di MATTEO GERBONI
Gli è stato fatale il mare, che considerava un fedele compagno di viaggio tanto che aveva probabilmente sacrificato anche la carriera professionale per non lasciare la sua Chiavari.
Roberto Pettinaroli non era tipo da colpi di testa, anzi aveva fatto dell’equilibrio e del buon senso i suoi elementi distintivi, per questo è stato ancora più doloroso vivere quelle interminabili ore di ansia e alla fine scoprire che questa volta la notizia che andava in pagina lo riguardava in prima persona.
Roberto era un giornalista di razza, di quelli che fanno ancora del mestiere un’arte e un impegno civile. Era sempre rimasto un cronista con il senso della notizia, con la capacità innata di andare a scovare curiosità e aneddoti, di estrapolare con un’intervista i tratti salienti del personaggio di turno. Anche da capo, sempre scrupoloso e esigente, della vita di trincea che solo una redazione si porta in dote, se gli capitava di scrivere lo faceva con la passione e l’estro di chi vuole offrire al lettore un prodotto di qualità.
Ecco, il lettore per lui era sacro: cercava in ogni contesto di valorizzare quel rapporto di fiducia che nasce tra chi va in edicola e chi confeziona quel foglio di carta. Creava nuove rubriche, esportava ovunque l’idea di un giornale al passo con i tempi. Si era inventato anche le riunioni di redazione all’esterno, aveva ideato dibattiti e convegni. Se c’era da fare una pagina in più il timone che veniva allargato era quasi sempre quello dell’edizione del levante perché lui non si tirava mai indietro, anche se alla sera era una corsa contro il tempo per chiudere tutti i titoli.
Raccontava: “Dall’arrivo dei social assistiamo a un imbarbarimento generale, credo che mantenere un linguaggio per quanto possibile garbato e portare il lettore a non limitarsi alla superficie, sia il compito dei quotidiani. Altrimenti perché spendere 1,50 euro per leggere notizie che sai dal giorno prima? La gente ha bisogno di riflettere e il nostro compito è aiutarli, dare un punto di riferimento, specie nell’oceano inarrestabile delle fake news”.
Era una persona di spiccato valore umano e culturale, sempre in movimento, sempre con nuove idee, nuovi progetti, nuovi sogni da realizzare. La sua energia, la sua determinazione, la sua voglia di incidere sulla realtà, su quel Tigullio di cui andava così orgoglioso, non si erano interrotte neppure un anno fa quando era andato in pensione dopo oltre 40 anni di ‘Secolo’.
Un passaggio della sua vita che lo aveva comunque messo alla prova: “Sono passato dal ricevere decine di telefonate e messaggi al giorno a dimenticarmi il cellulare – confessava – non è facile, ma per fortuna ho tante attività che mi stanno a cuore”.
Inizia giovanissimo la sua avventura giornalistica, facendosi strada con impegno e dedizione. A soli 16 anni si presenta alla redazione regionale del ‘Lavoro’, dimostrando fin da subito un grande talento e scrivendo di cronaca. Collabora anche con l’‘Occhio’ e l’‘Eco di Genova’ prima di essere assunto nel marzo del 1982 al ‘Secolo’ come corrispondente da Lavagna. Con il passare degli anni diventa un autentico punto di riferimento per il giornalismo locale e nel 2001 viene nominato caposervizio della redazione di Chiavari che dirige per 15 anni. Nel 2007 riceve, con altri colleghi, il premio cronista dell’anno Piero Passetti dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Sul futuro della carta stampata aveva le idee chiare: “Immagino l’informazione al 99% sul web, con un ritorno alla qualità dei contenuti. Ma il cartaceo non scomparirà, diventerà uno strumento di nicchia, come i dischi in vinile, perché sulla carta c’è un rapporto diverso, come la differenza tra fast food e ristorante, al primo vai quando hai poco tempo, devi sfamarti e non guardi tanto cosa stai mangiando, al ristorante vai quando hai tempo, vuoi mangiare bene e badi alla qualità. Quindi l’informazione cartacea ci sarà anche tra 60 anni”.
In questi anni Pettinaroli era riuscito anche a mettere a terra numerose iniziative curate in molteplici direzioni: dal reinserimento nella società degli ex detenuti alla memoria dell’Olocausto (il rapporto di amicizia con Liana Millu diventò il libro-testimonianza ‘Campo di Betulle’, edito da Giuntini), dalla salvaguardia dei diritti umani all’aiuto alle popolazioni in difficoltà (dopo il terremoto nelle Marche si impegnò in prima persona in un progetto di ricostruzione ad Arquata del Tronto) per arrivare alle tante attività studiate per tenere viva l’attenzione sul caso Regeni.
Non aveva una predilezione per i social, come la maggior parte dei giornalisti ‘artigiani’ cresciuti con la macchina da scrivere sulle gambe, ma ieri sarebbe stato orgoglioso e un poco commosso scorrendo Facebook e leggendo decine di messaggi di cordoglio, ricordi, aneddoti, di tanti colleghi, amici, istituzioni e associazioni.
Ad iniziare dal presidente della Regione Liguria Marco Bucci: “La notizia della sua morte ci addolora profondamente come persona attenta e gentile e come professionista che ha saputo dare voce negli anni al territorio del levante ligure e ai suoi protagonisti”.
Chi scrive lo ha conosciuto da ‘avversario’ sul campo nel 2013 quando iniziai la mia esperienza a capo della redazione di Chiavari del ‘Corriere Mercantile’. Gli chiesi un appuntamento e mi presentai. Mi sembrava un atto dovuto, lui apprezzò moltissimo. Nacque un rapporto inizialmente di stima reciproca, poi di amicizia. Il messaggio più toccante quando chiuse il giornale arrivò da lui. Quell’sms lo conservo ancora perché era scritto senza retorica e con grande sensibilità.
Un forte abbraccio alla sua famiglia e a tutti i suoi amici dalla redazione di ‘Piazza Levante’.
Ciao Roby, fai buon viaggio.