di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Un lavoro legato all’immaginazione: così gli alunni delle scuole Della Torre affrontano il tema della commemorazione della Festa di Liberazione. Trovo molto affascinante l’utilizzo dell’immaginazione come mezzo per ragionare su una data così importante del nostro calendario civile. In quel giorno lontano si raggiungeva un traguardo determinante per il nostro Paese e per tutto il continente europeo: la fine della guerra e l’avvio di una nuova crescita democratica per i diritti civili.
Solitamente la narrazione resistenziale ricorre al mezzo delle cronache militari. I ragazzi della scuola Della Torre ricostruiscono una parte rilevante della Chiavari di quel tempo ricorrendo a lettere immaginarie. Si tratta di venti epistole che raccontano una caratteristica umana ben lontana dal clima di guerra e violenza: la passione d’amore. Un sentimento forte in una quotidianità spezzata da mille angosce, cui l’amore di uomo e di una donna potrebbero sembrare completamente estranei, lontani; ma il loro amore non poteva escludere la partecipazione diretta a quella lotta per la libertà che si chiamò Resistenza.
Ecco il mezzo drammaturgico utilizzato: una immaginaria storia d’amore nel cuore della lotta di Liberazione. Gli eventi di questa storia iniziano molto prima, durante la nascita della dittatura fascista, quando lo squadrismo colpiva con ogni mezzo violento chi si opponeva alla dittatura. Iniziano con una storia d’amore ancora precedente che viene a segnare il cammino della storia, tra Giacomo Matteotti e Velia Titta, un politico antifascista e una poetessa.
Il 10 giugno 1924, mentre come ogni giorno usciva di casa per andare al parlamento, Giacomo viene intercettato e rapito da un gruppo di sicari, che si allontanano con un’automobile verso la periferia romana. Le notizie dei giornali parlano da subito di una violenta colluttazione, di un’azione assassina. Dovrà passare più di un mese per ritrovare il corpo di Giacomo: quaranta giorni interminabili, d’attesa e speranza.
Velia e i suoi tre piccoli figli attendono ora dopo ora in un interminabile calvario. Dopo il funerale la famiglia tenta di organizzare una vita dignitosa e serena, ma non è facile; per il nome che portano, i Matteotti saranno sempre costantemente vigilati da un pesante regime di polizia.
Il 5 giugno del 1938 Velia muore e i figli sono affidati ad un tutore. Il giudice del tribunale di Roma indica nella famiglia Wronowski la migliore soluzione all’ennesimo dolore. Dopo l’affido la famiglia Wronowski-Matteotti si trasferisce dapprima a Lavagna, in corso Buenos Aires, ma poiché lo spazio è troppo angusto, cerca un alloggio più grande che possa garantirle una convivenza migliore. La nuova residenza è trovata a Chiavari, in piazza Roma all’interno 16 del civico 1, dove si trasferiscono il 6 settembre del 1938. Adesso la vita del nuovo gruppo famigliare si svolge in una città apparentemente tranquilla, la grande piazza alberata antistante la casa si trova in un’area residenziale ben inserita nel contesto urbano chiavarese. I ragazzi Matteotti Wronowski non tardano a trovare punti d’aggregazione: il primo è nel vicino panificio di “Marinin Mignone”, il popolare “Trombetta” nell’attuale via Vittorio Veneto, dove i giovani s’incontrano e fraternizzano con altri chiavaresi. Qui, e nella non lontana piscina del Lido, Laura farà conoscenza con Sergio Kasman; e questa è la seconda tempestosa storia d’amore.
Qui si avvia il carteggio immaginario tra i due pensato dai ragazzi della scuola ‘Della Torre’. Le prime righe sono di conoscenza reciproca, poi curiosità, infine passione e amore. Non possiamo però dimenticare che eravamo in guerra: una lettera ben più funesta raggiungerà Sergio, si tratta della chiamata alle armi. Ma le lettere riprendono e il racconto continua. Il tema chiave dell’impianto narrativo rimane la parola tempesta, metafora inquietante, dal doppio significato, travolgente e preoccupante.
Le date del calendario si rincorrono vertiginose, giunge il 27 luglio del ’43. La gente porta la tempesta in mille piazze del Paese: il fascismo è finito? No, giungerà l’8 settembre, il bivio delle grandi scelte. Pur lontani, “Kiki” e “Marco” si ritrovano vicinissimi: Resistenza!
Ed ecco la nuova tempesta, un fiume di passioni, di grande generosità per liberare l’Italia e portarla fuori dalla tempesta atroce della guerra mondiale, dei rastrellamenti, dei campi di concentramento, delle fucilazioni. Il cammino sarà lunghissimo.
Ora “Kiki” è alla testa di un gruppo di partigiani, la loro formazione si chiama “Giustizia e Libertà”, sono sotto la tempesta e sembra che il cielo precipiti su di loro. Ecco, un rumore dal buio, sono i compagni tanto attesi e in ritardo per via del nubifragio, davanti a loro il Campo di Calvari: entriamo in azione! Nel giro di pochi minuti sorprendono l’intero presidio, si aprono i cancelli: ‘via, siete tutti liberi!’
Chissà se “Marco” pensava alla sua “Kiki” in questa azione. Lui ora cammina per Milano e giunge in piazza Lavater, il suo passo è deciso, spalle alte e sguardo in avanti, qualcuno grida il suo nome, poi uno sparo, il suo corpo ruzzola a terra: morirà poco dopo. Ecco la nuova tempesta era giunta, quanto aveva scritto Laura-“Kiki” in una sua lettera preoccupata e piena di timore – non ti far uccidere,Sergio – si è fatta realtà. “Marco” è morto!
Se passate in quella piazza di Milano, vi trovate ancora una lapide in marmo a raccontare quanto accaduto in quella maledetta giornata. La storia ritorna implacabile: in un giorno di giugno per Giacomo, in dicembre per Sergio, e poi le lacrime di Velia e di Laura.
Giunti al termine del racconto, delle lettere che ci hanno accompagnato in una memoria così lontana, dobbiamo fermarci e pensare quanto basta. Trovare il tempo per rammentare con precisione le mille tempeste di quei giorni, di uomini e donne come “Marco” e “Kiki”, innamorati e combattenti: perché non può esistere un amore bello senza libertà! Il 25 aprile del 1945 la tempesta terminò, ora tutti al lavoro per la memoria!
(* storico e membro dell’Associazione Nazionale Partigiani)