di ALBERTO BRUZZONE
La storia della sua famiglia, raccontata come un grande affresco, ha conquistato il mondo. Nata in inglese, è stata tradotta in spagnolo e italiano. Migliaia e migliaia di lettori negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Canada, Spagna, Danimarca e Italia. Un libro che ‘sembra sbugiardare Tolstoj – e chi sennò potrebbe davvero permetterselo – quando scriveva che tutte le famiglie felici si somigliano’, com’è stato scritto nella presentazione.
‘I formidabili Frank’ (‘The Mighty Franks’ in lingua originale) è uno dei successi editoriali dell’anno. Nel nostro paese, il romanzo è pubblicato da Einaudi. L’autore? Trattandosi di un ‘memoir’, è naturalmente uno dei Frank. Si chiama Michael, è cresciuto a Los Angeles e oggi vive tra New York e il Golfo Paradiso.
Giornalista e scrittore (suoi alcuni articoli dedicati a Genova e alla Liguria sulle colonne del ‘New York Times’), ama viaggiare, ha frequentato spesso l’Europa, ma la vera folgorazione è avvenuta sulla Riviera di Levante, tra Recco e Camogli. Soprattutto quest’ultima località, dove trascorre gran parte delle sue vacanze estive. Che, in questo 2018, sono state più ‘lavorative’ del solito: il grande richiamo de ‘I formidabili Frank’ lo ha fatto girare un po’ per tutta l’Italia, da nord a sud: presentazioni, interviste, firmacopie.
Michael, un americano simpaticissimo e molto alla mano, ricco di cultura e di storie da raccontare, si è prestato con entusiasmo e piacere. E, nel frattempo, ha potuto sviluppare – e continuerà a farlo nei prossimi mesi – alcuni dei progetti che gli stanno più a cuore, dedicati in particolare all’ebraismo. Seduto su un divano al Cenobio dei Dogi, racconta com’è nato il romanzo, e tocca tanti altri aspetti tra cultura e attualità.
Si aspettava questo grande successo per ‘I formidabili Frank’?
“Assolutamente no. E non è la solita risposta retorica. Non me lo aspettavo proprio. Specialmente in Italia, la diffusione di questo libro e le recensioni positive ricevute da parte degli esperti mi hanno veramente commosso. Il bello è stato poi incontrare tante persone alle presentazioni. E mi sono reso conto che tutti avevano letto il libro e ne parlavano con affetto e trasporto”.
Ha raccontato la sua famiglia con intensità, tenerezza, trasporto emotivo, tralasciando molto poco. Ha scritto anche quello che sua zia Hankie non voleva che lei raccontasse, neppure a mamma Merona…
“In effetti è vero: ho rotto un patto. Ma volevo raccontare la storia della mia famiglia con la massima libertà possibile. Per fare questo, mi sono immaginato che non fosse in vita più nessuno. E ho iniziato a scrivere. In realtà, sin da quando sono nato, ho capito che la mia era una famiglia particolare: un fratello e una sorella, mio padre Marty e mia zia Hankie, che sposano una sorella e un fratello, mia mamma Merona e mio zio Irving. Le due coppie che vivono a pochissima distanza tra loro. La mia famiglia con tre figli, i miei due fratelli Danny e Steve ed io; quella dei miei zii, entrambi sceneggiatori di Hollywood, senza prole. Le mie due nonne, Huffy e Sylvia, che condividono lo stesso tetto. No, niente era ‘normale’ per i Frank. Difatti, come disse mia zia Hankie, eravamo i ‘formidabili Frank’. Ecco, in questo ambiente sono cresciuto”.
‘Ma io e te, tesoruccio, siamo una cosa a parte’, diceva la zia…
“E’ stato un rapporto molto stretto. Infatti mia mamma ne ha sofferto parecchio. Così come i miei fratelli. E pure io. Mia zia amava tenere tutto sotto controllo, era un’accentratrice. Come racconto nel romanzo. Ma mi ha anche trasmesso parecchio. Come scrivo nel libro, mi ha insegnato a distinguere tra b. e non b., ovvero buono e non buono. E poi aveva questo grande amore per le cose antiche, e una totale avversione verso il moderno. Il mo-der-no, diceva con aria contrariata”.
Però lei ha avuto altre passioni.
“Ho collezionato anche io. Ma non oggetti e soprammobili. Bensì impressioni, lettere, conversazioni, stati d’animo. Ho tenuto tutto dentro, poi ho cercato di capire chi erano queste persone della mia famiglia. E ho scritto una prima bozza del romanzo. L’ho consegnata a un editore, che però mi rispose che non era credibile. Ho riso e pianto per questo. Io non avevo esagerato nulla. Forse mancava qualche tocco in più, visto che all’epoca ero molto giovane. Ci sono così tornato ad anni di distanza e, questa volta, il libro è stato giudicato più maturo ed è stato pubblicato. Lo hanno definito un ‘memoir’, sin dalla copertina dell’edizione americana. Io posso dire che al 98% tutto quello che vi è contenuto è vero. E’ il ritratto di mia zia, nel bene e nel male. E di tutto ciò che le stava intorno. Ora stiamo provando a scriverne una serie tv. Intanto, io mi sto già immaginando un sequel”.
Nel libro l’Europa viene definitiva Yurp, come la pronunciate voi americani nel parlato. Per lei cosa rappresenta?
“La mia famiglia è sempre stata molto legata all’Europa. Ma, in particolare, a Londra e Parigi, dove mia zia e mia nonna venivano in cerca di pezzi d’antiquariato. L’Italia, invece, posso dire che è stata una mia ‘scoperta’. Sono arrivato per la prima volta a 28 anni. Era un posto che mi affascinava. Qui ho insegnato inglese e ho cercato di scrivere. Dopo tanti anni, continuo a tornare. Ogni estate prendo in affitto una casa a Camogli. Ci vengo con mia moglie e mia figlia. E con il mio cane, che abbiamo chiamato ‘Camuggi’ in omaggio proprio a questa terra. A New York, invece, vivo nel Greenwich Village”.
Si è appassionato alla storia del Golfo Paradiso, in particolare ai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
“Questa parte di storia contemporanea mi ha sempre attratto. La vita degli ebrei, le loro persecuzioni. Probabilmente è anche una questione di famiglia. Ora sto cercando di scrivere un articolo su alcuni ragazzi ebrei tedeschi che vissero a Recco alla fine degli anni Trenta, ospiti della Scuola Mediterranea. Una vicenda che mi piacerebbe far conoscere in America. Lì c’è ancora molta sensibilità su questo argomento”.
‘Devi sempre essere un democratico’: il monito di sua nonna Huffy. Lo ha rispettato?
“Certamente. Sempre democratico, tutta la vita. Per me avere Obama come presidente è stato il massimo. Ora invece siamo in un momento molto buio. Un po’ in tutto il mondo è così: l’idea di chiudere la porta, di lasciarsi fuori tutti i problemi e tutta la disperazione, dentro le nostre belle case. E’ tutto molto inquietante”.
Per questo c’è bisogno di ricordare periodi come la Resistenza, tragedie come l’Olocausto.
“Ce ne sarà sempre bisogno e dovremo farlo sempre. I populismi avanzano senza freno. Sono molto deluso. Dico sempre a mia figlia che questa non è la mia America. Una nazione che è stata letteralmente costruita dagli immigrati. A cominciare dalla città di New York. Che cosa siamo diventati? Che cosa è diventato il mio paese? Forse abbiamo sbagliato candidata. Forse Hilary Clinton non era la persona giusta. Ma Trump ha vinto le elezioni mentendo alle persone”.
E l’Italia?
“Non è che sia messa molto meglio. Salvini è una vergogna. Anche da voi i social network e le fake news hanno giocato e stanno giocando un ruolo devastante. Belle le esperienze come ‘Piazza Levante’, ma il quadro complessivo è desolante. Si cattura sempre meno l’attenzione dei lettori. C’è un impoverimento culturale pazzesco, negli Stati Uniti come in Italia. E, in queste situazioni, fanno breccia le posizioni più cupe”.
Su Genova lei ha scritto un articolo famoso sul ‘New York Times’: ‘Genoa Isn’t Rome or Florence. That’s Part of Its Charm’, ovvero Genova non è Roma o Firenze; questo è il suo fascino.
“Se sono convinto. La città mi ha sempre fatto una bellissima impressione. Per i suoi vicoli stretti, la sua gastronomia, il suo sviluppo verticale. E’ un posto unico in Italia, assolutamente da visitare. Ho scritto che ‘once Genoa gets inside of you, it cannot be purged. Genoa has a heart and soul like no other’: Genova ha un cuore e un’anima come nessun altro, una volta che ti conquista dentro non torni più come prima. E ne sono profondamente convinto. Ho molti amici in città, così come a Camogli e Recco. Ogni volta che vengo, la mia casa si trasforma in una specie di albergo. Lo faccio molto volentieri”.