di DANILO SANGUINETI
Finire in panchina nel calcio, come in molti altri sport nei quali c’è un sedile riservato a chi non è impegnato in campo, non è mai un aspetto positivo. A Chiavari però c’è una vistosa eccezione alla regola. Andare in panchina è una festa. Basta mettere la maiuscola al nome.
La Panchina Chiavari, squadra di calcio dilettantistico che non si è mai evoluta, cioè ha conservato gli intendimenti iniziali, istituzionalizzare attraverso la partecipazione ai campionati ufficiali della Figc una squadra formatasi attorno a una panchina sul lungomare, punto di ritrovo di un ben assortito gruppo di amici che voleva giocare a calcio, nel senso pieno del verbo, per divertire e divertirsi.
Nata nel 1989, sta attraversando il 2019, anno del trentennale tra un festeggiamento e l’altro. Come tante altre società, ha avuto momenti di crisi nel corso dei tre decenni, solo attimi nei quali ha temuto di dover chiudere casa, piccole titubanze risolte grazie al legame profondo che ha tenuto assieme dirigenti e giocatori, spesso i primi che erano anche i secondi o che lo diventavano dopo aver dato addio al calcio attivo. Lo spirito è ancora quello delle origini, una forza aggregativa che non ha mai perso la sua origine se non familiare sicuramente amicale.
Prova vivente di quanto appena detto il vicepresidente e coordinatore della società Christian Gastrini che con i ‘panchinari’ ha giocato in diverse categorie e che oggi tira le fila dalla poltrona dirigenziale. “Panchina, non poltrona, altrimenti mi cacciano – se la ride- Siamo entrati nella maturità agonistica e quasi non ce ne accorgevamo perché ci sembra immutato il modo di interpretare il calcio, di impegnarsi e allo stesso tempo sdrammatizzare. Trent’anni sono un bel traguardo, soprattutto se guardo indietro e vedo quante sono le società che in questo periodo sono apparse e scomparse nel frenetico mondo del calcio chiavarese. Con l’iscrizione al campionato di Seconda 19-20 firmiamo un piccolo primato: la Panchina è la società più vecchia tra quelle in circolazione. Alcuni club, tipo il Ri Calcio o Caperana possono vantare ascendenze più antiche, tuttavia noi siamo gli unici a essere rimasti con nome e matricola delle origini”.
Il segreto della longevità sta nelle parole che la società stessa ha scelto come incipit della sua pagina Facebook, l’enunciato di una filosofia sportiva semplice quanto efficace: “Un gruppo di amici decide di fondare una società sportiva con lo scopo di giocare a pallone. Era il 1989. Venne fondata nella sede della Società Economica di Chiavari. I suoi colori verde e grigio sono i colori dell’aiuola e dell’asfalto che circondano la panchina posta di fianco a palazzo Bianco, il municipio cittadino. È una panchina di granito, vera sede sociale che ha visto passare generazioni di chiavaresi. Dal 1982, la vittoria dei mondiali di Spagna, è stata fino a poco tempo fa luogo d’incontro di un gruppo di ragazzi appassionati di calcio e la fondazione di una società sportiva è stata lo sbocco naturale di quella passione”.
Secondo la leggenda nacque così la Società Sportiva Panchina Chiavari, per divertimento e passione. Correre dietro ad una sfera di cuoio, sport semplice fatto di fatica e di sogni, allora non voleva dire tatticismo assurdo, si giocava ancora alla ‘viva il parroco’: lanci lunghi con la palla che sollevava nuvole di polvere. La Panchina allora, come oggi, si è sempre confrontata orgogliosamente con le squadre del circondario con delusioni e soddisfazioni ma tenendo fermo il punto di partenza: un gruppo di amici che si incontrano per giocare a pallone. “Io avevo nove anni quando la Panchina venne fondata – osserva Gastrini – e sono cresciuto calcisticamente nell’Entella – ma della Panchina sentivo sempre parlare. Poi sono andato a giocarci, perché tanti miei amici erano già lì. E vi posso assicurare che quanto abbiamo scritto nella presentazione non è affatto esagerato. Negli ultimi quindici-venti anni sono passati tanti volti, qualcuno è andato, tornato, ri-andato e ritornato”.
Il clima che si respira alla Panchina è questo, una squadra ‘Grand Hotel’ dove c’é gente che va, gente che viene, quello che non cambia è l’atmosfera che si respira, il sapore di cosa antica e di ottimo gusto. Inizia la stagione del trentennale, la Panchina affronta il campionato di Seconda Categoria con un roster rinnovato e, sembra, parecchio rinforzato. “Nel precedente torneo eravamo partiti decisi, ma ci siamo persi per strada. Non vogliamo correre i rischi della scorsa primavera, quando siamo dovuti passare dai play out per difendere la categoria. E questa volta ci siamo premuniti, arriva gente giovane e promettente, e anche un paio di vecchi leoni, primo tra tutti il bomber inossidabile, Mimmo Cacciapuoti, 40 anni ma un fiuto per il gol impagabile a queste latitudini”.
Sorge il sospetto che la Panchina per i suoi primi trent’anni voglia regalarsi una promozione. “Devo dare una duplice risposta: come vicepresidente smentisco con forza qualsiasi ambizione che vada oltre un piazzamento onorevole e, soprattutto, un’annata senza tribolazioni; come ‘panchinaro’ confesso che un’ideuzza su una scalata alla Prima l’ho fatta. Vedremo strada facendo”.
Soprattutto verranno valutati i pro e i contro: “In questo momento la società funziona e la squadra ha un organico e uno staff tecnico che ci soddisfano al cento per cento. Stiamo bene a Caperana, dove dividiamo le ore e il campo con il club locale e le giovanili dell’Entella. Salire in Prima comporterebbe ristrutturare la squadra quasi ex novo, tenendo conto delle regole sui giovani che ci sono in quella categoria e gli orari nei quali si disputano le partite, le trasferte più lunghe. Molti dei nostri portacolori dovrebbero dare forfait. E ci domandiamo varrebbe la pena?”.
Se il gioco si fa duro è vero che i duri cominciano a giocare, ma va anche tenuto conto che gli amici potrebbero smarrirsi.