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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Primi ostacoli per Donald Trump: e arrivano anche dalla Corte Suprema che è a maggioranza conservatrice

Pure sul budget potrebbe arrivare l’ennesimo schiaffone: la maggioranza repubblicana alla Camera è esilissima, solo 218 deputati su 435
Donald Trump ha vinto con ampio margine le elezioni americane
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

Nonostante i suoi toni al solito esagerati nel suo discorso di fronte al Congresso riunito, Donald Trump potrebbe avere incontrato i primi ostacoli in quello che sembrava un mandato quasi totale per modificare a suo piacimento l’impianto istituzionale degli Stati Uniti

Prima è arrivato un memo in apparenza anodino dell’Ufficio Personale nazionale che conferisce alle singole agenzie il potere decisionale riguardo ai licenziamenti degli impiegati in prova. Una minuzia burocratica. O forse no, perché i ricorsi hanno limitato l’abilità della discussa agenzia Doge (Dipartimento per l’Efficienza Governativa) guidata dal magnate Elon Musk di licenziare dipendenti in modo indiscriminato, spesso andando contro il volere dei responsabili nominati dallo stesso presidente Donald Trump. 

Come secondo elemento di freno c’è stato il divieto di tenere incontri con gli elettori imposto a deputati da parte del responsabile delle campagne elettorali repubblicane, il rappresentante del North Carolina Richard Hudson. Troppo alto il rischio di avere apparizioni di “professionisti pagati” che tentano di disturbare i meeting. In realtà la preoccupazione per i tagli indiscriminati alla spesa pubblica stanno divenendo trasversali e le proteste aumentano anche per questo. L’indicazione poi è risultata essere un duplice autogol: sia perché è un’ammissione implicita di paura dell’elettorato, sia perché dà il destro a un’opposizione democratica impaurita di fare comizi in territorio avversario in vista delle elezioni di metà mandato del 2026. 

Infine, una tegola da parte della Corte Suprema che ha negato all’amministrazione il diritto che si era arrogata di trattenere circa due miliardi di dollari di pagamenti a fornitori e contractor per lavori già eseguiti. Il responsabile dell’Ufficio Management e Budget, il discusso Russell Vought, aveva infatti imposto il blocco per sincerarsi che ogni singolo dollaro di spesa fosse nell’interesse dell’Agenda Trump. Un atto di grande arroganza da parte dell’esecutivo che in questo modo invadeva la sfera del Congresso, che a suo tempo aveva allocato quei fondi.

A sorprendere, è che la sentenza venga proprio dal massimo tribunale federale a maggioranza conservatrice dove il giudice capo John Roberts, un conservatore equilibrato scelto nel 2005 da George W. Bush, è riuscito a convincere la giudice Amy Coney Barrett, nominata proprio da Donald Trump nel 2020. Coney Barrett, una fama da star dei giuristi cosiddetti “originalisti”, in questi anni si sta spostando al centro per riequilibrare un consesso che appare da fuori come pesantemente sbilanciato verso destra e in questo caso riafferma la primazia del Congresso rispetto alle smanie assolutiste dell’amministrazione che ha chiaramente affermato più volte di voler avere l’ultima parola anche su questo.

E proprio sul budget potrebbe arrivare l’ennesimo schiaffone: la maggioranza repubblicana alla Camera è esilissima, solo 218 deputati su 435 e la prima bozza approvata per accontentare i pasdaran dei tagli draconiani non ha i voti necessari per sorpassare l’esame del Senato. A questo punto ecco l’idea di Trump: far passare un altro budget provvisorio che finanzi le attività del governo fino al prossimo settembre, rimandando le riforme dopo le suppletive di aprile in due seggi vacanti della Florida, che presumibilmente rimanderanno a Washington due repubblicani. Una strategia abbastanza improvvisata per un Trump che più passa il tempo e sempre meno vedrà ridotto il suo margine operativo per fare un cambiamento dell’America in senso più autoritario e meno democratico. I contrappesi istituzionali stanno funzionando ancora una volta e probabilmente freneranno i peggiori istinti del tycoon. Staremo a vedere se anche stavolta, come nel biennio 2018-19, andremo incontro a una fase più istituzionale di questa seconda presidenza Trump oppure il caos continuerà a essere un fattore pervasivo dello scenario politico di Washington.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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