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di MATTEO MUZIO *
Marjorie Taylor Greene è stata per anni una delle figure più riconoscibili del trumpismo, simbolo di un radicalismo che ha trovato terreno fertile nelle teorie complottiste di QAnon e nelle battaglie più estreme della destra americana. La sua parabola politica, però, sta conoscendo un cambio di direzione che ha sorpreso molti osservatori e che ha aperto una frattura profonda con Donald Trump. La deputata della Georgia, un tempo fedelissima, ha iniziato a prendere le distanze su dossier cruciali, dalla politica estera alle scelte interne del Partito Repubblicano, fino alla richiesta di rendere pubblici gli “Epstein Files”, un tema che ha segnato il punto di non ritorno nel rapporto con l’ex presidente. Trump ha reagito con durezza, bollando Greene come “pazza” e “traditrice” e annunciando che non sosterrà la sua corsa al Senato, preferendo puntare su un candidato alternativo. La risposta della deputata è stata altrettanto netta: rivendicare la propria indipendenza e denunciare un clima ostile alimentato dalla retorica trumpiana, che l’ha costretta a rafforzare le misure di sicurezza personali. È un passaggio che mostra come il trumpismo non sia più un blocco monolitico, ma un campo attraversato da tensioni e rivalità interne.
Sul fronte opposto, la sinistra osserva con diffidenza questa trasformazione. Greene rimane legata alle sue posizioni passate, dalle invettive contro Nancy Pelosi alle campagne complottiste che l’hanno resa celebre. Per molti democratici, la sua svolta appare più tattica che autentica, un tentativo di riposizionarsi senza rinunciare al profilo conservatore che continua a caratterizzare il suo voto in aula. La frattura con Trump, dunque, non basta a renderla un’alleata credibile, ma piuttosto un segnale delle difficoltà che attraversano il movimento MAGA. C’è da dire che però negli ultimi giorni ha avuto parole di elogio sull’efficacia della leadership dell’ex presidente della Camera, definendola una donna “forte”. Un bel cambiamento rispetto a quando ne chiedeva l’esecuzione. Alla Cnn, in un’intervista, si è scusata di essere stata un diffusore “di politica tossica” e di aver cambiato idea su molte cose, compreso il suo sostegno a Qanon, dichiarandosi “vittima” dei social media e dei loro meccanismi polarizzanti.
Il caso Greene diventa così un test politico: senza l’appoggio di Trump e con la diffidenza dei democratici, la deputata rischia di trovarsi isolata, priva di una base solida per la rielezione alla Camera. Al tempo stesso, la sua vicenda rivela come il tema degli Epstein Files sia diventato un terreno di scontro simbolico, capace di incrinare alleanze e ridefinire posizionamenti, nonostante il recente voltafaccia. Da icona del radicalismo trumpiano a figura controversa e contestata, Greene incarna oggi le contraddizioni di un Partito Repubblicano che fatica a trovare un equilibrio tra fedeltà al leader e un necessario margine di autonomia per gli esponenti locali.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)