di ALBERTO BRUZZONE
Dal ventre di via San Francesco a Chiavari, proprio accanto a quello che un tempo fu il convento dei frati di Sant’Antonio, risuona musica jazz. La chitarra di Django Reinhardt rasserena un’uggiosa giornata.
C’è la luce accesa, in quel sottoscala che da vent’anni è la ‘tana’ di uno dei più grandi artisti chiavaresi, liguri e non solo. Mario Rocca, classe 1951: pittore, illustratore, disegnatore, incisore. Chi più ne ha, più ne metta. Anche professore di educazione artistica alle scuole medie.
Un talento con la T maiuscola. Scendi i dieci scalini dal portone al portoncino del suo laboratorio e l’immersione nell’arte è completa. La vedi ovunque. La percepisci nei piatti in plastica diventati la sua tavolozza, negli acquerelli finiti sul pavimento, nelle tele appese sulle assi di legno, una a fianco all’altra, nelle maschere del teatro antico, nelle ceramiche, nei disegni a matita, nelle centinaia di libri e cataloghi alle pareti, di dischi, di videocassette. Un tesoro incredibile. Un tuffo nella fantasia di uno dei maestri più ispirati dei nostri tempi.
Sul tavolo da lavoro, in questo momento c’è un foglio bianco. Stretto e lungo, a mo’ di pergamena. “Mi hanno chiesto un intervento in occasione di una mostra che, prossimamente, sarà dedicata a Vittorio Ugolini, pittore morto a Chiavari nel 2006, con il quale ho avuto un bellissimo rapporto. Ma io non sono bravo con le parole – racconta Rocca – Allora ho pensato che l’intervento potesse diventare una lettera aperta, seppur tardiva, all’amico Vittorio. Nella quale comincio dicendo: ma io non so proprio cosa scriverti”.
Nessun computer, ci mancherebbe. Rocca usa carta un po’ ingiallita e una penna a roller nera. Che poi, tra gli altri doni, non gli manca neppure quello della scrittura: i suoi racconti, usciti qualche tempo fa nella raccolta intitolata ‘Risseu’, sono bellissimi, oltre che gustosi.
Rocca ci mette tutto se stesso, gioca coi colori, coi contorni, come fa da sempre nelle sue opere. Una sua mostra è attualmente allestita, sino al prossimo 18 novembre, presso la Galleria Cristina Busi di Chiavari, mentre in primavera è in programma una personale alla Commenda di Prè, a Genova.
“Ho esposto molte volte sia a Chiavari che a Genova – racconta Rocca – ma quando vado alle mostre, i miei quadri mi fanno un’altra impressione. Li sento meno miei. C’è troppo ordine, troppa precisione. Invece l’arte nasce dal disordine, dall’estro, dall’invenzione del momento”.
Quello di Rocca, in effetti, è un dipingere costante, frenetico. Si direbbe nervoso, ma assolutamente nel senso buono del termine. Profondamente emotivo. “Della pittura ho bisogno, dell’arte ho bisogno come il pane. E’ la mia vita. Non è né un lavoro né una passione. E’ vita e basta. Semplicemente e splendidamente vita”.
Figlio di un tappezziere chiavarese, Rocca è nato e sempre vissuto a Chiavari. Sangue misto ligure e friulano, per parte di mamma. Ha insegnato per anni alle scuole medie, soprattutto nell’entroterra: “Mi è piaciuto molto. Stare in mezzo ai ragazzi è una cosa stupenda. Non userei il termine insegnato. Ho dato tanto, ma ho preso altrettanto. Con gli studenti è stato uno scambio continuo. E’ il bello dell’arte. Mi sarebbe piaciuto pure stare alle elementari o negli asili. Dove i bambini disegnano tutto il giorno, disegnano e tengono la matita in mano costantemente. Proprio come me”.
Rocca lo racconta senza remore: “Ho sempre avuto la passione per l’arte. Non so nemmeno quando sia iniziata. E’ sempre stato così. Sento il bisogno di esprimermi. E, alla sera, quando chiudo la porta dello studio, immagino che i miei quadri, come fossero dei figli, prendano vita, per parlarsi l’uno con l’altro. ‘Io sono più bello’, ‘Io sono venuto male’. In realtà, non esistono lavori venuti bene o venuti male. Sono tutti figli del momento. Ci sono quelli più o meno soddisfacenti. Ma non c’è nemmeno troppo tempo per fermarsi, bisogna sempre pensare al prossimo”.
E qui racconta un aneddoto: “Negli ultimi tempi, Vittorio Ugolini mi regalava spesso delle tele, chiedendomi di farne uso. A volte, c’erano sopra suoi lavori che lui considerava non finiti. Una volta ne ho srotolato uno, mi è piaciuto, l’ho montato su una cornice e l’ho appeso. Quando Vittorio è venuto a trovarmi, lo ha visto a una parete. Gli ha messo una firma con scritto sotto ‘quadro non finito’. Poi ha aggiunto la parola ‘forse’. E’ tutta una questione di sensibilità: quello che a me pareva degno di essere appeso, per un altro poteva essere da nascondere. Anche quando andiamo alle mostre. Io vedo un Picasso e penso a una cosa, un altro può pensare diversamente. Magari Picasso immaginava altre cose ancora. E’ tutto un flusso”.
Un flusso creativo, nel caso di Rocca. Mentre fa lunghi tiri con la sigaretta e poi spegne l’ennesimo mozzicone, apre la porta finestra che conduce al cortiletto esterno. “Vedi, qui c’è l’ex convento dei frati. Delle volte penso che sto lavorando in clausura. E la cosa mi fa sorridere”.
In realtà, Rocca – che del pittore ha proprio tutto, a cominciare dalla chioma ribelle, lo sguardo profondo, le manone di chi della manualità ha fatto una vocazione – è libero come l’aria, come la bravura che sparge intorno a sé.
Valeria Corciolani, scrittrice chiavarese molto apprezzata a livello nazionale sia per i suoi gialli che per i libri per ragazzi, ha scritto di lui: “L’arte di Mario Rocca non è solo farsi rapire dall’esplosione del colore, o fremere insieme al pulsare della materia densa e viva, o lasciarsi trascinare dall’energia catturata da ogni tratto, segno e pennellata, o perdersi nel vibrante vorticare delle figure. No. L’arte di Mario Rocca è scivolare dentro un universo intero. E’ impossibile porre resistenza. Ti abbandoni e ci finisci dentro, tutto, dalla testa ai piedi. Come cavalcare una sinfonia di Berlioz, o accoccolarsi su una poltrona di cuoio avvolti dalla tromba di Enrico Rava”.
Come la chitarra di Django Reinhardt. In fondo, in via San Francesco a Chiavari, una musica così poteva provenire solamente da un posto. La bottega d’arte del grande Mario Rocca.