di SABINA CROCE
‘New York Tales’, racconti di New York, si intitola il libro di Alberto Bruzzone che presentiamo questa sera a Wylab.
Ma potremmo tradurlo anche come ‘Favole newyorchesi’, e ci starebbe benissimo, con la sua copertina da libro per bambini che aspettano la loro razione di racconti per addormentarsi felici. Ci ha visto giusto l’illustratrice Eva Belli, perché lo sguardo di Alberto nei confronti della sua amata New York (amata o odiata? Lo vedremo alla fine) è proprio quello di un bimbo davanti a un immenso negozio di giocattoli.
Al palcoscenico variegato di questa città irripetibile, infinito, sempre mutevole nei figuranti e sempre identico nell’atmosfera, Alberto si accosta con la gioiosa aspettativa di un bambino indeciso su quale regalo scartare per primo; con l’entusiasmo dell’adolescente che sviscera ogni dettaglio per coinvolgerti nella sua passione; o con la foga dell’innamorato che non sa quali particolari aggiungere per convincerti delle infinite virtù dell’amata. E finisce per contagiarti, non c’è rimedio.
Anche perché l’amata, in effetti, non è una qualunque.
Come in ogni capitale importante, a New York quasi nessuno ‘ci è nato’. Tutti, o quasi tutti, sono arrivati da fuori; o se non loro, le loro famiglie. “Where are are you from?”, da dove vieni?, è la domanda che viene subito dopo le presentazioni. E tutti quelli che sono arrivati da fuori vogliono fortemente qualcosa: carriera, potere, soldi, fama. Qualcosa che a New York si può ottenere più facilmente e più in fretta che al paesello (Jep Gambardella docet) , a patto di metterci un’oncia di energia e di determinazione in più degli innumerevoli concorrenti.
Tutta questa energia, tutta questa determinazione, finiscono così per impregnare l’aria, l’acqua e il suolo, galvanizzando abitanti e turisti, facendoli vibrare come diapason; il che, se alla lunga per chi ci vive può risultare un po’ stressante, certamente per il visitatore rappresenta una ‘botta’ che non si dimentica.
E così il nostro Alberto, carico come una pila, torna e ritorna sul posto, percorre le strade che tutti conosciamo, se non altro per averle viste in innumerevoli film e serie tv da Woody Allen a Sex&The City, cerca nuovi itinerari, scava nella storia e nei dettagli per cercare di carpire un po’ dei segreti di questa grandiosa sorgente di energia umana. Lungo la via, come in un laico calendario dell’avvento, Alberto ci apre una finestra alla volta su personaggi e vicende diversissimi, che tutti insieme apportano un contributo alla storia della città e una piccola chiave per conoscerla meglio.
Volete sapere di quando New York rischiò una pandemia di vaiolo e si salvò grazie a una mobilitazione straordinaria e ubiquitaria di vaccinazioni porta a porta che coinvolse l’intera cittadinanza? La storia la trovate nel libro. Vi interessa sapere la storia delle origini del famosissimo, ballabilissimo brano ‘Y.M.C.A.’ dei Village People, diventato un hit della musica gay? Anche quella c’è.
Così come ci trovate la storia di Emily Warren Roebling, indomita signora e competente ingegnere che portò a termine, anche per conto del marito ammalato, l’opera immane del ponte di Brooklyn, coordinando il lavoro di centinaia di operai, tecnici e ingegneri e guadagnandosi il diritto di percorrere per prima il ponte finito; un tragitto che ancor oggi nessuno che si rechi a New York può esimersi dal compiere. O la storia di Typhoid Mary, l’untrice inconsapevole e permanente di un’epidemia di tifo che terminò i suoi giorni reclusa perché non potesse infettare altri innocenti.
Ci trovate l’inventore degli hot-dog e quello della carta igienica; i luoghi iconici e scintillanti della città come il Rockefeller Center; e quelli che non si mostrano volentieri al pubblico, come il cimitero di Hart Island dove trovano riposo coloro che non hanno nessuno che paghi la loro sepoltura, divenuto suo malgrado tristemente famoso durante l’ultima pandemia; e perfino i luoghi che non ci sono, come City Hall, la ‘fermata fantasma’ della metropolitana.
Tante storie, antiche e recenti; storie di conquiste e di sconfitte, di pionieri e di epigoni, storie di coraggio, di colpi di genio, di brutalità, di sentimenti, di persone e di luoghi. Tutte curiose, interessanti, quasi sempre sconosciute ai più, tutte aiutano a conoscere un po’ meglio questa città; anzi, queste mille città.
Alberto dice che la odia, questa città, perché lo ha monopolizzato al punto di non permettergli di desiderare un’altra meta. È un lamento catulliano, da schiavo d’amore, perché con New York è così: non importa se quando riparti hai la sensazione di non aver neanche scalfito una piccola parte della superficie di questa grande mela. Vuol dire che tornerai, e tornerai ancora, e ti lascerai sempre stregare.
Anche Alberto tornerà, dica quel che vuole.