“Il 25 aprile è ancora e rimarrà sempre una questione di cuore. Anche quando, con il passare degli anni, non ci sarà più nessun protagonista vivente. Perché nella Resistenza ci sono le basi della nostra democrazia. I partigiani combatterono per il diritto di voto alle donne, per la libertà di culto e di pensiero, per la libertà politica. E presero la strada più giusta”. Parla Sandro Antonini, studioso di Sestri Levante e tra i maggiori storici in Liguria per quando riguarda l’epopea dei partigiani e quella del fascismo nella nostra regione. Con il rigore scientifico che gli appartiene (si è laureato in Scienze Politiche con indirizzo storico), ha scritto decine di libri, “prendendo sempre come fonte i documenti ufficiali e rimettendo anche un po’ d’ordine laddove troppa memorialistica aveva fatto un’eccessiva confusione” (nella foto in alto, la Divisione ‘Pinan-Cichero’; nella foto qui sotto, un gruppo di Partigiani in Val d’Aveto nell’inverno del 1944).
Antonini è un uomo ricco di sapere. Ricorda a memoria tutte le date. I nomi. I luoghi. Le situazioni. E’ il suo mestiere. Così come fa parte dello storico ricercare i fatti e raccontarli nella maniera più asettica possibile. Ma, a parlare di 25 aprile, si emoziona anche lui: “Io credo – osserva – che gli alleati in Italia avrebbero vinto comunque. Non tanto per i contingenti, visto che c’erano ben cinquecentomila tedeschi in campo e loro erano più o meno lo stesso numero, quanto per gli armamenti, nettamente superiori. Eppure, tutto è partito dagli italiani. Dalla Resistenza, dalla voglia di riscatto che avevano queste persone. Dalla voglia di reagire alla dittatura. E’ stata un’esperienza fortissima. I partigiani ci sono stati un po’ in tutta Europa, ma in Italia hanno avuto una forza e un’organizzazione seconde solo a quelle della Jugoslavia contro Tito”.
Ecco perché il 25 aprile va ricordato, anno dopo anno, di generazione in generazione. Perché è la nostra Storia. Una vicenda impetuosa, dolorosa, sanguinosa – sempre di guerra si parla – ma con un finale eccezionale. Dove il sacrificio di molti ha portato alla libertà di tutti.
Proprio nel Levante genovese, ricorda Antonini (foto a destra), ci fu il teatro dell’ultima battaglia.
Partiamo da questa allora…
“L’ultimo scontro tra alleati e tedeschi avvenne tra il pomeriggio del 25 aprile e la mattina del 26 aprile. Siamo tra Sestri Levante e Chiavari. Il 24 aprile, americani e inglesi stanno marciando verso Genova quando, all’altezza di Cavi di Lavagna, vengono attaccati dalle cannonate dei tedeschi. Si erano piazzati in cima alla collina delle Grazie. Non si poteva passare, occorrevano rinforzi. Così, a Sestri fu convogliata una batteria di cannoni da 105 mm. Non solo: un bulldozer spianò la strada e sull’Aurelia poté atterrare, nella zona dell’ex Fit, un aereo alleato, che avrebbe diretto dall’alto le operazioni del giorno dopo. Il tutto agli ordini del colonnello Philo M. Baumgartner, al comando del 599° Field Artillery Battalion (battaglione di artiglieria campale)”.
Come finì?
“Il pomeriggio del 25 venne sferrato l’attacco. L’aereo individuò la base dei tedeschi e questa, con un bombardamento mirato, venne distrutta la mattina del 26 aprile. Anche Chiavari, a questo punto, era completamente liberata. Gli alleati arrivarono a Genova la mattina del 27 aprile e anche qui non trovarono più né tedeschi né fascisti. Ci aveva pensato il generale Gunther Meinhold”.
Come nacque, anni prima, la Resistenza nel Levante genovese?
“Nel Tigullio si partì con un gruppo di poche persone, che decisero di radunarsi a Cichero per dar vita a una formazione. Era il 1943. Ma in cima ai monti faceva freddo e a Natale si contavano appena tre persone. Poi, però, nella primavera e nell’estate del ’44 diventarono migliaia. E molti rimasero a combattere anche dopo il Proclama Alexander del 13 novembre 1944, quando il feldmaresciallo inglese Harold Alexander invitava gli aderenti alla Resistenza italiana nel Nord Italia a cessare ogni operazione organizzata su vasta scala e attestarsi su posizioni difensive. Seguirono i rastrellamenti da parte di tedeschi e fascisti a nord della Linea Gotica e questi furono i momenti più drammatici per chi non era riuscito a mettersi in salvo. La Resistenza aveva subito un durissimo colpo”.
Poi arrivò il 1945, la svolta.
“A marzo la Resistenza poté ripartire, fortemente rinfrancata, perché il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) firmò un accordo con gli alleati il 6 dicembre del 1944. Americani e inglesi accettarono di aiutare i partigiani, a patto che potessero mantenere loro il coordinamento. Il sostegno fu massiccio. E la Resistenza prese, mai come allora, un’organizzazione di tipo militare. La Coduri operava tra Chiavari e Sestri. La Cichero nella zona di Rapallo. E, grazie agli alleati e agli armamenti, poterono portare a termine un’azione efficace, liberando a poco a poco tutte le città”.
Come nasce la sua passione per questi argomenti?
“Devo dire che sono giunto tardi alla storia contemporanea, quasi per caso. Infatti, verificato che non esisteva, per il circondario del Tigullio e del suo entroterra, un libro che ne narrasse lo svolgersi dei fatti senza veli e senza retorica, decisi di scriverlo io stesso, affidandomi agli archivi e chiedendo uno sforzo mnemonico a diversi testimoni. Nacque uno spaccato significativo, “Sestri Levante 1940-1945: gli anni della guerra – Il Tigullio e il suo entroterra tra fascismo e resistenza”, che all’indomani del suo apparire fu subito oggetto di feroci contestazioni, ancora oggi non del tutto sopite. Ma io mi sono sempre basato sui documenti ufficiali. Spesso la memorialistica non è invece attendibile. Come diceva Primo Levi, che pure era stato nei campi di concentramento: ‘La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace’. Io ho sempre lavorato con metodo scientifico, facendo lo storico. Una fonte può essere smentita solo da un’altra fonte”.
E’ un’impostazione fondamentale…
“Il mio metodo di lavoro è semplice, ricordando che il dovere dello storico è quello di ricostruire i fatti, senza peraltro rinunciare alle proprie idee e alla propria cultura: il vaglio critico dei documenti. Non scrivo nulla che non riesca a dimostrare. Controllo accuratamente anche le citazioni. Troppe volte ho riscontrato che episodi descritti da altri, ad un’analisi seria mostravano lacune, imprecisioni o, peggio, errori in qualche caso clamorosi. Nessuna riga dei miei scritti può dirsi una rielaborazione romanzata degli avvenimenti; al contrario, ogni parola corrisponde ad un criterio oggettivo, in modo che un riscontro con le fonti sia sempre consentito. Cerco di avvicinarmi il più possibile alla realtà, che non sempre risulta gradevole o rispondente alle aspettative: il risultato può essere accettato oppure no, ma la sua attendibilità è fuori discussione. Non ho mai adoperato gli strumenti di ricerca con intenti ideologici”.
A cosa sta lavorando?
“Credo di aver abbastanza esaurito il filone dei Partigiani, in particolare con il libro “Partigiani: una storia di uomini”. In futuro, vorrei completare i volumi della mia “Storia della Liguria durante il fascismo”. Un’idea che nacque dopo aver letto i testi di De Felice. Raccontare il periodo della dittatura, ma dal punto di vista ligure. Ho realizzato i primi quattro volumi, arrivando al 1936. Da qui in poi devo andare avanti. Ma occorre tempo. Parliamo di libri corposi e che, essendo interamente documentati, richiedono un enorme impegno. La passione, ovviamente, non manca mai”.
Scrivere di storia. O meglio, scrivere la Storia. Una passione, certo, ma anche una missione – morale e civile – per studiosi seri, preparati e di buona volontà. Antonini senza dubbio lo è. “A me interessa – conclude – scrivere solo le cose vere. Per questo sono sempre stato apprezzato. Ai pochi che mi contestano. replico con l’infallibilità dei documenti”.
Che poi, sul 25 aprile, c’è poco da contestare. Se oggi possiamo riunirci, parlare, votare, esprimere le nostre idee, andare allo stadio, finanche usare i social network, è perché qualcuno ha lottato, per ottenere tutto questo.
Il sangue versato allora e quest’annuale celebrazione nazionale servono però a ricordarci, sempre, che ‘Freedom is not free’, come dice la scritta che si legge a Washington, sul memoriale dei reduci della Guerra di Corea.
Ma che vale per tutti, e per tutte le epoche.
La libertà non è gratis.
ALBERTO BRUZZONE