di DANILO SANGUINETI
Affiancata al Coni e tra gli enti di promozione sportiva riconosciuti dallo stesso Comitato Olimpico c’è una colonna dello sport italiano che un anno ha un ‘plinto’ orgogliosamente ligure. La Unione Italiana Sport Per tutti, Uisp, ha un presidente giovane e genovese, Tiziano Pesce, che si è guadagnato l’elezione con un percorso iniziato da giovanissimo (a 24 anni, oggi ne ha 45) e i costanti apprezzamenti per la qualità del suo operato lungo tutti i gradi del cursus honorum ‘uispino’.
Pesce ha una visione estremamente pragmatica del suo ruolo e al contempo si sforza di guardare oltre i termini di mandato e di ragionare per grandi temi e lunghi periodi. Ce n’è bisogno in un periodo dove sono richieste notevoli dosi di coraggio e tenacia. L’Uisp è ingranaggio indispensabile della macchina sportiva italiana. Senza una base larga e solida, un ampio terreno sul quale seminare e far crescere talenti, non si va da nessuna parte. Siamo a una svolta epocale. Gli eventi recenti hanno aggiunto una nota di ineluttabilità alla necessità di iniziare un profondo percorso di riforma dell’intera struttura. Pesce potrebbe essere uno di quelli che guideranno la rivoluzione dello sport italiano.
“È sicuro che i prossimi anni dovranno essere, che piaccia o no, ben differenti. Naturalmente, prima di ogni cosa, occorre uscire dal gorgo della pandemia e dalle secche della crisi energetica. Ma il necessario intervento per aiutare società, enti e associazioni sportive dovrà essere accompagnato da mutamenti di indirizzo prima e di intervento poi sull’intera struttura sportiva nazionale, regionale, locale”.
Tiziano Pesce, presidente nazionale, già presidente regionale Uisp Liguria dal 2013 al 2021, non ha perso tempo. A gennaio, chiamato a parlare al Coni, l’aveva messa giù senza troppi giri di parole: “Le recrudescenze della pandemia si ripercuotono, ancora una volta, in modo massiccio, nell’ambito dello sport, in modo particolare in quello di base, con associazioni e società sportive, che, insieme a noi, continuano a lanciare grida di allarme. Sono sempre di più le situazioni insostenibili dal punto di vista economico-finanziario, soprattutto in capo ai soggetti gestori di impianti sportivi con davanti la crescita esponenziale dei costi, di utenze e bollette. Nel frattempo arriva la doccia fredda dell’Iva sull’associazionismo, che, come sappiamo, non riguarda soltanto lo stretto ambito del terzo settore ma tutto il vasto non profit a partire proprio da quello delle società sportive e degli enti. Se ne parla troppo poco”.
Inutili i contentini. Tipo inserire la parola ‘Sport’ in Costituzione: “Lo sport deve poter essere praticato a pieno titolo da tutti e da tutte, accessibile, fruibile senza barriere fisiche, sociali ed economiche. Deve imporsi il concetto che hanno lo stesso valore, la stessa visibilità, gli stessi sostegni, sia lo sport di vertice che seleziona per le medaglie che lo sport sociale, quello slegato da ogni aspetto competitivo, quello dell’attività motoria, del gioco, della socializzazione, senza differenze. Che avranno la stessa rappresentanza le Federazioni sportive nazionali quanto gli Enti di promozione sportiva. E per farlo non servirà attendere una modifica (dal procedimento lungo e complesso) della Carta Costituzionale. Si dovrà semmai accelerare sulla riforma legislativa del sistema sportivo in atto, armonizzarla pienamente con quella del terzo settore e dare così le tante risposte che ancora mancano”.
Un mese dopo al Consiglio Nazionale della sua associazione ribadiva con altrettanto vigore: “Alla politica chiediamo un cambio di passo che tarda ad arrivare. La legge di Bilancio 2022 non solo ha inserito l’obbligo Iva – solo sospeso per due anni – per le associazioni che non svolgono attività commerciale ma non ha portato alcuni importanti provvedimenti attesi da tempo da tutto il terzo settore: gli emendamenti che li contenevano sono stati tutti respinti dal Governo. Si andava dalle modifiche alle norme fiscali per gli enti associativi, senza le quali permane un regime di incertezza per migliaia di organizzazioni, al sostegno straordinario per le associazioni di promozione sociale e di volontariato, in pratica una parziale restituzione per le risorse non erogate in anni di mancata attuazione della riforma, alla mancata esenzione dall’Irap, una tassa che ormai paga quasi solo il non profit”.
Uno meno determinato di Pesce si sentirebbe cadere le braccia. “Invece è il momento di raddoppiare gli sforzi. Da grandi sfide, da grandi crisi possono derivare grandi opportunità. Io sono ostinato, sono per il dialogo che è sempre meglio della contrapposizione frontale. Non vogliamo fare guerra alle Federazioni, alimentare la contrapposizione pro-dilettanti, sport maggiori e discipline neglette. Partiamo dall’idea che tutti sono utili e che tutti concorrono a far crescere il movimento sportivo. Chiediamo solo che gli altri soggetti riconoscano il ruolo insostituibile, lo vorrei dire a lettere maiuscole, dell’associazionismo, delle società di base che sono il primo indispensabile luogo di accoglienza per coloro che vogliano fare sport in maniera non casuale, che nella nostra Italia sono sempre troppo pochi rispetto ai paesi sportivamente e culturalmente all’avanguardia”.
La sua Uisp – tra le associazioni quella più antica e quella più radicata del territorio perché da sempre collegata ai nessi sociali e alla realtà territoriali sportive – può funzionare da trait d’union, sostanza legante in un preparato particolarmente ricco di elementi e complessa da ottenere.
“Il passaggio da ‘come eravamo prima della pandemia’ a un oggi che tenga conto e di questa emergenza e del doloroso pericolo di guerre che possono scoppiare anche in Europa, passando per una più che prevedibile fase di contrazione o almeno di difficoltà economica, è una sfida inevitabile. Siamo pronti a modificare rapporti di forza immutabili?”.
Il dito punta verso chi non ascolta le richieste che arrivano dal basso. “È dalle mille società di provincia, nei club di paese e di territorio che il movimento sportivo trae la sua linfa vitale. Guardare solo a quello che fa il vertice è comprensibile ma è limitativo. I successi, tanti e strepitosi, del 2021 non possono spingere sotto il tappeto la polvere accumulatasi sui club che sono diventati negli anni anche gestori di impianti e prestatori d’opera per conto dello stato e della scuola senza ricevere in cambio che briciole”.
Pochi giorni fa l’ennesimo campanello d’allarme è suonato. “Gli Enti di Promozione Sportiva speravano che nel Pnrr, il piano per gestire i cospicui fondi per la ripresa messi a disposizione dalla Ue ci fosse un’ampia sezione per lo sport di base. Abbiamo ricevuto notizie che ci hanno spinto a chiederci: ‘Perché sempre a noi?’”.
Il perché è presto spiegato. “Nelle ‘Linee guida’ per la presentazione delle candidature relative all’Avviso per l’acquisizione di manifestazioni di interesse nell’ambito delle risorse stanziate dal Pnrr (Missione 5 Inclusione e coesione Componente 2 – Infrastrutture sociali, famiglie, Comunità e Terzo settore, Misura 3 Investimento 3.1 ‘Sport e Inclusione sociale’), con l’obiettivo di incrementare l’inclusione e l’integrazione sociale attraverso la realizzazione o la rigenerazione di impianti sportivi che favoriscano il recupero di aree urbane, pubblicate dal Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e destinate ai comuni, non si prevede alcun coinvolgimento degli enti di promozione sportiva, che sono altresì, quattordici su quindici, anche enti nazionali del terzo settore. In particolare, all’interno del ‘Cluster 3’ vengano totalmente esclusi gli organismi sportivi, compresi gli enti di promozione, che non siano le sole federazioni”.
Oltre il danno si sfiora la beffa. “Ci fa amaramente sorridere, inoltre, come nelle linee guida del Governo si parli di ‘Sport e inclusione sociale’ tagliando fuori, però, gli Enti di promozione sportiva, che rappresentano la larga maggioranza della popolazione sportiva italiana – i due terzi delle persone che fanno sport in Italia – e l’intero movimento di grandi reti associative nazionali – un terzo del sistema del terzo settore del Paese. Quelle organizzazioni che, quotidianamente si occupano proprio di promuovere inclusione e coesione delle comunità, sostenibilità ed innovazione, spesso nelle zone più degradate del territorio, e non solo di attività competitive. La domanda, dunque, sorge spontanea: perché non essere considerati a pieno titolo all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, almeno nelle parti dedicate allo sport? Un tema, quello infrastrutturale, che da anni affligge non solo l’Italia del professionismo, ma anche l’Italia dello sport amatoriale e di base. Ci sembra quindi evidente l’ennesima discriminazione nei confronti degli enti di promozione sportiva, ancora una volta costretti a richiamare l’attenzione del Governo e della sottosegretaria di stato allo Sport, Valentina Vezzali. Non pretendiamo alcun trattamento di favore, ma la nostra denuncia non deve passare sottotraccia, ci attendiamo un’immediata correzione di rotta, con una modifica del bando e conseguente spostamento dei termini per presentare domanda. Meritiamo attenzione, la stessa che quotidianamente viene rivolta alle federazioni sportive”.
Tiziano Pesce rilancia: “Servirebbe soprattutto un progetto a medio e lungo termine, invece temo che ci si accontenti del piccolo cabotaggio, del mettere qualche toppa e tirare a campare, come spesso è accaduto nel nostro paese”. Si potrebbe essere più chiari e soprattutto avere più ragione? Siamo alle solite. Cambiano i timonieri e l’equipaggio ma i binocoli usati dai comandanti continuano ad avere una capacità di ingrandimento assai ridotta.