Sta in collina Coreglia, un dolce pendio, un rilievo da niente se paragonato alle grandi montagne, e quelle concrete, concretissime, di Italia e di Francia, e quelle costruite sulle diffidenze e i distinguo che Luca Raggio ha scalato in 23 anni.
Per diventare ciclista professionista partendo dalla Liguria, terra che sforna con estrema parsimonia atleti in grado di imporsi alla ribalta internazionale. Bisogna armarsi di una volontà non comune, di una caparbietà che ti porta a scavalcare muri apparentemente insormontabili, averci dentro il fuoco. Magari preservare qualcosa di quel bambino che disputava le cronometro sulla ghiaia del giardino di casa e che provava ad arrivare in cima al Passo della Crocetta, alcuni chilometri oltre Coreglia, avendo Pantani (appena intravisto) e Nibali (seguito in Tv) come avversari immaginari.
Luca ha 23 anni ed ha appena concluso la sua prima stagione tra i Pro. Sin da quando è saltato in sella, è sembrato uno con la stoffa giusta, un fisico adatto alla figura dello scalatore moderno, longilineo, squadrato, lunghe leve ma proporzionate al tronco, ben lontano dalle pulci e dai caprioli, più il genere Froome che quello Chiappucci, per chi se ne intende. Soprattutto il suo motore è regolato da una centralina intelligente, un cervello che non smette di lavorare neppure ad altissima quota. Qui siamo oramai lontani anni luce dal “ciao mamma, sono arrivato uno” che echeggiava nei ‘Processi alla Tappa’ dei tempi eroici.
Raggio comincia con la GS Levante come tutti quelli che nel Tigullio vogliono cimentarsi nel ciclismo su strada agonistico. E sono subito vittorie e piazzamenti importanti. Nel 2016 la Viris Maserati di Vigevano lo sceglie per quello che è un vero e proprio top team tra i dilettanti. Il salto di qualità l’anno scorso, in primavera vince il Giro della Provincia di Biella e il Trofeo Matteotti, si piazza decimo al Giro d’Italia Under 23, secondo tra gli atleti italiani.
Davide Cassani, commissario tecnico della Nazionale, lo sceglie per la squadra che partecipa al Tour of the Alps, il vecchio Giro del Trentino. Luca è oramai uno dei nomi più in vista nella categoria Under 23, che è l’anticamera del professionismo. Ha appena compiuto 22 anni (è nato il 26 marzo 1995) ed arriva la proposta tanto attesa: la Wilier Triestina-Selle Italia gli propone un biennale.
Le sensazioni di quei giorni può riassumerle solo il diretto interessato: “Sembrava un sogno irraggiungibile ma non ho mai smesso di crederci, l’ho inseguito, cercato, voluto con tutto il cuore, con tutte le mie forze!”.
L’asticella si alza parecchio, il traguardo è posto molto in alto anche per uno scalatore come lui. “La società mi manda con la seconda formazione, quella dei giovani, a disputare il Tour de Almaty in Kazakhistan in ottobre e il tour de Hainan in Cina in novembre. Devo dire che è stato come essere proiettati su un altro pianeta, oltre a gareggiare in ambienti lontani anni luce da quelli ai quali ero abituato, su percorsi e in condizioni climatiche non dico provate in precedenza ma neppure immaginate. Inoltre i ritmi di corsa e le tattiche di gara sono completamente diversi che tra i dilettanti”.
Le ragioni per intimidirsi se non demoralizzarsi ci sarebbero, ma la tempra di Luca Raggio non è tale da piegarsi per così…poco. “A poco a poco ho cominciato a comprendere come muovermi, come gestirmi, a stare in gruppo, a collaborare con i compagni. E se tra i dilettanti potevo in alcune corse giocarmela con i passisti, tra i pro ho subito compreso che dovevo specializzarmi come scalatore”.
Pochi giorni di riposo e poi a fine 2017, subito sotto per prepararsi al secondo anno tra i… grandi. “Nel ciclismo moderno di alto livello non puoi mai staccare la spina, a gennaio di quest’anno ero in Africa per partecipare alla ‘La Tropicale’, poi senza soluzione di continuità in Olanda, Usa, e ad aprile di nuovo in Italia al Tour of the Alps. La Wilier ha deciso di inserirmi nel team di punta in corse come il Giro dell’Appennino e al Città di Lugano. In luglio e agosto ho corso in Cina e in Francia, nelle competizioni post Tour. Nei mesi scorsi mi sono diviso tra prima e seconda formazione: con i ‘grandi’ ho preso il via al Giro dell’Emilia e alla settimana lombardo-piemontese iniziata con la Milano Torino e conclusa con il Giro di Lombardia”.
Un’emozione e allo stesso tempo un onore prendere parte alla ‘classica delle foglie morte’, l’epopea conclusiva della stagione dei grandi, “Non per noi ‘apprendisti’. A settembre ero impegnato nel Tour della Cina, il 21 ottobre ho corso la Japan Cup. Un ulteriore step di esperienza e di formazione, dividermi tra continenti e impegni diversissimi tra loro. Quando ho messo il piede a terra il 21 ottobre, ho realizzato che avevo appena concluso che in questo 2018 avevo gareggiato per 71 giorni su 300 e che avevo percorso in bici quasi 10mila chilometri”.
E’ comprensibile che Luca abbia in questi giorni un po’ di nausea per pedivelle, manubri e tubolari. “E’ vero, sono tornato a casa mia, a Coreglia, e ho appeso il mio attrezzo del mestiere a un chiodo, per un paio di settimane andrò con quattro ruote o due ma…motorizzate”.
Una vacanza rilassante per un tipo normale solo all’apparenza. La volontà, nascosta dal sorriso da bravo ragazzo, resta di…titanio. “In molti mi hanno chiesto se intendo cambiare abitudini o residenza ora che la mia avventura nei professionisti è diventata realtà. Non vedo perché dovrei, qui a Coreglia sto benissimo, ho la tranquillità che mi serve per ricaricare le batterie. Facciamo una decina di giorni e poi si riattacca. La stagione che arriva sarà decisiva, sono in scadenza di contratto, devo mettermi in luce e convincere i miei dirigenti e i miei tecnici che possono continuare ad avere fiducia in me”.
E dicendolo gli brillano gli occhi: il successo, la vittoria sembrano distanti, irraggiungibili solo a chi abbassa la testa sul manubrio; il grimpeur di razza non si volta, non si guarda i piedi, fissa il traguardo, lassù, un attimo prima del cielo.
(d.s.)