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Giovedì 30 ottobre 2025 - Numero 398

Meloni, Giorgetti, Draghi: idee per una nuova Europa

Tutti o quasi tutti capiscono ormai i limiti di questa Europa ma pochi sono capaci di proporre una realistica visione per un cambiamento di rotta
La situazione che oggi vive l’Europa è del tutto inedita nella sua complessità, nel suo declino demografico, economico e industriale
La situazione che oggi vive l’Europa è del tutto inedita nella sua complessità, nel suo declino demografico, economico e industriale
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di ANTONIO GOZZI

Viviamo anni turbolenti e di cambiamenti profondi negli equilibri globali. 

Se non ci fermiamo alla schiuma delle onde la corrente di fondo è facilmente individuabile.

Siamo di fronte al più grande attacco alla libertà, prosperità e sicurezza del nostro mondo; un attacco sferrato da potenze la cui forza è senza eguali rispetto a quelle che contrastavano l’Occidente finita la seconda guerra mondiale.

Non si tratta solo di potenze statuali Cina, Russia, Corea del Nord, Iran, ma anche potenze di tipo nuovo come Hamas, Hezbollah, Houti.

Il mondo in cui abbiamo vissuto finora fatto di globalismo, multilateralismo, soft power, diplomazie ecc. sembra scomparso.

Si pensava che solo l’economia e la forza economica guidassero il mondo e invece ci ritroviamo sempre più spesso in situazioni regolate dalla forza e dalla potenza militare.

In uno scenario di questo tipo chi immagina equidistanze rischia di fare la fine del vaso di coccio.

Noi non possiamo che sentirci dalla parte delle forze che credono nei valori della libertà a partire da quella di fare impresa e non possiamo che lavorare perché queste forze siano sempre più unite.

Al contempo non possiamo ignorare che la comprensione di questo nuovo paradigma stenta ad affermarsi. Rappresentare gli USA, Israele, l’Ucraina come responsabili di questo grave disordine è un grave errore e una falsità ma questa rappresentazione è comune nelle nostre società.

Se stringiamo l’obiettivo, l’Europa, la nostra Europa come sta?

Draghi parlando qualche giorno fa a Oviedo è stato icastico. “Il mondo intorno a noi è cambiato radicalmente e l’Europa fa fatica a rispondere” e ha indicato due date come inizio di questo radicale cambiamento: la crisi finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2011. 

Questi eventi infatti hanno convinto gli avversari dei nostri valori che l’Occidente è avviato a un irreversibile declino e pertanto può essere sfidato. Quelle date segnano la perdita di “lucidità strategica” dell’Unione Europea. 

Mentre si susseguivano azioni unilaterali l’Europa insisteva su un multilateralismo e su un’apertura al mondo a prescindere. Mentre i grandi Paesi iniziavano a ritirarsi da una lotta al cambiamento climatico condotta in modo ideologico e astratto senza nessuna analisi di costi e benefici, l’Europa aumentava il suo ingaggio facendo finta di non vedere i costi economici sociali crescenti di queste politiche e dimenticandosi che non esiste sostenibilità ambientale se non vi è contemporaneamente sostenibilità economica e sociale. 

La presidente del Consiglio Meloni con molta semplicità ha detto ad un’Assemblea nazionale di Confindustria: “Se la decarbonizzazione diventa desertificazione industriale è un disastro perché in un deserto non c’è niente di verde”.

La Commissione Von der Leyen-Timmermans è stata l’apogeo di questa impostazione, così come nei vent’anni dell’Europa a conduzione franco-tedesca, non si sono visti altri problemi intorno a noi che si ingigantivano ogni giorno.

Si pensi solo alla questione della concorrenza e delle sue regole che ha costituito il campo di azione delle delega e della Divisione europea la più potente, la Dg Competition appunto.

Mentre nascevano grandi conglomerati multinazionali, si insisteva in Europa su una visione della “posizione dominante” sul nostro mercato e quindi ristretta e autocentrata senza capire che la competizione più significativa non era interna all’UE ma con i grandi conglomerati internazionali.

Si pensi al persistere di una posizione di politica economica e finanziaria che come denunciato recentemente dal Ministro Giorgetti ha stretto le nostre economie in una camicia di forza.

In questa situazione che fare?

Tutti o quasi tutti capiscono ormai i limiti di questa Europa ma pochi sono capaci di proporre una realistica visione per un cambiamento di rotta.

L’Italia è capace di giocare un ruolo da protagonista nella definizione e attuazione di una nuova Europa?

Ebbene posizioni recentemente espresse proprio dalle personalità citate sopra e cioè Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi mostrano una consapevolezza della situazione e una visione che per la prima volta potrebbe configurare un’originale via italiana a una nuova Europa.

Non credo ci sia un disegno studiato a tavolino ma se si mettono insieme i pezzi ne emerge un quadro interessante.

Meloni in Senato prima e all’ultimo consiglio europeo poi ha per la prima volta espresso con forza una contestazione radicale non degli obiettivi di decarbonizzazione del Green Deal europeo ma ai tempi, modi e strumenti con i quali l’estremismo dell’era Timmermans l’hanno portato praticamente al fallimento. E ciò a partire dalla contestazione, insieme alla Germania e ad altri Paesi europei della data del 2035 per la messa al bando dei motori endotermici.

Giorgetti in un recente intervento pubblico riconoscendo la fine dell’asse franco-tedesco ha detto che se non si cambiano rapidamente le regole del commercio internazionale l’industria europea in pochi anni sarà spazzata via dai prodotti e dalla manifattura cinese.

Draghi ha parlato di un federalismo pragmatico che partendo da una statualità nazionale che in Europa è imprescindibile, al di là della retorica ormai insopportabile di uno Stato federale che non esisterà mai, deve portare a “cooperazioni rafforzate” tra Stati che si trovano d’accordo su determinati obiettivi strategici condivisi ad esempio di politica industriale. Tali accordi consentirebbero di procedere più speditamente rispetto ai tempi ormai inaccettabili delle procedure comunitarie.

Inoltre, fatto altrettanto importante, questo federalismo pragmatico contribuirebbe a rinnovare lo slancio democratico dell’Europa stessa perché aderire richiederebbe ai governi nazionali di ottenere il sostegno democratico su obiettivi specifici condivisi, diventando cosi una costruzione dal basso invece che un’imposizione dall’alto di una sterminata burocrazia guardiana di Bruxelles priva di qualunque legittimazione democratica.

Tre pezzi di ragionamento che possono costituire una piattaforma che l’Italia deve con forza e autorevolezza sostenere.

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