
Pizzo Eraldo, professione leggenda vivente. A sedici anni conquista la serie A, a venti vince lo scudetto, a ventidue è campione olimpico, a ventisei si prende la Coppa Campioni, a trenta straccia ogni record di segnature, vittorie consecutive, convocazioni in azzurro, a quarant’anni riparte dalla serie B e trionfa, a quarantatrè anni porta al tricolore per la prima e unica volta il Bogliasco.
A quarantaquattro anni è di nuovo profeta in patria, quindicesimo scudetto con annesso primato di longevità agonistica. Appende la calottina al chiodo e si prende altri trentacinque anni di trionfi come direttore tecnico, direttore generale, a tratti persino presidente, della Pro Recco, il club al quale è legato da un connubio ormai indissolubile: nell’universo mondo anche chi è totalmente digiuno di waterpolo quando dice Recco pensa a Pizzo, e viceversa.
A quarantaquattro anni è di nuovo profeta in patria, quindicesimo scudetto con annesso primato di longevità agonistica. Appende la calottina al chiodo e si prende altri trentacinque anni di trionfi come direttore tecnico, direttore generale, a tratti persino presidente, della Pro Recco, il club al quale è legato da un connubio ormai indissolubile: nell’universo mondo anche chi è totalmente digiuno di waterpolo quando dice Recco pensa a Pizzo, e viceversa.
Il compleanno
Domenica 21 aprile ha festeggiato 80 anni ed è stata un’orgia di amarcord e rimembranze, una gara a chi pescava nella memoria un ricordo, un aneddoto di una carriera sportiva senza eguali, costellata da imprese leggendarie, da successi impossibili, da limiti agonistici spostati sempre un po’ più in alto e ogni volta regolarmente superati. Il soprannome di ‘Caimano’ – datogli per come sapeva spostarsi a pelo d’acqua senza dare l’impressione del movimento – hanno provato in molti a portarglielo via (vedi Moretti e il film su un noto politico…). Impresa impossibile perché i replicanti al confronto dell’originale appaiono coppie sbiadite.
Tra un premio e un omaggio, un applauso e un abbraccio il più moderato nella festa era proprio… il festeggiato. Una parola gentile e un ringraziamento per chiunque lo abbia ricordato, un accenno di sorriso, un brillio soddisfatto dello sguardo e allo stesso tempo quel pizzico di riserbo, di self consciousness, che un recchelino doc – è nato a Teglia ma è stato un incidente di percorso dovuto alle esigenze lavorative del papà operaio – sa sempre preservare.
“L’Eraldo è uno che resterebbe freddo anche sotto una pioggia di meteoriti” diceva di lui Franco Lavoratori, uno del trio (c’era pure Mario Cevasco) di fenomeni che issò la Pro Recco sul trono mondiale. ‘L’Eraldo’ lo chiamano i compagni di strada, quelli che con lui hanno giocato e vinto, quelli che hanno condiviso battaglie dentro e per le piscine della città. Ai concittadini rimane ‘Cai’, abbreviazione dell’appellativo rettilesco. Antonomasie a parte, resta l’uomo, una quercia ancora frondosa, solo un po’ imbiancata, che ha sempre usato la testa prima dello straordinario fisico. Pizzo è stato baciato da madre natura che gli ha donato doti atletiche non comuni, una galleggiabilità da far invidia a ‘Sughero’ Matthes, leggendario dorsista della DDR, eppure è sul raziocinio che ha sempre fatto affidamento.
Tra un premio e un omaggio, un applauso e un abbraccio il più moderato nella festa era proprio… il festeggiato. Una parola gentile e un ringraziamento per chiunque lo abbia ricordato, un accenno di sorriso, un brillio soddisfatto dello sguardo e allo stesso tempo quel pizzico di riserbo, di self consciousness, che un recchelino doc – è nato a Teglia ma è stato un incidente di percorso dovuto alle esigenze lavorative del papà operaio – sa sempre preservare.
“L’Eraldo è uno che resterebbe freddo anche sotto una pioggia di meteoriti” diceva di lui Franco Lavoratori, uno del trio (c’era pure Mario Cevasco) di fenomeni che issò la Pro Recco sul trono mondiale. ‘L’Eraldo’ lo chiamano i compagni di strada, quelli che con lui hanno giocato e vinto, quelli che hanno condiviso battaglie dentro e per le piscine della città. Ai concittadini rimane ‘Cai’, abbreviazione dell’appellativo rettilesco. Antonomasie a parte, resta l’uomo, una quercia ancora frondosa, solo un po’ imbiancata, che ha sempre usato la testa prima dello straordinario fisico. Pizzo è stato baciato da madre natura che gli ha donato doti atletiche non comuni, una galleggiabilità da far invidia a ‘Sughero’ Matthes, leggendario dorsista della DDR, eppure è sul raziocinio che ha sempre fatto affidamento.
Ancora ‘fame’ di vittorie
Nessuna eccezione, anche in occasione dell’ottantesimo genetliaco più che sul sentimento fa leva sulla riflessione per dare un senso all’ennesima tappa, questa volta anagrafica, raggiunta senza problemi. “Domande, scambi, richieste, tutte rivolte al passato, a una storia che, non lo nego, è parecchio lunga, ma che non ritengo affatto conclusa. Ho sempre pensato che la vittoria più bella sia la prossima, quella ancora da conquistare. Mi parlano degli scudetti, dei trofei, delle medaglie già in bacheca e con il pensiero corro alla finalissima che ci attende da qui a poche settimane. Io e la Pro Recco abbiamo una nona Coppa Campioni – mi dispiace ma io all’inglese imperante non mi piego, per me la parola Coppa resta bellissima – da alzare al cielo. L’ho fatto otto volte, da giocatore e da dirigente, come c’ero in tutti e trentuno gli scudetti portati a Punta S. Anna. Questo è il primato al quale tengo e al quale dedico il mio lavoro oggi, come ieri e come spero domani”.
Un fisico ancora invidiabile
Nella storia della pallanuoto mondiale ecco l’unicum del Caimano: bollare con il proprio stemma l’intero palmares della società più titolata al mondo. “Alla festa che mi hanno voluto dedicare Gabriele Volpi, Maurizio Felugo e gli altri amici, italiani e stranieri, ho concluso il mio discorso dando appuntamento tra un lustro. Non c’era molto altro da dire”.

Il passaggio immediato dall’altra parte del tavolo, sulla sedia del dirigente, gli ha dato una ulteriore spinta: “Non sarebbe stato dignitoso presentarmi davanti a giovani atleti bolso, con la pancia o peggio, avrei fornito un pessimo esempio, mi avrebbero guardato e pensato “ma guarda questo che ci viene a chiedere dei sacrifici in che condizioni si trova!”. Non mi sarei sentito a mio agio per primo con me stesso”.
Un’ammissione che dice più di cento discorsi celebrativi. Questo è il ‘vero’ Caimano, capace di sopravvivere alla propria leggenda. E che si adatta ai tempi che cambiano. “La cosa che oggi più mi rende felice è l’accorgermi che riesco a relazionarmi con atleti che hanno cinquanta, alcuni sessanta, anni meno di me. Parlo con gente che ha l’età di mio nipote per dieci, quindici minuti ogni giorno. Una battuta, una riflessione su questo o quell’aspetto del gioco, sui loro problemi, su cosa posso fare per loro. Si crea una sintonia, un ponte generazionale sul quale è bello avventurarsi, sempre naturalmente tenendo bene a mente le distanze, le differenze che il tempo crea e niente può colmare”.

Gli ottanta anni trasformati dall’energia vitale del campionissimo nostrano in un mero numero. Eraldo Pizzo è un Dorian Gray alla rovescia: il ritratto in bianco nero che lo immortala in una sospensione iconica sopra il pelo dell’acqua lo mantiene giovane e puro anche dopo dieci lustri. Non ha bisogno di inzuppare le ‘madaleines’ per risalire la corrente della memoria; il Caimano non ha necessità di ritrovare il tempo: non lo aveva mai perso.
(d.s.)