di ALBERTO BRUZZONE
Non si ferma, in Liguria, la piaga della povertà, che colpisce sempre più persone e sempre più nuclei familiari. Gli ultimi dati giungono dall’Inps e sono relativi ai percettori di reddito o di pensione di cittadinanza, con un raffronto tra il 2019, il 2020, il 2021 e il 2022. I numeri, quindi, fotografano il periodo pre-pandemia, quello del Covid e dei vari lockdown e quello immediatamente successivo e il dato che emerge è come l’aumento delle richieste e successivamente dei percettori sia stato e si mantenga in costante salita.
Nel 2019 (periodo aprile-dicembre, ovvero da quando il reddito di cittadinanza partì ufficialmente), in Liguria i nuclei beneficiari di almeno una mensilità erano 23554, per un totale di 47028 persone. Sono saliti a 34302 nuclei e 67317 persone nel 2020, e a 37124 nuclei e 70745 persone nel 2021 (entrambi questi due anni sono completi da gennaio a dicembre).
In quest’ultimo 2022, in Liguria, i percettori di reddito o pensione di cittadinanza sono, tra gennaio e settembre, 31925 nuclei e 59152 persone, con una proiezione da parte di Inps che prevede di giungere a quasi 80mila entro la fine dell’anno. In sostanza, dal 2019 al 2022 le persone con reddito o pensione di cittadinanza sono aumentate in regione di oltre trentamila unità. Vertiginosa la media mensile: i beneficiari erano 5895 al mese nel 2021, sono arrivati a essere 6572 al mese nel 2022. Variato di poco l’importo medio dell’assegno: era di 443,98 euro nel 2019, è di 491,63 euro nel 2022. Scorrendo le cifre provincia per provincia, quella più in difficoltà è Genova, seguita da Imperia, Savona e La Spezia.
L’Inps cristallizza una situazione che era ben nota da tempo, come possono testimoniare le moltissime associazioni sul territorio, a cominciare dalla Caritas Diocesana. Lucia Foglino, responsabile dell’Osservatorio povertà Caritas di Genova, afferma: “Nel 2021 abbiamo ricevuto 5558 richieste di aiuto e ne abbiamo prese in carico circa cinquemila. Non esiste una sola povertà, che è quella di non riuscire ad arrivare alla fine del mese. Le problematiche delle famiglie sono sempre più ampie”.
Stefano Gaggero, tra i fondatori insieme a Lorenzo Azzolini di Genova Che Osa, associazione no profit che realizza un dettagliato dossier sulla povertà a Genova e in Liguria, attraverso il suo centro studi, commenta: “La Liguria è la regione del centro nord con le performance peggiori, quindi tutto questo purtroppo non ci stupisce. Siamo una regione con l’8% di persone impiegate a bassa intensità di lavoro, il che significa con contratti deboli e con stipendi troppo bassi. Non solo: le persone in condizione di povertà relativa sono il 13% e le persone in condizione di povertà assoluta sono il 4%”.
Quel che è peggio, secondo Gaggero, “è che stiamo parlando di tutti dati ormai consolidati, almeno dal 2012 in poi. Significa che la Liguria è ormai entrata in un trend negativo che dura almeno da dieci anni di fila. Ci sono altri dati che fotografano la crisi: il 20% dei giovani che sono Neet, ovvero che non studiano, non lavorano e non cercano neppure un’occupazione, e la metà delle persone in povertà relativa (ovvero quelle che sono sotto il valore del 60% del reddito medio pro capite, ndr) che non è neppure raggiunta dal reddito di cittadinanza. Il discorso della bassa intensità del lavoro sarà al centro di un nostro studio che presenteremo a breve”.
In conclusione, “il rischio di povertà è difficile da misurare, eppure è la conseguenza più rilevante quanto invisibile di un mutamento sociale che ha forse assunto caratteri definitivi. Infatti coinvolge una parte sempre più ampia di cittadini, come singoli e non come gruppo sociale, che navigando ai limiti si trova nel percorso di una vita a scendere sotto la soglia di povertà per effetto delle più diverse circostanze della vita. Quindi non una condizione permanente che può definire un’appartenenza di classe, ma un fenomeno fluttuante e variabile”.
Un fenomeno, come detto più volte anche sulle pagine di ‘Piazza Levante’, che impone una seria riflessione, perché se da un lato il reddito di cittadinanza appare come un importante strumento nel contrasto alla povertà, dall’altro ci sono troppi abusi che vanno messi a posto e quindi una ridefinizione dei parametri complessivi è quanto mai necessaria. Ne ha parlato ad esempio, di recente, Confesercenti, che si è associata all’appello giunto trasversalmente da tanta parte della politica, da Confindustria, dalle altre associazioni datoriali e del terzo settore. Secondo Confesercenti, “reddito di cittadinanza sì, ma non come alternativa al lavoro. La condizione posta è che vengano riviste le sue modalità di erogazione, mantenendo forme di sostegno alle persone più deboli e povere, in un paese che si sta impoverendo sempre di più, ma intensificando forme di controllo, dato che nel tempo ci sono state numerose conferme di persone che lo percepivano pur non avendo i requisiti. Sì quindi a strumenti indirizzati a chi effettivamente non può lavorare o non trova un impiego, come categorie fragili o over 60, bloccando un meccanismo che aveva troppo spesso portato i percettori a rifiutare qualsiasi offerta di lavoro”.
E ancora: “Il reddito di cittadinanza va scollegato dal lavoro, perché nel tempo questa combinazione ha dimostrato di non poter funzionare. Il reddito di cittadinanza non deve quindi rimanere una soluzione eterna per i cittadini che sono a casa e in parallelo ad esso è necessario creare lavoro e opportunità per i giovani. Ma dal momento in cui viene offerta un’opportunità lavorativa e la si rifiuta, lo si perde. Il sostegno ai redditi poveri e alle famiglie povere ci deve essere, chiamiamolo reddito di cittadinanza o come vogliamo ma questo strumento va collegato alle opportunità”.