di ANTONIO GOZZI
L’articolo di Vittoria Gozzi sulla violenza alle donne pubblicato nell’ultimo numero di ‘Piazza Levante’ ha suscitato vasti consensi.
In particolare credo abbia colpito la determinazione con la quale l’autrice ha voluto denunciare non solo le violenze ricordate ma anche l’ipocrisia e insopportabilità dell’atteggiamento molto comune ‘ma in fondo se la sono cercata’. Ha colpito inoltre il suo coraggio nel dichiarare che tutte le donne, in particolare quelle giovani lei compresa, hanno corso e corrono il rischio di essere prede innocenti di uomini violenti e senza scrupoli.
Vi è stato grande apprezzamento anche da parte di genitori di figli adolescenti angosciati dal non riuscire a comunicare con gli stessi e forse speranzosi che messaggio di una trentenne passi di più.
Il coraggio è una dote di famiglia e quindi non mi stupisco per quello di Vittoria, ma da parte mia vorrei svolgere una riflessione su ciò che non mi convince del suo ragionamento. Ai lettori ovviamente non interessa la discussione familiare sul tema. In più con una donna su cui – ahimè ha già trent’anni – io non posso improntare questa discussione sul principio della patria potestà (tra un po’ sarà lei che la eserciterà nei miei confronti).
Voglio prescindere quindi da ogni considerazione personale e tengo ben strette per me sofferenza sentimentale e considerazioni sull’opportunità di esporsi così tanto. Voglio invece confrontarmi con lei, e con il vasto consenso da lei raccolto, soltanto sul piano delle idee, dei principi, della cultura.
La denuncia e la condanna delle violenze subite dalle donne e dei mostri che le commettono che deve essere dura, ferma inequivocabile è, ovviamente, fuori discussione. Così come è fuori discussione l’insofferenza verso atteggiamenti benpensanti del tipo ‘chi va al mulino si infarina’ che in fondo cercano solo attenuanti ai comportamenti degli stupratori.
Nel ragionamento di Vittoria però, a mio giudizio ci sono un rischio intellettuale e una mancanza pratica su cui vorrei brevemente soffermarmi.
Il rischio intellettuale. Con un atteggiamento, che definirei di estremismo consumistico delle esperienze, si sostiene che è connaturata agli adolescenti e ai giovani in generale la ricerca della trasgressione e di ogni esperienza, anche di quella più rischiosa. L’importante è che ogni esperienza e ogni trasgressione possa essere esercitata e vissuta in piena tranquillità, libertà e protezione.
Questo approccio a me non convince. Infatti si omette completamente ogni considerazione sulle minacce ambientali e sui rischi sempre connessi ai comportamenti trasgressivi. Tali minacce e rischi vanno sempre ricordati e insegnati al fine di proteggere i più giovani convincendoli che quando frequentano ambienti di adulti, spesso sconosciuti, devono prestare estrema attenzione e mai perdere il controllo di sé stessi consumando alcool e droga.
Lo so che è un discorso scomodo e spesso inascoltato, ma da esso non si può prescindere anche se costa fatica e genera incomprensioni. Ricordare questi rischi e insegnare a proteggersi da essi è importantissimo soprattutto se fatto da una giovane donna trentenne.
Ho inoltre l’impressione che Vittoria prenda atto della inevitabilità, quasi dell’ineluttabilità, di queste situazioni e di questi comportamenti trasgressivi e a rischio da parte dei più giovani.
Ma non è così, non c’è nulla di ineluttabile nei comportamenti umani.
Moltissimi giovani, a cui va tutta la mia incondizionata ammirazione, si guardano bene dal trovarsi in queste situazioni e in questi rischi e magari, invece di andare a party con droga, passano il loro tempo libero facendo del volontariato. Fanno ciò esercitando il principio di responsabilità e di libero arbitrio che rappresentano quanto di più importante caratterizzi il genere umano.
In altri termini non si può prescindere completamente da un ragionamento sui valori; responsabilità e libero arbitrio sono l’altra faccia della libertà. Spesso ciò viene dimenticato dal diffondersi anche attraverso la rete di un pensiero debole e decadente.
La mancanza pratica. In un mondo minaccioso, pieno di mostri in libertà, bisogna lavorare e propagandare con ogni strumento possibile le pratiche che consentono di proteggere le donne e colpire duramente i colpevoli.
Certo bisogna diffondere tra gli uomini, in ogni modo possibile, una cultura del rispetto verso le donne.
Bisogna però non farsi illusioni. Comportamenti violenti e predatori continueranno a esserci perché espressione del male che sta nel genere umano. Bisogna allora promuovere in tutti i modi possibili, a partire dalla scuola, pratiche e insegnamenti di autodifesa femminile (perché ad esempio non trasformare le ore di ginnastica in ore di autodifesa femminile? Pensate quante ore di ginnastica ci sono dalle medie fino alle superiori e a che livello di qualità potrebbero arrivare questi insegnamenti). Le donne hanno in sé le risorse sufficienti per scoraggiare e demotivare un potenziale aggressore.
C’è una bella ricerca americana fatta negli Usa negli anni Ottanta dalla Commissione Nazionale per la Prevenzione della violenza sessuale che ha rilevato che l’80% delle donne che avevano reagito all’aggressione era riuscito a sottrarsene.
I predatori (a partire da quelli del mondo animale) agiscono in base al principio di convenienza sulla stima della vulnerabilità della vittima, se intuiscono che la preda si difenderà probabilmente rinunceranno.
Ma bisogna essere in condizioni e capaci di difendersi. Diffondere una cultura dell’autocontrollo e della valutazione delle condizioni di rischio dovrebbe essere parte di questi insegnamenti. La strategia di corsi di autodifesa femminile dovrebbe essere non la neutralizzazione fisica dell’aggressore ma la dissuasione preventiva tramite il giusto atteggiamento mentale. L’apprendimento di tecniche di colluttazione fisica ha un significato strumentale proprio per acquisire la sicurezza e la determinazione necessarie per allontanare subito gli aggressori.
Come ci ha insegnato la filosofia confuciana il fine dell’apprendimento e delle tecniche di difesa personale e uso della forza è di non doverne mai fare uso.
L’altro terreno su cui lavorare è quello della giustizia e del controllo sociale sulla punizione dei violenti nei confronti delle donne. I media danno enorme spazio alla cronaca delle violenze ma poi seguono molto meno i processi agli stupratori, la loro condanna, l’esecuzione della pena. Senza attenzione sociale succede che spesso che chi si è reso protagonista di questi delitti abbia pene non proporzionate alla gravità dell’accaduto e torni presto in libertà. La crescita del numero di giudici donna è una garanzia in più verso queste disattenzioni, ma bisogna che i media si impegnino di più perché la cultura del rifiuto della violenza sulle donne si diffonda e le dure condanne diventino una vera deterrenza.