaboli in burocratese, il rischio di non raggiungere il quorum necessario affinché il referendum vanga validato è molto alto, e rischia di vanificare tutto.
Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza, di elencare quali sono i 5 quesiti, riportandoli prima nel linguaggio burocratico in cui sono scritti, per poi sviscerarne il significato concreto con una spiegazione semplice.
Partiamo dal punto comune: domenica 12 giugno (dalle 7 alle 23) le cittadine e i cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimere il proprio voto su un Referendum costruito su più domande. Il tema centrale è la giustizia, e i temi sono molto specifici e tecnici, ad esempio:
- l’esclusione delle elezioni politiche per persone che sono state condannate. Si tratta della Legge Severino;
- l’eliminazione o meno dell’istituto della ‘reiterazione del reato’ (quindi il ripetersi continuo da parte di un individuo della commissione di reati) dall’insieme delle misure cautelari che consentono l’arresto della persona;
- la separazione delle carriere all’interno della magistratura. Quindi la questione dell’impedire o meno a magistrati (chi decide) e pubblici ministeri (chi accusa) di avere la stessa carriera, scegliendo all’inizio se si vuole lavorare come magistrato oppure come pm;
- le pagelle ai magistrati, cioè si chiede all’elettore se vuole che l’operato del magistrato possa essere valutato dai membri di Consiglio direttivo della Cassazione e dei consigli giudiziari, avvocati compresi;
- le nomine dei membri del Consiglio superiore della magistratura (l’organo di governo della magistratura italiana), con riguardo all’obbligo o meno di raccogliere da 25 a 50 firme per potersi candidare al Csm.
Sarà un Referendum abrogativo, cioè una consultazione popolare per capire se gli italiani vogliono mantenere alcune norme già presenti o le vogliono abrogare (quindi cancellare) dal nostro ordinamento
Chi le vuole mantenere in vigore deve rispondere No ai quesiti; chi le vuole cancellare deve rispondere Sì ai quesiti posti nelle schede.
Dai dati del Ministero dell’interno, emerge che il corpo elettorale comprensivo anche degli elettori residenti all’estero, desunto dalla rilevazione semestrale 31 dicembre 2021, è pari a 51.533.195 cittadini di cui: 25.039.273 uomini e 26.493.922 donne. Più di 51 milioni di cittadini quindi potranno recarsi in cabina elettorale.
Hanno infatti diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati (dai 18 anni in su).
Per essere valido, il Referendum deve raggiungere il cosiddetto Quorum: cioè la partecipazione di almeno il 50%+1 degli elettori. Inoltre, per andare in porto e abrogare le norme contenute dei quesiti, il Sì si deve raggiungere la maggioranza dei voti (il 50%+1). In caso contrario (se vincono i No) restano in vigore le leggi attuali.
Quesito 1
Inserito nella scheda rossa, il quesito 1 del Referendum sulla giustizia di giugno pone questa domanda:
“Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n.190)?”.
La domanda è questa: volete abrogare la legge che prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per parlamentari, rappresentanti di governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna? Per chi è in carica in un ente territoriale, è sufficiente una condanna in primo grado non definitiva per la sospensione.
Chi vuole abrogare la legge deve votare Sì: e quindi vuole che persone condannate per reati non colposi tornino a ricoprire o mantengano cariche politiche.
Chi vuole mantenere in vigore la legge deve votare No: in questo modo si conferma l’incandidabilità e decadenza per queste persone.
Il quesito interviene anche sul risolvere una questione di molti sindaci ed amministratori locali che sono stati sospesi (seguendo la legge Severino), e che poi sono risultati innocenti o assolti, con un conseguente danneggiamento della loro vita politica e privata. E si chiede quindi se si vuole eliminare l’automatismo dell’incandidabilità o decadenza dal ruolo, lasciando la facoltà di decidere in merito ai giudici.
Quesito 2
Inserito nella scheda arancione, il quesito 2 del Referendum sulla giustizia di giugno pone questa domanda:
“Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.447 (Approvazione del codice di procedura penale) risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art.7 della legge 2 maggio 1974, n.195 e successive modificazioni.”?”.
In questo caso la domanda posta ai cittadini è: volete abrogare la norma sulla ‘reiterazione del reato’ dall’insieme delle motivazioni per cui i giudici possono decidere la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini (prima del processo).
Chi risponde Sì vuole eliminare questa motivazione dalle ragioni per cui si può disporre la custodia cautelare, lasciando la custodia solo per questi motivi: pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di commettere reati di particolare gravità, con armi o altri mezzi violenti.
Chi vota No vuole mantenere in vigore la legge che consente l’arresto o i domiciliari anche per la motivazione del pericolo della ripetizione del reato.
Oggi infatti il giudice può adottare come misura cautelare, l’arresto o i domiciliari in alcuni casi di accusa per una persona: ad esempio in caso di pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di commettere reati di particolare gravità e, in caso di pericolo di reiterazione del reato: cioè il rischio che il soggetto in questione commetta ancora quel reato.
Il quesito referendario punta a limitare questa azione, anche alla luce del sovraccarico di arresti nel nostro Paese. Il referendum punta quindi a mantenere il carcere preventivo solo per chi commette i reati più gravi, abolendo la presunzione di una reiterazione degli stessi.
Quesito 3
Inserito nella scheda gialla, il quesito 3 del Referendum sulla giustizia di giugno pone questa domanda:
“Volete voi che siano abrogati: l’“Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché’ disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160.”?”.
Volete abrogare la norma che oggi consente di saltellare, nel corso della propria carriera, dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero (accusatore) e viceversa? La domanda nasce perché oggi le carriere tra chi giudica (giudice) e chi accusa (pm) non sono separate. Capita spesso che quindi una persona lavori per anni come pm in funzione di accusa e poi, improvvisamente, diventa giudice. Ciò pone un freno al requisito di terzietà e imparzialità dei procedimenti.
Chi vota Sì al referendum sceglie quindi di abrogare la norma, optando per l’obbligo di scelta tra essere pm o giudici all’inizio della propria carriera.
Chi vota No invece non ha problemi a consentire la stessa carriera per pm e giudici.
Quesito 4
Inserito nella scheda grigia, il quesito 4 del Referendum sulla giustizia di giugno pone questa domanda:
“Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n.25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’art.1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005, n.150», risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art.8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.7, comma 1, lettera a)”; art.16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?”.
Volete che l’operato del magistrato possa essere valutato dai membri di Consiglio direttivo della Cassazione e anche dai membri laici consigli giudiziari come professori universitari e avvocati? Al momento ciò non avviene perché la Legge del 2006 lo impedisce.
Infatti i membri laici dei Consigli (avvocati, professori, ecc) sono esclusi dal dibattito e dalla votazione delle decisioni del CSM sulla competenza dei magistrati. In sostanza i giudici del Csm si giudicano tra loro. Anche qui è a rischio l’imparzialità.
Chi vota Sì vuole abrogare la legge e consentire che i magistrati vengano valutati anche dai membri laici come avvocati e professori universitari.
Chi vota No vuole continuare a escludere la valutazione laica per i magistrati.
Quesito 5
Inserito nella scheda verde, il quesito 5 del Referendum sulla giustizia di giugno pone questa domanda:
“Volete voi che sia abrogata la legge 24 marzo 1958, n.195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’art.23, né possono candidarsi a loro volta”?”.
È il quesito sulla Riforma del CSM e l’elezione dei membri togati. Chiede all’elettore se vuole cancellare la norma che impone al magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura. L’obiettivo è eliminare il sistema delle correnti nelle correnti nella magistratura.
Chi vota Sì fa sparire l’obbligo di procurarsi delle firme.
Chi vota No lo vuole mantenere.