di DANILO SANGUINETI
Allungare i piedi sotto la tavola, alzare lo sguardo al panorama, godersi un vallone che degrada tra colline che scappano dal mare e che frastagliano la linea di azzurro a con impreviste strombature tra il verde e il marrone. Il colpo d’occhio è tale che anche se vi propinassero una pastasciutta da mensa aziendale e una bistecca più adatta a risuolare le scarpe che a riempire gli stomaci lascereste il desco con il sorriso sulle labbra.
A maggior ragione, se alle delizie visive si sommano quelle gustative, olfattive, e tattili – perché certi piatti vanno mangiati con le mani, a dispetto delle zarine del bon ton – l’esperienza è da sballo, autorizzata ma sempre extrasensoriale.
Gli scettici possono ricredersi in modo molto semplice: recandosi a Sussisa, frazione collinare di Sori, percorrere la strada provinciale 71, fermarsi in piazza della Santissima Immacolata al numero 41, parcheggiare presso la chiesa omonima ed entrare nella sovrastante Trattoria Rosa, azienda che cucina e ammannisce piatti sopraffini da poco meno di 70 anni. Prima rivendita e spaccio alimentare, poi osteria, infine ristorante, sempre a cura della famiglia Olcese.
Rosa era la mamma dell’attuale gestore, Ennio: che siano le donne a guidare le danze a Sussisa trova conferma nel fatto che la voce narrante della storia sia Cristina Braghiroli, moglie di Ennio, e indiscussa signora dei fornelli.
“Ho ricevuto il testimone da mia suocera, Rosa, che ha deciso di riposarsi dall’alto dei suoi 91 anni. Fu lei nel 1950 a mettersi dietro il bancone degli alimentari che era l’unico negozio del genere nell’allora sperduto paesino sulle alture di Sori”.
Per avere un’idea delle condizioni di allora bisogna affidarsi alle vecchie foto in bianco e nero. Nessuna strada, neppure una semplice carrabile. Ciò che non si poteva avere in loco occorreva farlo arrivare dalla città (stiamo parlando di Sori, non di una metropoli), ed arrivava sulle spalle di valorosi portatori, o per i carichi più pesanti, sul dorso di infaticabili muli.

Le ‘materie prime’ in loco erano abbondanti – verdure, ortaggi, frutti di bosco e di radura, vino, olio, derivati della pastorizia, cacciagione di Appennino – il problema era che potevano essere consumate solo dagli indigeni. “Infatti mia suocera cambiò la licenza solo nel 1954, facendo diventare il locale un’osteria che poteva sfamare e dissetare i locali e qualche avventore di passaggio (complicato). Fu un primo passo in avanti, non fu l’ultimo. Il salto epocale avviene nel 1969, quando nasce la Trattoria”.
La costruzione della strada provinciale che collega Sussisa al mare da una parte (si arriva a Sori passando da Capreno) e alla strada per il Monte Fasce dall’altra è un vero e proprio game changer. Concorda il parere di Ennio e Cristina: “L’apertura della strada fu una svolta. Arrivarono i primi clienti da fuori zona, magari non fu un cambio repentino, non si può parlare di turismo di massa se non a fine anni Settanta, inizio anni Ottanta. Quelli furono gli anni del nostro boom. Prima dalla Riviera, poi da Genova, poi anche da più lontano, da fuori regione, da Milano come dall’Emilia. Il fatto che si era sparsa la voce che ‘da Rosa’ si mangiava bene”.
Cristina se la ride. “Sì, questo ha indubbiamente aiutato. Mia suocera mi ha raccontato che la migliore pubblicità la fecero dei milanesi che avevano acquistato degli stabilimenti balneari a Sori e dintorni. Venivano su quando le loro aziende chiudevano, provavano i piatti e quando tornavano giù lo dicevano a tutti i loro conoscenti e pure ai clienti. La voce si è sparsa a macchia d’olio, in certi giorni si faticava a rispondere a tutte le richieste”.
Cucina strettamente casalinga era, cucina casalinga è rimasta. “Ah sì. Io seguo fedelmente quanto mi ha dettato Rosa. E capisco anche che donna forte è stata perché in cucina, quando si fa tutto da soli, come noi, occorre muoversi e agire a ritmi vertiginosi. Ci teniamo che i piatti siano nostri dalla A alla Z, niente di preconfezionato o che arriva da noi. Proviamo a rispondere alla voglia di cucina italiana che indubbiamente c’è, di offrire piatti deliziosi e un ambiente piacevole. Il menù è ampio, costituito da ricette tipiche italiane preparate sul momento. La cucina casereccia e le ricette regionali offrono una gran varietà di prelibatezze anche per gli ospiti più esigenti. Nel nostro locale potrete gustare ricette di pasta saporite o ricette di pesce popolari così come un bicchiere di buon vino. Chi viene a trovarci può anche approfittare dei parcheggi gratuiti per i nostri ospiti. Siamo aperti tutti i giorni tranne il martedì”.
Nei mesi estivi il via vai di clienti è ininterrotto, di inverno il flusso rallenta notevolmente. “Una decina di anni fa le cose andavano diversamente. Estate una baraonda continua, nelle altre stagioni registravamo un movimento discreto. Oggigiorno in autunno si rallenta, in primavera si riparte ma d’inverno solo la domenica è giorno da tutto esaurito. Quanto accaduto dal 2020 a ieri ha influito anche sulla nostra attività”.
Covid e situazione economica mutata si sono fatti sentire. “La pandemia è stata una mazzata enorme, ci ha lasciati, consentitemi la brutalità, con il sedere per terra. Per fortuna una trattoria storica e conosciuta come la nostra, è riuscita a intercettare quel tanto che basta di ripresa. La gente ha risposto. Alcuni clienti sono stati carinissimi, ci chiamavano anche durante i lockdown per sapere come stavamo, se facevamo anche un po’ di asporto. Ci abbiamo provato, ma poca roba perché le nostre non sono portate che puoi cuocere a parte e mangiare dopo tre ore… Infine c’è il discorso economico: oggi si esce di meno perché si sta più attenti ai soldi; prima due o tre volte alla settimana, adesso una volta la domenica e stop”.
Trattoria Rosa conserva le sue carte migliori da giocare in questo momento complicato. “Il posto rimane incantevole. Prendete giornate come le attuali: abbiamo la zona esterna, ci si mette sotto il pergolato al fresco ed è una delizia. E poi abbiamo i tre piatti ‘forti’, i capisaldi che non tradiscono mai, classici del nostro entroterra: le focaccette al formaggio, i pansoti con la salsa di noci e il fritto misto”.
Infine l’arma finale, l’asso nella manica che fa andare fuori di testa l’avventore, che sia locale o foresto poco importa: “Il pesto. Non vorrei apparire immodesta ma dicono che faccio un pesto proprio buono”. Nessuno è disposto a contraddirla. La ‘Rosa’ di Sussisa continua a fiorire ogni primavera, i suoi profumi e i suoi colori ancora affascinano. Ma per quanto? La terza generazione di Olcese è pronta? “Abbiamo tre figli però, attualmente, nessuno dei tre se ne occupa, hanno altre attività ed impegni. Uno dei tre è regista e scrittore. Eppure quando diciamo loro che il tempo passa, che fare ogni cosa da soli diventa sempre più difficile, che gestire cucina e servizio è ormai arduo, che potremmo ridurre l’impegno, che potremmo addirittura chiudere, ci dicono che non se ne parla neppure e ci incitano ad andare avanti. Vedremo”.
Si deve parteggiare per gli eredi di Ennio e Cristina, confidare che la loro influenza sui genitori rimanga salda. Perché passare da Rosa significa fare una deviazione temporale ancor prima che geografica. “Ci arrivi solo se lo conosci”, dicono del ristorante che si cela, come tante altre cose preziose, tra le pieghe della montagna. Se ci pensate la frase ha un doppio significato, basta attribuire al verbo ‘arrivare’ il senso figurato.
