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Giovedì, 1 giugno 2023 - Numero 272

Prima le donne e i bambini

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Non nascono bambini e non nascono imprese. Come segnalato da molti studi demografici ed economici, e ripreso da ‘Piazza Levante’ sin dal suo primo numero, questi sono i due record negativi della Liguria.
Si tratta di fenomeni gravidi di conseguenze per la nostra regione, che fatica sempre più a tenere il passo con le dinamiche del resto del Nord, il quale mostra invece complessivamente, e non soltanto nella strabiliante Milano, una vitalità e una crescita che noi non conosciamo da decenni.
Occupiamoci oggi di bambini, torneremo nei prossimi numeri sul tema delle imprese.
Oltre al record mondiale di denatalità, deteniamo il primato dell’anzianità della popolazione. Ad ulteriore sigillo di questo primato, l’INPS individua nella Liguria una terra di pensionati, attribuendo alla nostra regione 279 pensioni da lavoro ogni 1000 residenti: un dato nettamente superiore alla media nazionale e diretta conseguenza dell’età della popolazione, la più alta d’Europa e forse del mondo. La struttura demografica è un’equazione inesorabile: piramide dell’età (e cioè percentuale di anziani sul totale della popolazione) e tasso di natalità (rapporto tra numero delle nascite e popolazione totale in un periodo dato) determinano matematicamente (oggi si direbbe con un algoritmo) il futuro andamento della popolazione.
I due parametri sono chiaramente correlati: una comunità sempre più anziana è per ovvi motivi una comunità che fa sempre meno bambini, ed in essa il saldo demografico stabilmente in declino può essere controbilanciato solo dal saldo migratorio.
In altri termini, la popolazione ligure può almeno in parte correggere il suo declino naturale con flussi migratori crescenti, ma ammesso e non concesso che ciò avvenga, il fenomeno comporterà/comporterebbe anche crescenti problemi di integrazione, con tutto ciò che questo significa in termini di paura e rifiuto specie da parte dei residenti meno abbienti, di gravi problemi culturali, di incertezze e difficoltà per la maggior parte della popolazione.
Per questo soprattutto in Liguria abbiamo un estremo bisogno che nascano più bambini, e dobbiamo quindi favorire e promuovere in ogni modo possibile la maternità.
Di norma le politiche per la natalità sono di respiro nazionale. Grandi Paesi come la Francia e la Germania negli ultimi decenni hanno attuato importanti strategie di welfare e fiscali che hanno favorito le nascite assicurando una significativa ripresa demografica.
Anche da noi c’è bisogno a livello nazionale di un rafforzamento di tutte le politiche che si muovono in questa direzione. Piuttosto che gettare enormi risorse sul reddito di cittadinanza, bisognerebbe impiegarne molte per sostenere le famiglie numerose e per consentire alle donne di avere un secondo e magari anche un terzo figlio senza che l’onere connesso ricada totalmente sulle imprese.
Ci sono donne, e famiglie, che con grande senso di responsabilità e lealtà verso le aziende presso le quali lavorano rinunciano ad un secondo o terzo figlio per non far gravare economicamente questa scelta sui datori di lavoro, obbligati per legge a pagare il congedo di maternità e a sostituire la lavoratrice assente accollandosi un altro stipendio.
Altre si sentono costrette a rinviare la prima maternità nel timore di non riuscire ad ottenere un’assunzione definitiva. Insomma, la scelta del lavoro è ancora penalizzante per le donne.
E’ vero che le politiche demografiche sono di norma decise a livello nazionale, ma l’eccezionalità della situazione ligure richiede un intervento in rete che deve vedere coinvolti una pluralità di soggetti pubblici e privati. Non si deve avere paura di promuovere in ogni sede, in ogni occasione, in contesti anche culturalmente diversi, la famiglia e la maternità.
Gli interventi economici di sostegno, certamente fondamentali a tal fine, arriveranno più facilmente e saranno maggiormente recepiti se ci sarà un generale riconoscimento del problema e una comune condivisione dell’opportunità e della necessità sociale di queste misure.
Al riguardo ci sono certamente, anche in Liguria, problemi e blocchi culturali da superare e da risolvere.
Il sostegno alla maternità e alla famiglia anche da noi per troppo tempo è stato visto con diffidenza dai movimenti di emancipazione femminile e dalla sinistra in genere, ed individuati come il retaggio di una cultura cattolica e retrograda pronta a mettere trappole ed ostacoli all’ingresso delle donne nel mondo del lavoro.
Pochi si sono posti la questione fondamentale, e cioè come promuovere le condizioni morali e materiali che consentano alle donne di scegliere liberamente tra maternità e lavoro e/o  che le aiutino a rendere la maternità compatibile col lavoro.
Nella situazione di oggi, in cui il lavoro delle donne non è più messo culturalmente in discussione ma è rimasto molto difficile conciliarlo con le esigenze familiari, con molta umiltà bisogna riconoscere che i cattolici avevano visto lungo, indicando valori e linee di azione che oggi devono essere più largamente condivisi.
Cosa si può fare per sostenere e per far crescere questa cultura in una regione come la nostra che ne ha tanto bisogno? Molte cose.  

  • Innanzitutto, promuovere la Liguria come una regione in cui è bello far nascere e crescere i propri figli. Una regione ‘Kinderheim’, dove tutto è volto a favorire la crescita dei bambini ed il sostegno alle loro famiglie, dai servizi sociali a quelli scolastici, dalla sicurezza ai trasporti, dall’arredo urbano alle politiche aziendali.
  •  Si può chiedere a Confindustria di aiutare in ogni modo le famiglie favorendo all’interno delle imprese più grandi e nei distretti di imprese più piccole, che esistono anche in Liguria, l’insediamento di nidi che consentano alle neo-madri di rientrare al lavoro avendo i loro figli vicino? E si può chiedere alle autorità pubbliche di favorire il sorgere di questi nidi aziendali semplificando il più possibile la burocrazia e le autorizzazioni connesse?
  •  Si può favorire e sostenere il ruolo dei nonni a sostegno della famiglia e dei nipoti restituendo nobiltà e dignità sociale a dedizione e sacrifici che oggi vengono svolti silenziosamente e senza riconoscimento alcuno?

 Solo cambiando la percezione del valore sociale di chi garantisce la continuità generazionale possiamo sperare che i nostri giovani, oggi un po’ disorientati e restii ad assumersi questo genere di responsabilità, decidano di compiere quel piccolo atto di ottimistica follia che dalla notte dei tempi (quasi sempre ben più bui degli attuali) ci ha consentito di arrivare fin qui.
Tanto altro si può immaginare, ma il tema centrale resta quello di un’alleanza convinta tra tutte le forze vive della società che pensi alle nuove generazioni, ai figli propri e ai figli degli altri come al valore più importante della vita.

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