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Giovedì, 8 giugno 2023 - Numero 273

L’inchiesta – I rifiuti plastici, un pericolo per il mondo intero (3)

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di ENRICO LASTRICO*

Negli ultimi anni abbiamo scoperto le bioplastiche, a minore impatto ambientale, create dalla trasformazione dei polimeri derivati dal mais ed altre specie vegetali.
Ma se da un lato abbiamo risolto il problema della degradabilità, dall’altro ne abbiamo creati di nuovi come la conversione di terreni destinati alla produzione alimentare in terreni destinati a scopi puramente ‘industriali’.
Qualunque tentativo di renderci indipendenti dall’utilizzo di plastiche sembra portare a conseguenze inaspettate. E allora, come fare per ridurre l’impatto di questi materiali sull’ambiente?
Se vogliamo difendere la salute dei mari e preservarne le forme di vita, la prima cosa da fare è cambiare le nostre abitudini di acquisto applicando i principi delle 4 R.

– Ridurre: optare per prodotti con meno imballaggi, borse in stoffa, batterie ricaricabili

– Riusare: scegliere il vuoto a rendere, il vetro al posto della plastica

– Riciclare: selezionare i rifiuti, adottare la raccolta differenziata

– Recuperare: produrre oggetti diversi dalla loro funzione originale, inventare nuovi utilizzi

Tuttavia, è evidente che il contrasto all’avvelenamento dei mari causato da questa ‘zuppa plastica globale’ non può essere demandato solo all’azione dei singoli.

Progetti come ‘The Ocean Cleanup’ messo in acqua dal giovanissimo Boyan Slat, ‘#RethinkPlastic’ del network Plastic Oceans, ‘Clean-Up the Med’ promosso da Legambiente oppure attività di sensibilizzazione promosse da organizzazioni internazionali come Greenpeace da sole non bastano perché incidono sugli effetti e non sulle cause del fenomeno.
Le decisioni prese dai singoli stati e dalla comunità internazionale sono le uniche che possono abbattere drasticamente l’inquinamento dei mari causato dai rifiuti plastici.

Iniziative che devono essere guidate da princìpi di salvaguardia e contenimento, per ridurre in primo luogo quella parte maggioritaria di plastica che dalla terra finisce in mare, ripulendo, ad esempio, i fiumi, che sono tra le principali fonti di rilascio di materiali plastici nelle acque di mari ed oceani.
Purtroppo una recente risoluzione dell’Enviromental Assembly delle Nazioni Unite dedicata al tema è stata rimandata al mittente da parte di Stati Uniti, Cina ed India, i maggiori produttori mondiali di rifiuti plastici.
La strada è quindi tutta in salita perché, a fianco delle necessarie esigenze di salvaguardia e mantenimento della vita degli oceani, si accompagnano interessi economici e industriali che non vedono di buon occhio controlli più stringenti ed efficaci.

E in Italia si muove qualcosa?
Sì: è un percorso a tappe iniziato nel 2011 con il bando dei sacchetti per la spesa non biodegradabili, proseguito con l’approvazione della legge che ha imposto il pagamento per l’utilizzo di shopper biodegradabili e compostabili dal 1° Gennaio 2018, secondo le indicazioni della direttiva 2015/720 dell’Unione Europea e arricchito dalla recentissima direttiva sui cotton fioc: un passo legislativo fatto dall’Italia per diventare la nazione guida in Europa nella lotta all’inquinamento da plastica.
Dal primo gennaio, infatti, è entrata in vigore la legge che vieta la vendita e la produzione di cotton fioc in plastica. Quelli nuovi dovranno essere tutti compostabili e biodegradabili, le aziende più virtuose li venderanno in confezioni di cartone e dovranno riportare indicazioni sul corretto smaltimento e citazioni con il divieto di gettarli nel wc, dove finora finiva il 91% dei bastoncini. Fra un anno, dal primo gennaio 2020, saranno vietati i prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche.

Nel 2021 saranno vietati dalla Comunità Europea i prodotti in plastica monouso come stoviglie, cannucce e bicchieri; l’Italia però sta per compiere il suo secondo importante e di più ampia portata passo legislativo: approvare la legge chiamata ‘Salvamare’. La discussione del testo è in corso in Parlamento e prevede, oltre all’anticipo di un anno del bando europeo dei prodotti ‘usa e getta’, anche l’autorizzazione per i pescatori a riportare nei porti la plastica raccolta in mare anziché ributtarla, come avviene ora.

Questi sono alcuni importanti passi verso la riduzione dell’uso di plastica da imballaggio, tuttavia, prima di percepire una reale inversione di tendenza, la strada da percorrere è ancora lunga.

L’indagine ‘Beach Litter 2017’ di Legambiente, che monitora la quantità di rifiuti sulle spiagge italiane, racconta di una media di 670 rifiuti ogni 100 metri: la plastica si conferma il materiale più trovato (84% degli oggetti rinvenuti), seguita da vetro/ceramica (4,4%), metallo (4%), carta e cartone (3%). Reti per la coltivazione di mitili, tappi e coperchi, frammenti di rifiuti, mozziconi, bottiglie e contenitori, bastoncini cotonati, stoviglie usa e getta e frammenti di polistirolo: ecco cosa possiamo trovare sulle nostre spiagge. Letteralmente di tutto.
Al di là delle norme che ne vietano o meno l’utilizzo, i prodotti in plastica, dalla loro progettazione al riciclo finale, dovranno uscire dalla logica dell’usa e getta e tenere conto anche dei costi ambientali, ormai divenuti elevatissimi.

Il futuro è però incerto
Il grave pericolo è dietro l’angolo: è una bomba da 111 milioni di tonnellate che non esplode, ma che sta facendo paura quanto l’atomica. L’ha sganciata la Cina con la sua decisione annunciata a luglio del 2017, formalizzata a gennaio 2018 e in vigore da aprile dello scorso anno di vietare ogni arrivo dei rifiuti di plastica dall’estero. Finora principale importatore e trasformatore di materiali scartati dall’Occidente, il continente cinese lascia al mondo la decisione su come trovare un posto entro il 2030, riporta Science Advances, a 111 milioni di tonnellate di materiale potenzialmente inquinante anche se trattato: montagne di bottiglie, contenitori, oggetti usa e getta, vecchi computer, carcasse di tablet o cellulari, ecc. che dal divieto cinese in poi si vanno accumulando in tutto il sud e sud est asiatico dove mancano del tutto serie politiche di raccolta e riciclo, dove non ci sono altrettanti approdi attrezzati come in Cina e neppure un numero sufficiente di impianti in grado di riprocessarlo e farne nuovi utilizzi.

Dagli anni ’80 la Cina ha ricevuto a costo quasi zero 7 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti moderni dell’Occidente con in testa l’Europa e poi gli Usa, per usarli nelle sue fabbriche. Li ha trasformati in telefonini, schermi, cannucce per i bicchieri, sacchetti per la spesa: tutto l’occorrente per le necessità e comodità della vita odierna prodotti in serie senza pensare alla destinazione a fine vita. Adesso però la Cina produce da sola talmente tanta spazzatura plastica da soddisfare le sue industrie; inoltre il processo di riutilizzo stava avendo eccessivi costi ambientali, con la conseguenza di un crescente malumore sociale e un’etichetta di Paese da una parte ai vertici del mondo, dall’altra ridotto a esserne l’immondezzaio. Gli altri paesi del sud-est asiatico, Vietnam, Malesia, Indonesia, Thailandia, Taiwan, che già da soli producevano il 60% dei rifiuti di plastica dispersi nell’ambiente, hanno iniziato a prendersi i nostri scarti, ma già pensano a porre divieti e non è difficile immaginare che, grazie alla corruzione, buona parte di quei rifiuti finiranno clandestinamente in discarica o, peggio, nell’ambiente.

Con il divieto all’import Pechino ha messo il resto del mondo di fronte alle proprie responsabilità, ben precedenti alle sue, e per fermare o frenare alla fonte questo continuo afflusso di plastica ora diretto a sud est, ma domani magari destinato a tornare indietro, molti governi dovranno prendere decisioni drastiche. Paesi come l’Inghilterra, che in pochi mesi ha raddoppiato le sue rischiose spedizioni negli ingolfati porti del Vietnam, l’America, la Germania e altri paesi europei come il nostro, dovranno finalmente concentrarsi sulla necessità di trattare a casa propria gli scarti.

Un vecchio proverbio recita: “Il mondo non lo abbiamo ereditato dai nostri genitori, ma lo abbiamo preso in prestito dai nostri figli” ed è con questa logica che i decisori politici dovranno operare scelte lungimiranti, a volte anche impopolari, invece di concentrarsi, come sta ormai avvenendo da alcuni anni, sulla distribuzione della ricchezza con la tragica conseguenza di aumentare ulteriormente il debito pubblico e non risolvere i problemi reali.

Per dirla come Albert Einstein: “Non vedo altro modo di uscire dalle attuali condizioni se non quello di una lungimirante, onesta e coraggiosa politica che si prefigga lo scopo di ristabilire la sicurezza su basi internazionali. Speriamo che si trovino uomini, in numero sufficiente e dotati di forza morale, che guidino la nazione su questo cammino fino a quando le circostanze esterne imporranno a essa una funzione di guida. Allora i problemi cesseranno di esistere.”
(3/fine)

Fonti:

CNR-ISMAR (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Scienze Marine) su Nature Scientific Reports
The Mediterranean Plastic Soup: synthetic polymers in Mediterranean surface waters – 23 November 2016

American Association for the Advancement of Science

SCIENCE ADVANCES – RESEARCH ARTICLE

PLASTICS – Production, use, and fate of all plastics ever made – 19 July 2017

OECD –  Organisation for Economic Co-operation and Development

Improving Markets for Recycled Plastics – Trends, Prospects and Policy Responses (2018)

COREPLA – Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica

Rapporto di sostenibilità 2017

LEGAMBIENTE

Beach litter 2017 – indagine sui rifiuti nelle spiagge italiane

Maggio 2017

Ellen McArthur Foundation – https://www.ellenmacarthurfoundation.org

THE NEW PLASTICS ECONOMY – Rethinking the future of plastics – edizione 2016

EPRS – European Parliamentary Research Service

Single-use plastics and fishing gear – Reducing marine litter

28 November 2018 – Third edition

* (l’autore è un esperto di analisi, progettazione, gestione e commercializzazione di servizi ambientali e di igiene urbana)

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