di ALBERTO BRUZZONE
Il Ponte Morandi è crollato materialmente lo scorso 14 agosto. Quasi due mesi fa.
Ma continua a crollare, mattina dopo mattina, sera dopo sera, ogni giorno che fa Dio.
Non passa un momento che non si scoprano sulla propria pelle o si vengano a conoscere nuove e impreviste conseguenze di questa immane tragedia. Per questo dico che il Ponte crolla e continua a crollare senza pausa.
Crolla insieme alla puntualità nella raccolta dei rifiuti, in particolare di quelli differenziati.
Crolla insieme al recupero degli ingombranti, con la conseguenza che le periferie genovesi, soprattutto i quartieri collinari, sono invase da cataste di legnami, materassi, vetri e ogni altra bruttura.
Crolla insieme alle consegne, sempre meno precise, dei pasti per i bambini delle scuole e per i malati degli ospedali.
Crolla insieme alle sofferenze di chi richiede assistenza domiciliare, per sé e per i propri cari.
Crolla insieme ai servizi ospedalieri, alle visite programmate, a tutto ciò che non si riesce a onorare come prima causa ingorghi, blocchi, incidenti e quant’altro.
Si fa presto a dire “parto un’ora prima”, ma poi ogni minimo problema viario, in una situazione completamente rattoppata, fa saltare qualunque tipo di previsione. Per auto, treni, scooter, nave.
Quasi tutti i giorni il Ponte crolla perché quasi tutti i giorni qualcosa non fila liscio. E si torna alla sera a casa, tutti a parlare del Ponte, al male che ci ha fatto anche oggi, a quel maledetto collasso della struttura.
Nel frattempo, non crollano soltanto gli aspetti della vita quotidiana (e se n’è elencato appena una minima parte).
Crolla insieme al Ponte ogni sorta di fiducia nel domani.
Il sindaco Bucci, al quale il ruolo di commissario con ampi poteri probabilmente si addice anche più di quello politico, visti i suoi trascorsi da manager d’azienda, parla ai cittadini di best option, quando indica tempi e modalità di demolizione e ricostruzione. Lo ha spiegato martedì in consiglio comunale, per motivare le frequenti modifiche temporali e previsionali che lasciano sconcertati i cittadini.
Siamo passati dagli utopistici cinque mesi di Autostrade al più realistico anno e mezzo, ma senza mai capire partendo da quando.
Per parlare la lingua di Bucci quando cita le best option, mi pare giusto ricordare che in Italia non esistono best practice a proposito di demolizione e ricostruzione di ponti di dimensioni simili al Morandi, in maniera altrettanto veloce rispetto a quanto annunciato.
Quella che non è ancora crollata è la fiducia verso il primo cittadino (scelta più ovvia per il ruolo di commissario e nonostante tutto dilatata per decine e decine di giorni).
Ma il confine tra pazienza e rabbia diventa ogni giorno sempre più sottile.
E questo occorre tenerlo presente.
Da ultimo, il Ponte Morandi crolla tutti i giorni perché, in tutta franchezza, ai cittadini crollano le braccia di fronte a certe situazioni.
Ma com’è possibile che il governatore Giovanni Toti dichiarasse, lo scorso 22 agosto, che il pilone 10, quello rimasto in piedi, è compromesso in maniera anche peggiore rispetto al 9 che è crollato, che tutta la struttura è pericolante e invece oggi circoli un sondaggio dove si parla di ricostruzione più rapida sfruttando i monconi rimasti in piedi?
Se sono idonei a reggere una ricostruzione, perché non far rientrare gli sfollati a prendere nelle loro case gli effetti personali e i ricordi di una vita intera?
Che cos’è che sfugge al cittadino medio che si pone queste domande?
Quale logica esiste in dichiarazioni, pensieri, parole, opere e omissioni che vanno prima in una direzione e poi, qualche tempo dopo, esattamente nell’opposta?
Ecco, ecco perché il Ponte Morandi crolla tutti i giorni. Perché oltre al crollare dei servizi minimi al cittadino (parliamo di trasporti, sanità e raccolta dei rifiuti, elementi garantiti da qualsiasi istituzione democratica), crolla ogni sorta di credibilità.
I genovesi sono spaesati, ubriachi per colpa di questo ormai insopportabile fiume di parole. Ha fatto bene chi ha riassunto tutto in soli sei vocaboli: “Vogliamo semplicemente un cazzo di ponte”. Sono meno dei piloni che lo reggevano.
Bastano ancora per poco a reggere il senso civico e l’equilibrio di un popolo che non può più continuare a essere schiaffeggiato.
Da Genova, il Novecento lo insegna, sono partite alcune tra le principali rivoluzioni nella storia d’Italia.
Le condizioni perché ciò si ripeta nuovamente ci sono tutte.
E intanto il Ponte continua a crollare.
Il ministro Toninelli, non imbroccandola come spesso gli capita, ha scritto che i monconi del viadotto “si vedono in tutta la città”.
In realtà, si vedono solo in Valpolcevera, a Sampierdarena e a Cornigliano.
Però in tutta la città si sentono.
Pesano come i macigni di cui sono fatti.
Malati come il cemento armato del Morandi.
Come le coscienze di troppi.