L’alleanza PD-M5S, che ha portato alla formazione del governo giallo-rosso, nasce più da un atteggiamento ‘contro’ (contro Salvini e la sua deriva sovranista, contro nuove elezioni che con ogni probabilità verrebbero vincenti Salvini, la Lega e la destra, contro la probabile elezione, in questo caso, di un Presidente della Repubblica nominato dalla destra) che da un atteggiamento ‘per’ (per un’idea di sviluppo dell’Italia che dia un futuro migliore al Paese).
Anche la predisposizione della legge di Bilancio con le sue oggettive e obbligate ristrettezze e i vincoli europei su deficit e debito segue questo canovaccio. L’unico vero obiettivo perseguito è quello di non far scattare le clausole di salvaguardia dell’Iva; il resto sono interventi minimissimi, compreso quello sul cuneo fiscale, che non incidono e non indicano alcuna reale scelta di politica economica.
Nella perenne campagna elettorale in cui sembra sprofondata l’Italia, almeno fino alle prossime elezioni regionali del gennaio 2020, nella maggioranza giallo-rossa continuano a prevalere messaggi populisti: manette agli evasori (quando il penale per gli evasori c’è già), una riforma della giustizia penale da brividi con la pratica abolizione della prescrizione, uno spirito anti-impresa e antindustriale, un ambientalismo tassaiolo e di slogan, come testimoniano le prese di posizione sia di esponenti di governo che di parlamentari di maggioranza anche a favore della pratica chiusura dell’Ilva di Taranto.
Di tutto ciò, non ci si può stupire più di tanto, almeno con riferimento ai 5Stelle, che hanno fatto di un populismo giustizialista e anti-impresa e della decrescita felice i loro principali cavalli di battaglia, veicolati a manetta dai social.
Ciò che invece colpisce grandemente è come il PD di Zingaretti, che spesso sembra in stato confusionale, si accodi a questa deriva senza la volontà o la capacità di dare battaglia su questioni di principio e si direbbe identitarie per una moderna sinistra riformista (nella foto in alto, il murale dello street artist palermitano TvBoy, comparso qualche giorno fa a Roma).
È certamente vero che, con l’uscita di Renzi e dei molti parlamentari che hanno dato vita a Italia Viva, viene a indebolirsi l’ala del PD più liberale e meno condizionata dai tic e dai riflessi pavloviani di una sinistra di origine comunista.
Ma ciò che sembra affermarsi nel PD di Zingaretti (salvo importanti eccezioni, come ad esempio quella del giovane Ministro del Mezzogiorno Provenzano, che sull’Ilva ha assunto una posizione coraggiosa) è il vecchio vizio del ‘pas d’ennemis à gauche’ (cioè il pretendere di essere sempre e comunque più a sinistra di tutti) e la conseguente rincorsa alle peggiori pulsioni populiste di un certo elettorato grillino che, si spera sbagliando, di recuperare.
Come dimostra molto bene l’analisi dei flussi elettorali sia delle elezioni europee che delle regionali dell’Umbria, l’elettorato in uscita dal M5S, una vera e travolgente emorragia, non si dirige che in minimissima parte verso il PD, ma in grandissima misura o verso la destra (Lega e Fratelli d’Italia) o verso l’astensione.
E ciò a conferma che il grande exploit del M5S nelle elezioni politiche del 2018 era basato su un’enorme ambiguità e su un equivoco populista che attirò elettori provenienti un po’ dappertutto ma prevalentemente da destra, a dimostrazione della natura tutt’altro che progressista di quel movimento.
A poco sembra servire l’ultima giravolta di Beppe Grillo che guarda nuovamente a sinistra e si rivolge addirittura “ai giovani del PD…” nel tentativo di nobilitare un accordo di convenienza motivato da ragioni di sopravvivenza. I consensi del M5S erano prevalentemente destroidi e oggi se ne vanno verso Salvini perché vedono in lui un uomo di destra molto più credibile, o verso l’astensione non potendo sopportare l’alleanza con il PD.
Di Maio dopo le elezioni umbre dice che l’alleanza con il PD non ha funzionato e che il M5S va bene alle elezioni quando si presenta da solo contro tutti (ma alle Europee non si era presentato da solo contro tutti?) continuando a sperare nell’ambiguità. Tale affermazione sembra in realtà l’atteggiamento disperato di un ex-leader che sente la sua stagione ormai terminata e probabilmente conclusa anche la parabola del Movimento.
Ma se questo è vero, si ripropone l’interrogativo del perché il PD rincorra il M5S sui temi più populisti e demagogici, snaturando la sua identità e non traendone alcun vantaggio elettorale.
La prospettiva di una sinistra riformista vincente non si costruisce sul ‘…pas d’ennemis à gauche…’, vizio storico delle sinistre estremiste e perennemente minoritarie, ma al contrario sulla definizione di un programma che metta al centro lo sviluppo, il lavoro, le infrastrutture, un fisco non rapace, una sostenibilità ambientale concreta e non sloganistica e tassaiola, un welfare e politiche di inclusione giuste e compatibili con la situazione dei conti pubblici italiani.
In democrazia non far votare gli elettori quando i segnali sono forti e concordanti è sempre rischioso, ma diventa suicida senza un programma e un’idea. Il resto è noia.