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Giovedì, 25 maggio 2023 - Numero 271

Navi e CO2, anche il trasporto marittimo entra nella transizione energetica: rischi di una miscela tossica di ideologia ambientalista e di esasperazione finanziaria

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di ANTONIO GOZZI

Nell’autunno 2020 il Parlamento europeo ha votato per includere dal 2022 (termine poi prorogato al 2024) il trasporto marittimo nel sistema di scambio delle quote di emissione CO2 (ETS), e per stabilire requisiti vincolanti per le compagnie di trasporto in modo da ridurre le emissioni anche di questo settore almeno del 40% entro il 2030.

L’industria dello shipping emette circa 940 milioni di tonnellate di CO2 per anno ed è responsabile per circa il 2,5% del totale delle emissioni mondiali. L’espansione fortissima negli ultimi trent’anni del commercio marittimo via mare nei quattro fondamentali comparti: contenitori, crociere, rinfuse e tanker (petrolio e derivati); le tendenze alla sua ulteriore crescita e quindi all’aumento dell’impatto ambientale, e l’ormai prossima entrat  in vigore della nuova regolamentazione europea dal 2024, rendono la questione di grande attualità.

Per spingere il settore marittimo a diventare più pulito ed efficace nel processo di transizione verso la neutralità carbonica, così come previsto nel Green Deal europeo, Commissione e Parlamento comunitari puntano a realizzare le seguenti misure:

  • Eliminazione graduale degli oli combustibili pesanti, da raggiungere con compensazioni distribuite sotto forma di esenzioni fiscali sui combustibili alternativi;
  • Decarbonizzazione, digitalizzazione e automazione delle navi e dei porti europei;
  • Accesso regolamentato e limitato ai porti europei delle navi più inquinanti;
  • Promozione di miglioramenti tecnici, come l’ottimizzazione della velocità delle navi e/o l’innovazione per nuovi sistemi di propulsione idrodinamica.

Come per tutte le questioni attinenti alla transizione ecologica e energetica il problema delle rigorose misure europee sta nel loro costo e nella loro (scarsa) condivisione a livello globale da parte delle altre grandi aree economiche del mondo, in particolare America e Asia.

Nel caso in cui, specie per un’attività così globale come il trasporto via mare, rimanessero sostanziali differenze tra le varie aree del mondo, si ricreerebbero quelle distorsioni e asimmetrie competitive già viste in altri campi: si pensi alla questione della messa al bando nel 2035 dei motori a scoppio per l’industria automobilistica europea, di cui tanto si parla in questi giorni; o allo stesso sistema del costo delle quote di CO2, che colpisce l’industria europea, specie quella più energivora, ma non le industrie delle altre aree del mondo. Tali distorsioni e asimmetrie provocano inevitabilmente prima gravi crisi competitive di interi settori industriali e poi i conseguenti gravi problemi sociali.

Anche con riferimento al tema delle CO2 del trasporto marittimo, come si vedrà, la situazione è complessa.

Gli Stati Uniti d’America, infatti, non hanno ancora condiviso la visione europea, mentre la Cina, forte della sua industria navale e delle sue tecnologie di decarbonizzazione delle navi, sembra orientata ad accettarla per trasformare il suo primato sulle tecnologie di controllo elettronico dei consumi dei motori delle navi in un ulteriore vantaggio competitivo e dominio dell’industria dello shipping mondiale.

Si consideri tra l’altro che cantieri e imprese armatoriali cinesi sono prevalentemente di proprietà pubblica, quando il resto dell’industria dell’armamento mondiale è quasi completamente privata e ciò crea un altro evidente tema di distorsione e asimmetria: da una parte vi sono aiuti di stato e dall’altra no. Il tema dei costi della transizione e di chi li sosterrà torna di nuovo al centro della riflessione e non può non accompagnare l’azione europea, che altrimenti resta ideologica, priva di reali conseguenze sul climate change, ma invece foriera di gravi danni sull’apparato industriale dell’Unione.

Cosa succede dall’inizio del 2024? Succede che una nave che scala un porto europeo deve dichiarare da dove viene, e quindi le miglia nautiche percorse in arrivo, e dove va, e quindi le miglia nautiche che percorrerà per il nuovo viaggio. Sulla base di un calcolo basato sulle miglia compiute e da compiere e su un parametro di consumo dell’apparato motore, che normalmente si avvicina al massimo del consumo della nave, questa deve pagare le quote di CO2 consumate all’autorità portuale. Se non lo fa la nave viene fermata.

Questo extra costo rispetto alla gestione attuale verrà evidentemente ribaltato sul nolo, il che comporterà a partire dal 2024 un forte rincaro di tutti i costi del trasporto marittimo, il quale a sua volta si ribalterà sulle imprese e sui consumatori: un evidente effetto inflattivo a livello mondiale del quale in questo momento non ci sarebbe proprio bisogno.

Ma altri effetti saranno innescati dalla nuova regolamentazione.

Ci sarà un’ulteriore spinta alla regionalizzazione dei traffici dopo quella provocata dal Covid. Là dove possibile si privilegerà la scelta di rotte brevi per spendere meno nell’acquisto di quote di CO2. Dove saranno obbligatorie rotte oceaniche, come per i trasporti di carbone e minerale di ferro, saranno favorite le industrie dei Paesi più vicini alle fonti di approvvigionamento. Per l’industria siderurgica di nuovo la Cina sarà favorita rispetto all’Europa essendo la sua fonte di iron ore (minerale di ferro) australiana molto più vicina e logisticamente competitiva di quanti non sia la fonte brasiliana per l’Europa (35 usd alla tonnellata del costo di trasporto marittimo dall’Australia alla Cina contro i 70 usd alla tonnellata dal Brasile all’Europa).

Tutte le navi antecedenti il 2011 (data dell’introduzione del controllo elettronico dei consumi dei motori delle stesse) che sono navi relativamente giovani (una porta rinfuse ha una vita utile di 20-25 anni) dovranno uscire di scena e essere rottamate perché comportano emissioni di CO2 tre/quattro volte superiore alle navi più moderne, e quindi non saranno più competitive; ciò provocherà perdite significative alle imprese dello shipping che ancora posseggono quelle navi.

Gli armatori, per coprirsi da futuri rincari delle CO2 e per provare a essere più competitivi sulla proposta del nolo da proporre ai clienti, incominceranno ad accaparrarsi certificati sul mercato e a speculare sugli stessi, inducendo una crescita ulteriore del prezzo dei certificati che avrà effetti negativi su tutti gli altri settori, industriali e non, che hanno bisogno di comprare certificati per continuare ad esistere.

Un settore già molto finanziarizzato come lo shipping (per ogni nolo fisico ne circolano centinaia di carta, i cosidetti paper, che aumentano a dismisura la volatilità dei noli verso l’alto e verso il basso) si finanziarizzerà quindi  ancora di più, diventando ancora più volatile ed aumentando la complessità gestionale sia per gli armatori che per i caricatori e il loro rischio d’impresa.

Come sempre la transizione non è gratis e vi è il forte rischio che, anche per lo shipping, la miscela tra ideologia ambientalista e esasperazione finanziaria (cosa già vista per l’industria a proposito del mercato delle CO2) diventi tossica e talvolta letale.

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