Viviamo in uno dei tratti più belli e suggestivi del Mar Mediterraneo. La Liguria rientra a pieno titolo, con tutti i suoi confini, nel cosiddetto Santuario dei Cetacei, quella splendida porzione di habitat naturale dove vivono tutte e otto le specie marine della cetofauna.
È un privilegio non da poco, un’opportunità tanto turistica quanto scientifica. Ma anche una precisa responsabilità: quella di tenere le nostre acque e i nostri fondali il più possibile puliti.
Sono obiettivi ben chiari e presenti, presso i vari organi di gestione e le istituzioni, quelle che hanno il compito di emanare leggi e regolamenti.
La strada maestra, invece, viene tracciata da prestigiose realtà come l’Istituto Tethys, che sin dal 1987 si occupa di studiare i mammiferi marini di questo tratto di Mediterraneo, dal punto di vista tecnico e della conoscenza.
Sabina Airoldi è il direttore di progetto e il coordinatore scientifico di Tethys: “Siamo stati i primi – afferma – a occuparci di questo tema. Una sorta di pionieri. Facciamo ricerche da ben trentuno anni e siamo diventati un punto di riferimento”.
L’Istituto Tethys, che ha sede presso l’Acquario Civico di Milano (ha vinto numerosi premi e bandi di concorso a livello italiano ed europeo), si occupa, in sostanza, di conservazione dell’ambiente marino attraverso il supporto di conoscenza scientifica alle misure e alle normative in materia di tutela delle specie e dell’ambiente, la partecipazione al processo internazionale di conservazione, e la sensibilizzazione del pubblico.
“Il nostro ruolo – precisa Sabina Airoldi – è quello di fare scienza e di metterla a disposizione degli enti preposti, che sono quelli che dovranno poi adottare misure per la tutela e la conservazione di questa meravigliosa cetofauna dei nostri mari”.
In oltre tre decenni di attività, Tethys ha prodotto uno dei più vasti dataset sui cetacei del Mediterraneo, comunicando i risultati delle proprie ricerche attraverso centinaia di pubblicazioni scientifiche. Nel 1991, inoltre, l’istituto è stato primo a concepire e proporre la creazione di un’area protetta emblematica, il Santuario Pelagos, per la conservazione dei mammiferi marini del Mediterraneo, la prima al mondo istituita oltre le giurisdizioni nazionali.
“I confini sono amplissimi. Parliamo di un’area di circa novantamila chilometri quadrati. Si parte appena prima di Tolone, in Francia, e si abbraccia tutto il bacino corso, ligure e provenzale, per arrivare, a Levante, sino alle foci del fiume Ombrone, al confine tra Lazio e Toscana. Inoltre, si tocca pure il Nord della Sardegna, nella porzione che va dall’Asinara da una parte all’isola di Tavolara dall’altra. In questo tratto di mare, vivono tutte e otto le specie di mammiferi marini: una ricchezza assolutamente straordinaria, dovuta principalmente a un complesso sistema di correnti e di fattori oceanografici che consentono un’elevata produttività. Non stiamo parlando solamente di grande concentrazione di cetacei, ma anche di altra fauna e flora, di molti altri vertebrati marini. Non a caso, questa è stata una delle zone più pescose dell’intero Mar Mediterraneo, anche se ora non lo è più, a causa del sovrasfruttamento della pesca”.
Un simile paradiso andrebbe difeso e conservato in ogni modo e con ogni forza. L’intento di Tethys è esattamente questo: rappresentare la ricchezza e la bellezza che possediamo, e farlo attraverso basi e supporti scientifici.
È un’operazione quanto mai necessaria e da svolgere costantemente, viste le numerose e sempre più frequenti minacce che interessano le nostre acque.
Il riferimento diretto è all’inquinamento. “È il principale fattore di degrado del mare – sostiene Sabina Airoldi – Il problema del Mediterraneo, in aggiunta, è che stiamo parlando di uno specchio acqueo quasi completamente chiuso, a parte il punto di contatto con l’Oceano Atlantico rappresentato dallo Stretto di Gibilterra. Siamo un piccolo bacino dove la circolazione è molto ridotta e dove le coste sono estremamente antropizzate. È chiaro che, in questo contesto, il nemico principale diventa l’inquinamento: in primis quello di tipo chimico, ma anche quello da plastica e quello acustico che, purtroppo, hanno già portato a un primo degrado per questo habitat e per le specie che ci vivono. Purtroppo, sino a pochi decenni fa, il mare è stato considerato una sorta di pattumiera, dove gettare qualsiasi cosa: perché andando sul fondale non si vedeva più e perché, fatta eccezione per i tratti costieri, il mare a un certo punto diventa proprietà di nessuno”.
Per fortuna, in tempi recenti le sensibilità sono cambiate. Il che permette da una parte di non aggravare la situazione, dall’altra di provare a rimediare, almeno in percentuale, i danni che sono già stati compiuti.
In Italia, il Ministero ha presentato un disegno di legge dove si consente, finalmente, ai pescherecci e a chi va per mare di non rigettare in acqua le plastiche e gli altri rifiuti rimasti intrappolati nelle reti. Questo permette di riportare a riva e di smaltire presso gli spazi appositi enormi quantità, che una volta finivano nuovamente in mare. Si stima che ogni rete possa raccogliere tra i sei e i dieci chilogrammi di plastica. Considerato che in Italia circolano circa diecimila pescherecci, si fa presto – con una semplice moltiplicazione – a capire dimensione e portata del fenomeno.
Il mare, Mediterraneo compreso, è saturo di plastica, specialmente nei fondali, e questo sta facendo soffrire notevolmente la vita acquatica. Senza considerare il problema delle microplastiche, ovvero quelle piccole particelle che sono ingerite dai pesci. Gli stessi che, poi, noi consumiamo a tavola.
“È evidente – commenta Sabina Airoldi – che bisogna porre degli argini. Il problema più grosso è la mentalità, il dover superare determinate abitudini. La maggior parte della plastica che finisce in mare, infatti, non è portata da delinquenti o da chi smaltisce rifiuti in maniera criminosa, ma dalle persone normali, che sono semplicemente distratte o poco informate. Lo dimostra il fatto che la plastica si concentra presso le foci dei fiumi, quindi arriva dai centri abitati, arriva da tutti noi”.
La primissima cosa da fare – e l’Unione Europea sta andando chiaramente in questa direzione – è quindi limitarne l’utilizzo. “Vanno progressivamente vietati i prodotti con plastica monouso. Ad esempio le cannucce e i bicchieri. Prendiamo appunto un bicchiere: ciò che resta nelle mie mani per meno di trenta secondi, il tempo cioè di bere, rimane poi nell’ambiente per oltre cinquecento anni. Tanto ci mettono un bicchiere o una bottiglietta di plastica a degradarsi. Questi pensieri andrebbero fatti un po’ più spesso”.
Consapevolezza è la parola chiave. Il fine ultimo. E, in questo senso, è una notizia certamente positiva l’adesione di tutti e sedici i comuni costieri della Città Metropolitana di Genova a quel documento in cui ci s’impegna a salvaguardare e a tutelare il Santuario dei Cetacei.
“Siamo molto contenti – conclude il direttore di progetto dell’Istituto Tethys – perché tutta la provincia di Genova ha aderito. Non solo: a livello nazionale i Comuni che hanno firmato sono oltre cento, tra Liguria, Toscana e Sardegna. Più che un atto politico, lo consideriamo un vero atto di responsabilità da parte di alcune tra le zone più ricche del Mediterraneo. Tutela e promozione delle buone pratiche: questa è la strada giusta da seguire”.
(al.br.)