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Giovedì, 25 maggio 2023 - Numero 271

Ma chi sono i veri fascisti?

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In Italia in questi tempi si parla spesso, e spesso a sproposito, di rischi di ritorno del fascismo, di rischi per le libertà fondamentali, di politica violenta ecc. e si si individuano Matteo Salvini e la sua Lega come i nemici da contrastare e da abbattere.

Il fascismo fu una sciagurata dittatura che iniziò con la chiusura o la messa sotto controllo dei giornali liberi. Il bavaglio alla stampa fu una delle prime operazioni fatte dal Duce per chiudere occhi e orecchi agli italiani. Alla fine del 1925 entrò in vigore una nuova legge sulla stampa che sancì che i giornali potessero essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un responsabile riconosciuto e approvato dal prefetto e cioè dal Governo. I giornali che non soddisfacevano questa condizione furono considerati illegali.

Perché ricordiamo questa tragica pagina della storia italiana? Per affermare con orgoglio che dalla caduta del fascismo con il ritorno della democrazia e l’avvento della Repubblica la libertà di espressione e di stampa divenne uno dei pilastri costituzionali e un valore mai rimesso in discussione.

Ebbene in questa triste Italia della fine del primo ventennio del 2000 con il Movimento 5 Stelle al governo prima con la Lega e oggi con il Pd la libertà di stampa è stata rimessa più volte in discussione.

Il primo episodio sconcertante e inquietante è stato il forsennato attacco condotto per mesi contro Radio Radicale dall’allora sottosegretario all’editoria Vito Crimi che, protetto e spalleggiato dal capo politico del M5S, Luigi Di Maio, allora vicepremier, decise che Radio Radicale dovesse chiudere. Il modo per chiudere era il blocco dei contributi versati all’emittente per oltre 45 anni da tutti i Governi della Repubblica, che avevano sempre riconosciuto il valore e il ruolo di servizio pubblico di quella voce che ogni giorno manda in onda le sedute del Parlamento, i principali eventi politici (congressi e assemblee di tutti i partiti), i principali processi.

Solo la strenua battaglia di Radio Radicale, di tutti i suoi amici e sostenitori presenti in ogni schieramento politico, di un po’ di voci della libera stampa e la presa di posizione dell’altro vicepremier Salvini – che dichiarò “chiudere Radio Radicale con un tratto di penna non è utile alla libertà di stampa” e fece votare la Lega a favore dei finanziamenti all’emittente insieme alle altre forze politiche e contro il M5S – riuscirono a salvare la radio fondata da Marco Pannella.

Oggi ci risiamo con il Foglio, voce libera della stampa italiana ormai gestita da una cooperativa di giornalisti e impegnata nella difesa dei valori di una società liberale e senza padroni.

Nei giorni scorsi un giornalista, già consulente del gerarca a cinque stelle Vito Crimi, ha anticipato via blog la decisione del Dipartimento dell’editoria, di cui è responsabile politico il sottosegretario Andrea Martella (Pd), di escludere il Foglio dai contributi per l’editoria del 2018.

La motivazione non è chiara. Sembra che anche in questo caso si sia escogitata qualche trappola giuridico-burocratica per mettere in difficoltà una voce libera sovente critica verso il potere. In particolare è stata ripescata e rispolverata una vecchia inchiesta della Guardia di Finanza risalente al 2009, rimasta nel cassetto per dieci anni, in base alla quale il Foglio nel biennio 2008-2009 non avrebbe avuto diritto al contributo di legge perché in quel periodo non avrebbe raggiunto la percentuale del 25% delle vendite calcolate sull’intera tiratura. Il Foglio dimostrò alla GdF già allora, dati e documentazione alla mano, che l’assunto era completamente falso e infatti la vicenda apparve archiviata.

Oggi però, come detto, la cosa viene risollevata da quei grandi amanti della libertà che sono i Cinque Stelle, tanto che qualche tempo fa il portavoce grillino del premier Conte, Rocco Casalino, con sarcasmo e arroganza assolutamente inopportuni da parte di un sia pure pro-tempore rappresentante delle Isituzioni, chiese al giornalista del Foglio Salvatore Merlo perché mai si desse tanto da fare visto che di lì a poco il giornale sarebbe stato chiuso.

Disconoscere la legittimità del contributo 2008-2009 e chiederne la restituzione (oltre sei milioni di euro) rischia ovviamente di far fallire il giornale.

Il sottosegretario Martella (Pd), interrogato sulla vicenda, si è laconicamente limitato a dire che un’istruttoria è in corso e che oggi è inutile fare un polverone.

Ricordiamo a Martella che difendere la libertà di stampa non è mai “fare polverone” e che anche in questo caso come in altri (vedi vicenda della prescrizione) il Pd è chiamato a una scelta di campo e di civilità.

Zingaretti con chi stai? Con i giustizialisti del M5S capitanati da un Di Maio ormai scoppiato che, alla disperata ricerca di consenso dai suoi, cavalca ogni battaglia demagogica e populista, o con i portatori dei valori di una democrazia liberale che cercano di difendere i dettati costituzionali sulla libertà di espressione e stampa, sulla ragionevole durata dei processi, sull’innocenza di ogni imputato fino a sentenza definitiva passata in giudicato?

Noi si sperava che il Pd, finalmente, avesse abbandonato gli anni del giustizialismo, di Di Pietro candidato nel collegio del Mugello, dell’appiattimento sul verbo delle procure e del circo mediatico-giudiziario. Si sperava che nelle piazze delle sardine, oggi così di moda, si parlasse anche di libertà di stampa, di Radio Radicale che non deve chiudere, del fatto che non è giusto tenere sotto processo una persona tutta la vita.

O siamo sordi o noi questo non sentiamo e allora ci preoccupiamo assai.

Ci sono valori non derogabili e per i quali bisogna sempre battersi anche quando ciò rischia di far saltare il Governo.

La destra non è solo quella che si dichiara tale, ma è anche un movimento giustizialista e populista di mozza-orecchi camuffati da fricchettoni che si definisce né di destra né di sinistra, controllato da un’azienda privata, la Casaleggio e Associati, che senza alcun controllo democratico raccoglie soldi alla grande da altre aziende di ogni tipo, a titolo di consulenze con prezzi fuori mercato, per influenzare non solo l’opinione pubblica con il digital marketing, ma anche le decisioni politiche dei parlamentari.

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