di ALBERTO BRUZZONE
Per il secondo anno consecutivo, a causa dell’emergenza sanitaria, il Premio Rapallo per la Donna Scrittrice non si è concluso con la classica cerimonia ma si è svolto in una modalità più ristretta. Quel che conta, però, è che la manifestazione è andata in scena comunque, che la risposta da parte delle case editrici al bando è stata fortissima, che l’interesse generale è sempre molto alto e che la qualità indubbiamente non manca.
Ad aggiudicarsi la trentasettesima edizione è stata l’autrice friulana Ilaria Tuti, con il suo romanzo ‘Fiore di roccia’, pubblicato da Longanesi. Nella votazione congiunta della giuria tecnica e della giuria popolare, Ilaria Tuti ha ottenuto venti voti. Al secondo posto, con diciotto voti, si è piazzata Silvia Avallone con il romanzo ‘Un’amicizia’ (Rizzoli), davanti a Elisa Ruotolo, che ha ottenuto otto voti con il romanzo ‘Quel luogo a me proibito’ (Feltrinelli).
Il Premio Opera Prima è stato assegnato a Martina Merletti per il romanzo ‘Ciò che nel silenzio non tace’ (Einaudi), mentre il Premio Speciale della Giuria, intitolato ad Anna Maria Ortese, è andato a Nadeesha Uyangoda con il volume ‘L’unica persona nera nella stanza’ (Edizioni 66thand2nd).
La giuria tecnica, presieduta da Elvio Guagnini e costituita da Maria Pia Ammirati, Mario Baudino, Chiara Gamberale, Luigi Mascheroni, Ermanno Paccagnini, Mirella Serri e Pier Antonio Zannoni (segretario coordinatore) aveva selezionato la terna tra le ottantacinque opere in concorso, tutte pubblicate nell’ultimo anno.
La giuria popolare, per il secondo anno consecutivo, era costituita da quaranta studenti di due scuole secondarie superiori di Rapallo: il liceo classico-linguistico ‘Da Vigo’ e il liceo scientifico-istituto tecnico ‘Liceti’. La cerimonia conclusiva si è svolta nel salone consiliare del Comune di Rapallo, in presenza, con alcuni collegamenti in videoconferenza. Hanno fatto gli onori di casa il vicesindaco Pier Giorgio Brigati e il presidente del Consiglio Comunale Mentore Campodonico. Nel corso della manifestazione, le attrici dell’associazione culturale Artemis Levante, Francesca Mevilli, Anna Contarini e Barbara Marino, hanno letto alcune pagine dei libri premiati. Come ogni anno, la trentasettesima edizione del premio sarà oggetto di una rivista illustrata annuale, che si stampa sin dalla prima edizione.
Ilaria Tuti si va ad aggiungere a un ricco novero di scrittrici che hanno vinto il Premio Rapallo. Questa la motivazione della giuria: “‘Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche chi è rimasto nei villaggi, mille metri più in basso. Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto’. Inizia così il bellissimo romanzo ‘Fiore di roccia’ (Longanesi) di Ilaria Tuti dedicato all’eroico sacrificio delle portatrici carniche. Sono le donne che durante la prima guerra mondiale si sono caricate sulle schiene le loro gerle con viveri e medicine per raggiungere la linea del fronte nella neve che arriva fino alle ginocchia. Il nemico, con i suoi cecchini – diavoli bianchi, li chiamavano – le teneva sotto tiro. È una storia vera, questa del sacrificio delle donne che la Tuti racconta con linguaggio alto, forte, che della guerra ci restituisce tutte le passioni e l’eroismo femminile”.
L’autrice spiega: “Molti in Friuli ancora si ricordano delle portatrici, io stessa ho amici le cui nonne erano state coinvolte in questa impresa. Ma ai figli, ai nipoti ne hanno sempre solo accennato. Non scelsero di diventarlo, era un’azione imposta dalle circostanze, che sta tutta nella frase di Maria Plozner Mentil, la capofila di quel battaglione: ‘Anin, senò chei biadaz al murin encje di fan’, andiamo altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame’. Non c’erano strade per arrivare al fronte e neppure i muli potevano salire su quei sentieri”.
Ilaria Tuti ricorda: “Io sono molto interessata al passato della mia terra, sento il rischio che la storia del mio Friuli vada perduta”. Ecco perché ha voluto fermare in un libro quella delle portatrici carniche: “Erano le donne rimaste a casa a badare ai bambini, ai vecchi, agli animali. In un migliaio, dai 15 ai 60 anni, poche settimane dopo lo scoppio della guerra, risposero all’appello dei comandi militari e si presentarono alla caserma di Paluzza all’alba, a ritirare viveri, medicine, pezzi di artiglieria, munizioni, da portare al fronte. Le gerle segavano la pelle, e la marcia poteva durare da due a cinque ore. Sostavano pochi minuti in trincea a riposare e a scambiare le notizie del paese con i soldati, e poi tornavano ai compiti domestici. Così quasi ogni giorno, a volte pure di notte. Per ventisei mesi”.
Una vicenda toccante: “Non di rado trasportavano a valle le barelle con i feriti e i morti, che poi seppellivano nel cimitero di guerra di Timau, che loro stesse avevano scavato. Portavano un bracciale rosso con stampigliato sopra il numero del reparto a cui erano assegnate, e possedevano un libretto su cui venivano annotati i viaggi e il materiale trasportato. Alla fine del mese ricevevano 1,5 lire per ogni missione, l’equivalente di circa 4 euro. L’omaggio degli uomini si concretizzò nel 1955 nell’intitolazione a Maria Plotzner Mentil dell’unica caserma, a Paluzza, dedicata a una donna. E nel 1970, con la nomina a Cavaliere di Vittorio Veneto. Mancava il punto di vista delle donne in questa storia, ed è quello che ho voluto offrire”. Ottenendo un successo meritato, e anche un premio prestigioso come il Premio Rapallo.