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Giovedì, 1 giugno 2023 - Numero 272

Lorenzo Licalzi torna in libreria… ed entra in doppia cifra

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di ALBERTO BRUZZONE

Lorenzo Licalzi entra in doppia cifra. Il popolare e apprezzatissimo scrittore genovese ha da poco pubblicato, per l’editore Rizzoli, il suo decimo libro. ‘Le alternative dell’amore’ ci porta in Borgogna, dove due storie s’intrecciano a settant’anni di distanza l’una dall’altra: quella di Tristan Dubois, giovane scrittore parigino che si rifugia in un piccolo paese nel cuore della Côte d’Or in cerca dell’ispirazione perduta e per riconciliarsi con il ricordo di Isabelle, che lo ha lasciato quattro mesi prima, ma che continua ad amare; e quella di Wilfred Baumann, ex ufficiale nazista che durante l’occupazione tedesca in Francia comandava un piccolo plotone dislocato nello stesso paese in cui, per oscure ragioni, è tornato a vivere dopo anni.

Un romanzo scritto con uno stile avvincente, sempre brillante, fresco e vivo. Alla Lorenzo Licalzi, insomma. Che, oltre all’editoria, come molti sanno, si è ritagliato un ruolo di opinionista in televisione e sulla carta stampata, ad argomento calcistico. O, per dirla tutta, ad argomento Sampdoria, la sua squadra del cuore.

Licalzi, sempre simpatico e disponibile, parla del suo lavoro e della letteratura in generale tra una presentazione pubblica e l’altra.

‘Le alternative dell’amore’ è il suo decimo romanzo. È arrivato in doppia cifra ma è sempre brillante. Qual è il suo segreto?
“Il segreto è scrivere solo quando si ha qualcosa da dire, e buttare via le cose che mentre le scrivi capisci che non funzionano, quando cioè la storia che stai scrivendo resta fuori di te. Sperando che mentre la scrivi succeda che invece, per qualche misterioso motivo, ti entri dentro e ti faccia scattare una sorta di fervore creativo per cui le parole escono in un flusso continuo e la storia si compone da sé, mi verrebbe da dire. Ho esordito nel 2001, quindi per pubblicare 10 romanzi ho impiegato 18 anni, per scriverli direi 20, considerando che quando ‘parto’ un romanzo lo scrivo in un mese e lo chiudo in sei, mi pare un tempo ragionevole per ricaricare le pile tra l’uno e l’altro, senza contare che nel frattempo ne ho buttati via altrettanti, almeno”.

Quanto c’è di lei in Tristan Dubois?
“Di me c’è quello che c’è in tutti gli altri protagonisti dei miei romanzi, vale a dire parti di me che si intrecciano con parti di loro, con l’identità che assumono durante il processo creativo. Sul piano più specifico, il fatto che anche io, come lui, sia uno scrittore, e che anche lui, come me, non scriveva da tre anni, e poi una certa predisposizione ad apprezzare il gusto delle cose belle, e buone, come un bicchiere di Pinot Noir Grand Cru, per esempio”.

Baumann è malvisto dagli abitanti del posto, però con Tristan riesce a sviluppare un’empatia. Quanto pesa secondo lei, che è uno psicologo, il tema del pregiudizio nella società contemporanea?
“L’essere umano è vittima di due condizionamenti quasi inevitabili che in psicologia si chiamano effetto alone e pregiudizio contagioso, aloni e pregiudizi che evidenziano un aspetto di una vicenda o un tratto del carattere di una persona e offuscano e contagiano tutti gli altri. Per spiegare meglio il concetto, prendo in prestito una considerazione che fa Tristan nel romanzo: ‘L’effetto alone più potente lo determina l’innamoramento, il pregiudizio contagioso invece il razzismo, anche quando pensi di non esserlo, come quelli che dicono “io non sono razzista ma…”, ecco in quel “ma” si nasconde il pregiudizio contagioso. Effetti alone e pregiudizi contagiosi condizionano costantemente i nostri pareri, giudichiamo un libro, un film, un ristorante, un vestito, non riuscendo quasi mai ad affrancarci dall’importanza che viene attribuita allo scrittore, regista, chef o stilista, o spesso addirittura da quanto è “di moda”, ma è solo per fare degli esempi, perché succede sempre e su tutto, nel bene e soprattutto nel male, e perfino quando i nostri giudizi sono anticonformisti, quell’anticonformismo altro non è che il conformismo delle persone che frequentiamo o alle quali idealmente ci sentiamo vicini, o desideriamo esserlo; e non è desiderio di appartenenza, o meglio lo è, ma affonda le sue radici in una delle varianti umane dell’istinto di sopravvivenza, che essendo un istinto è difficile da contrastare’. Tristan, ed io nella vita, cerchiamo di farlo.

Nel panorama editoriale italiano si sente un arrivato? O ha sempre voglia di scrivere come se fosse il primo romanzo?
“Voglia di scrivere come il primo romanzo solo quando succede quella cosa che ho detto, altrimenti zero. Arrivato? Direi che mi accontento, poteva succedere molto di più ma anche molto di meno. Pubblico per il gruppo editoriale più importante italiano, nello specifico per Rizzoli. A oggi ho venduto, contando tutte le edizioni di tutti i libri pubblicati, quasi quattrocentomila copie. Da un mio romanzo è stato tratto un film, altri sono stati rappresentati a teatro, ho vinto qualche premio letterario minore e sono stato finalista tre volte al Bancarella, senza mai vincerlo peraltro, tutti i miei romanzi sono in catalogo e pubblicati nei tascabili della Bur, perché, certo non con numeri bulgari, la gente continua a comprarli, alcuni hanno superato la decima edizione, altri sono stati tradotti all’estero. Due: ‘Io no’ e ‘Che cosa ti aspetti da me?’ rispettivamente in Russia dove è andato molto bene e adesso è in tascabile, e in Giappone, sul quale non ho notizie. Posso accontentarmi, ma allo stesso tempo sognare di vincere il Campiello (lo Strega ho la consapevolezza di non sognarlo neppure) o vendere duecentomila copie per un solo romanzo. Direi che le probabilità sono ascrivibili all’ordine del miracolo, ma trattandosi di un sogno, oltretutto vissuto con molta tranquillità, mi sento autorizzato a farlo”.

Si riesce a vivere di sola scrittura, al giorno d’oggi?
“Dipende da quante copie vendi, io potrei viverci ma farei abbastanza la fame, non tanto da chiedere il reddito di cittadinanza però. Se poi lo si intende in senso più ampio, vale a dire collaborare con giornali, riviste e siti Internet, allora la cosa migliora un po’, ma non di tanto”.

Che rapporto ha con i social network?
“Eccetto WhatsApp, quasi nessuno. Non sono su Facebook, anche se c’è un Lorenzo Licalzi Fan Club con 1200 fan, a cui accedo tramite i miei figli che sono iscritti. Gli altri Lorenzo Licalzi, mi pare due, non sono io. Instagram credo di non averlo mai aperto. Sono su Twitter, ma ho scritto solo la prima frase, che poi era un punto interrogativo, nonostante questo ho 162 follower, mi sento molto Forrest Gump quando correva e tutti lo seguivano senza un perché, nel mio caso solo per un perché”.

È contento del suo ruolo di opinionista tv?
“Mi diverto molto, soprattutto perché mi trovo molto bene con le persone con cui lavoro, e perché, essendo un tifoso sfegatato della Samp, mi piace, come a tutti i tifosi, dire la mia, e quando la tua la sentono, o la leggono sulla mia rubrica sul Secolo XIX, in tanti, il piacere ovviamente aumenta. Però il tutto con moderazione, e qualche volta anche con un po’ di disagio perché trovo abbastanza deprimenti quelli che parlano solo di calcio in tv, ma fortunatamente la mia vita non ruota tutta intorno alla Sampdoria”.

Marotta di recente ha detto che ai tempi d’oggi una provinciale che vince lo scudetto è pura utopia. L’ultima è stata la Sampdoria. Rimpiange quei tempi?
“Eccome se li rimpiango, e non solo per tutte le grandi vittorie, ma perché sono accadute durante la mia giovinezza, e le cose belle che ti capitano durante la giovinezza si rimpiangono sempre, perché erano belle ma soprattutto perché eri giovane, e dunque adesso ti sembrano ancora più belle”.

Lei è tra i detrattori o estimatori di Ferrero? È un personaggio che metterebbe in un suo libro?
“Deciso detrattore sul piano comportamentale, moderato estimatore su quello manageriale. Su un mio libro? Certo non come protagonista, non ne ha lo spessore, forse chissà, un personaggio minore con forti caratteristiche cabarettistiche, una ‘Sagoma’ diremmo a Genova”.

Genova città ferita. Saprà rialzarsi? Lei è ottimista o pessimista?
“Genova saprà rialzarsi, e con grande fatica, solo se saprà rialzarsi l’Italia, altrimenti cadrà anche lei nel buco nero dal quale siamo attratti, Genova, l’Italia, l’Europa e il mondo intero. Quindi non sono tanto ottimista, anche se, pare, che se si contrasta la gravità di un buco nero andando più veloci della luce, si riesca a sfuggire alla sua forza attrattiva. Ci sono astrofisici che teorizzano la possibilità che si possa viaggiare più veloce della luce, e poi mica tutti i buchi neri sono uguali, quello che sta attraendo il Mondo, si è formato da poco, forse gli si riesce a sfuggire anche andando più piano, ma il difficile è, appunto, andare più piano. Stiamo andando troppo veloci ma nella direzione sbagliata, verso il buco nero”.

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