di DANILO SANGUINETI
La persistenza degli aggregati. Ornella Marchese è la conferma vivente delle teorie sociologiche che danno estrema importanza alla conservazione delle tradizioni. Nella sua carriera, che si snoda lungo cinque decenni, ci sono costanti legate ai sentimenti, alle amicizie e alle connessioni spirituali che emergono intonse.
Il passare del tempo nulla può contro gli affetti di una vita, viene bloccato in un’istantanea dipinta con i colori della stima: giovedì 17 ottobre l’Ornella, una delle signore del volley ligure, ha ricevuto dalle mani della presidente del comitato regionale Fipav Anna del Vigo il premio ‘La Rete d’Oro’.
Il dovuto rispetto per il riconoscimento non impedisce di pensare che sia Marchese a nobilitare l’albo d’onore di questa festa, perché in lei si riassumono mezzo secolo di storia della pallavolo italiana, non solo ligure. Lei, con la solita cortese eleganza, ringrazia chiunque le si avvicini per complimentarsi. Vorrebbe schermirsi, da troppo tempo è abituata a mandare gli altri su quella ribalta che lei ha calcato per 30 anni, partendo da Genova e girando l’intero globo terrestre.
Ornella ha vissuto diverse vite da pallavolista: esordiente, promessa, campionessa a livello regionale, poi italiano, sino ad arrivare alla nazionale. In continua trasformazione, mantenendo i valori di fondo che le hanno permesso di farsi un nome rispettato in Italia: una volta smesse le ginocchiere, ha indossato la tuta da tecnico e ha lasciato il segno anche così, poi ha vestito la giacca della dirigente, si è inventata uno spazio e una metodologia di insegnamento.
Insomma, dove c’è Ornella Marchese c’è successo. Il conferimento della ‘Rete d’Oro’ è stato il modo per concretizzare quell’ininterrotto flusso di vittorie. Ornella Marchese ha provato a deviare l’onda di emozioni verso coloro che sono stati i suoi maestri e che oggi non ci sono più: “Quando ti volti indietro, devi usare un filtro speciale, quello della riconoscenza. Il premio è anche e soprattutto un tributo a quelle persone che mi hanno portato in palestra, che mi hanno allevato, educato, spronato. Senza di loro, non sarei diventata quello che sono, né avrei potuto fare un decimo di quello che ho fatto”.
La campionessa di ieri e di oggi li ricorda: “Conversando con la presidente regionale Anna Del Vigo, che mi premiava, abbiamo messo assieme i ricordi dei tempi eroici: lei era la mia capitana in una squadra assemblata dal professor Carmarino e tenuta in piedi dalla inesauribile energia di Gian Luigi Corti, recentemente scomparso. Loro non ci sono più, ma a loro devo tutto. Per me saranno sempre il mio maestro e il mio presidente. Il professor Carmarino era infatti il mio professore di educazione fisica a scuola, alla Ugo Foscolo. Mise insieme il gruppo che vinse i Giochi della Gioventù regionali, che andò alle finali italiane, che sfiorò il titolo. Da lì transitammo quasi tutte nella squadra di Corti che ‘cavando sangue dalla rape’, come solo lui sapeva fare, ci permise di salire in serie C, di metterci in mostra. Da lì fu un crescendo incredibile ed esaltante: sette anni con loro, la Nazionale, prima le giovanili e poi la maggiore. Mi trasferii a Bergamo, vinsi uno scudetto, la qualificazione alle Olimpiadi di Montreal“.
Nove anni in azzurro (71-79) con 148 presenze, ottiene la Stella al merito dal Presidente della Repubblica. Torna a Genova ed è in grado nel 1981-82 di portare una formazione in serie A2. Dopo 20 anni di agonismo, 15 anni di serie A, passa ai quadri tecnici. Torna in azzurro e va alle Paraolimpiadi come aiuto cittì.
Dieci anni fa un’altra svolta. Dal fischietto alla giacca dirigenziale. Suo marito le segnala che a Carasco attorno all’appena inaugurato Palazzetto dello Sport sta nascendo un piccolo movimento di appassionati che pensano a fondare una squadra. “Pensai alla ‘follia coraggiosa’ dei miei mentori, di Corti e Carmarino che dal niente creavano squadre e società, e mi dissi che potevo, anzi dovevo provarci anch’io”.
Nasce la Scuola di Pallavolo Carasco: “Ho scelto il nome Scuola non a caso. Perché volevo una società dove il volley fosse il motore di molto altro. Abbiamo redatto un programma di sole tre parole: amicizia, gioco, aiuto. Perché da noi si fa prima di tutto gruppo, poi si impara la pallavolo senza mai scordare che possiamo sempre dare una mano al prossimo. Ho coinvolto alcune amiche e ho creato un consiglio direttivo tutto in rosa: siamo in cinque, cinque vecchie amiche con la passione per questo sport. All’inizio c’era qualche dubbio, oggi festeggiamo un decennio con un bilancio ampiamente positivo. E naturalmente non è finita qui”.
Un filo di emozione ci sta. “Ero nella mia Genova, davanti a tanti giovani che mi hanno dimostrato come il nostro sport abbia un grande futuro. Ho messo il premio vicino agli altri, ne sono orgogliosa”. Chi la conosce, scommette che l’abbia collocato su uno scaffale vuoto: un premio alla carriera d’accordo, ma a una carriera ancora in corso, suscettibile di altre ‘promozioni’.