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Giovedì, 8 giugno 2023 - Numero 273

L’inchiesta – I rifiuti plastici, un pericolo per il mondo intero (2)

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di ENRICO LASTRICO*

Sono numeri impietosi, quelli del riciclo della plastica a livello globale: secondo un recente rapporto redatto dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che scatta una fotografia del riciclo della plastica a livello mondiale, solo il 15% viene raccolta e riciclata, il 25 % viene avviato a recupero energetico mentre il 60% finisce in discarica, abbandonato o bruciato all’aperto. Le ragioni di questa inefficienza vanno ricercate nella scarsa qualità della plastica riciclata, nella mancanza di politiche che ne incentivino il riciclo e nei prezzi della materia prima, ancora troppo bassi per competere con la materia prima seconda.

Le percentuali di riciclaggio variano molto da nazione a nazione. Si va dal 30% in media entro i confini europei, al 10% registrato dagli Stati Uniti. Tra i diversi polimeri invece sono il Pet e l’Hdpe (polimeri utilizzati per lo più negli imballaggi) a far registrare le percentuali migliori (da 19% a 85%), mentre per quanto riguarda il polipropilene e il polistirolo i valori sono ancora molto bassi, da 1% a 21%.

“La produzione di plastica è ad alta intensità energetica – si legge nel rapporto – e rappresenta dal 4% al 8% del consumo globale di petrolio e gas”: energia e materie prime impiegate spesso per produrre oggetti usa e getta, in un contesto di economia lineare che non possiamo più permetterci, perché alimenta lo spreco di risorse e di energia.

In Italia si ricicla il 41% degli imballaggi di plastica immessi al consumo.
Nel 2017 la raccolta differenziata gestita da Corepla (Consorzio per il riciclo e recupero degli imballaggi in plastica) è stata pari a 1.098.000 tonnellate. La filiera degli imballaggi in plastica nel 2017 ha registrato un incremento di oltre il 6% delle quantità avviate a riciclo che hanno raggiunto 911.000 tonnellate, registrando il risultato del 43,5% di avvio a riciclo rispetto all’immesso al consumo che nel 2017 è stato pari a a 2.271.000 tonnellate mentre il 40% dell’immesso al consumo, cioè 909.000 tonnellate sono state avviate al recupero energetico attraverso termovalorizzatori o cementifici.

L’inquinamento da plastica
Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani del mondo e, ad oggi, si stima che via siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani. Se non si dovesse agire per invertire la tendenza proseguendo con i trend attuali (Business As Usual, fare come se niente fosse) gli oceani potranno avere nel 2025 una proporzione di una tonnellata di plastica per ogni 3 tonnellate di pesce mentre nel 2050 avremo, in peso, negli oceani del mondo tanta plastica quanto i pesci.

Dagli anni sessanta del secolo scorso, con l’avvio della grande diffusione dell’utilizzo della plastica, abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, buttandone in natura circa 6,3 miliardi (è come se ogni abitante della Terra trascinasse con sé circa una tonnellata di plastica); il 79% di questa plastica è finita nelle discariche e in tutti gli ambienti naturali, il 12% è stato incenerito e solo il 9% riciclato.

La plastica si trova ormai ovunque: se ne sono trovate tracce nei ghiacci e persino a 10 km di profondità nei mari (Fossa delle Marianne) e l’abbiamo mandata anche nello spazio come componente di sonde e navicelle spaziali; è ormai considerata da parte della comunità scientifica come un ‘tecno fossile’ capace di essere presente nelle stratificazioni geologiche e nelle isole Hawaii sono state individuate rocce definite plastiglomerato perché la plastica è presente e inserita nel loro interno! È diventata uno dei simboli industriali, assieme a cemento ed acciaio, dell’‘Antropocene’, l’era geologica in cui viviamo in questo momento, così denominata a dimostrazione della pervasività dell’intervento e della pressione umana su tutti i sistemi naturali del Pianeta.

Se l’andamento della produzione proseguirà nella maniera attuale, la plastica potrebbe raggiungere i 34 miliardi di tonnellate nel 2050, di cui almeno 12 miliardi di tonnellate costituirebbero rifiuti sparsi in tutti gli ambienti.

Vale la pena sottolineare che altri materiali umani, come l’acciaio, almeno per la metà della produzione mondiale, serve a costruire edifici e infrastrutture che durano per decenni e decenni, mentre per la plastica l’utilizzo è estremamente più limitato. Tuttavia la plastica costituisce il terzo materiale umano più diffuso sulla Terra dopo l’acciaio e il cemento.

Come la plastica finisce in mare
I dati dello studio di Science Advances sono inequivocabili: la produzione mondiale di resine e fibre plastiche è cresciuta dai 2 milioni di tonnellate del 1950 ai 380 milioni di tonnellate del 2015 e questa enorme produzione ha il suo rovescio della medaglia.
La plastica, come abbiamo già detto, è infatti il prodotto sintetico a più lunga conservazione: si degrada completamente solo in centinaia di anni; è logico quindi che, se non correttamente riciclata o avviata a recupero energetico, finisca nell’ambiente favorendo l’alterazione dei delicati ecosistemi che ci circondano.

Purtroppo in questi anni di crescente domanda, nel mondo solo il 20% della plastica prodotta è stato riciclato o incenerito. Tutto il resto si è accumulato come scarto in terra e in acqua; di conseguenza ogni anno dai 4 ai 12 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei mari di tutto il mondo, causando l’80% dell’inquinamento marino.
Rifiuti che per i 4/5 entrano in mare sospinti dal vento o trascinati dagli scarichi urbani e dai fiumi; il resto è prodotto direttamente dalle navi che solcano i mari, soprattutto pescherecci ma anche navi mercantili ed imbarcazioni turistiche di tutte le stazze.

Bottiglie, imballaggi, reti da pesca, sacchetti, fazzoletti, mozziconi e qualunque altro oggetto in plastica una volta finito in acqua si spezza in frammenti più piccoli per azione dell’erosione e delle correnti. Come purtroppo ormai ampiamente dimostrato, questi frammenti, che possono raggiungere dimensioni microscopiche inferiori ai 5 mm di diametro, costituiscono una fra le principali cause di morte per soffocamento di molti pesci ed uccelli marini poiché vengono scambiati per cibo.

A causa di ciò, 115 specie marine sono a rischio, dai mammiferi agli anfibi. L’ingerimento accidentale di plastica scambiata per plancton o meduse è un fenomeno così comune che il 52% delle tartarughe marine ne ha subito gli effetti.
Tutta questa plastica, ‘catturata’ dalle correnti naturali marine, sta conquistando gli oceani aggregandosi in immense isole di pezzi di rifiuti, le ‘garbage patch‘; nocive per l’ecosistema marino, se ne contano almeno sei.

Great Pacific Garbage Patch
Chiamata anche ‘Pacific Trash Vortex’, quest’isola di plastica è il più grande accumulo di spazzatura galleggiante al mondo. Composta prevalentemente da plastica, metalli leggeri e residui organici in degradazione, è situata nell’Oceano Pacifico e si sposta seguendo la corrente oceanica del vortice subtropicale del Nord Pacifico. Le sue dimensioni sono immense: le stime parlano di un minimo di 700.000 km² di estensione fino a più di 10 milioni di km², per un totale di circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati (c’è chi parla perfino di 100 milioni). Per dare un’idea più precisa, le sue dimensioni sono simili a quelle della Penisola Iberica, o maggiori di tutti gli Stati Uniti nella peggiore delle previsioni.

South Pacific Garbage Patch
Grande 8 volte l’Italia e più estesa del Messico, la South Pacific Garbage Patch è stata scoperta recentemente al largo del Cile e il Perù dal capitano Charles Moore e il suo team di ricerca, gli stessi che nel 1977 scoprirono il Pacific Trash Vortex. L’isola ha una superficie che si aggira intorno ai 2,6 milioni di chilometri quadrati e contiene prevalentemente microframmenti di materie plastiche erose dagli agenti atmosferici.

North Atlantic Garbage Patch
Scoperta per la prima volta nel 1972, l’isola del Nord Atlantico è la seconda più grande per estensione (si stima che potrebbe sfiorare i 4 milioni di km²). Mossa dalla corrente oceanica nord atlantica, è famosa per la densità di rifiuti al proprio interno. Le stime parlano di oltre 200mila detriti per chilometro quadrato.

South Atlantic Garbage Patch
Forse la più ‘piccola’ tra le isole di plastica, la South Atlantic Garbage Patch si estende per oltre 1 milione di chilometri quadrati e viene mossa dalla corrente oceanica sud atlantica. Situata tra l’America del Sud e l’Africa meridionale, è stata poco documentata e raramente intercettata dalle rotte più commerciali.

Indian Ocean Garbage Patch
Estesa più di 2 chilometri e con una densità di 10mila detriti a chilometro quadrato, l’isola dell’Oceano Indiano è stata ufficialmente scoperta nel 2010, anche se la sua esistenza era già stata ipotizzata nel 1988 dall’agenzia statunitense NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration).

Arctic Garbage Patch
La più piccola e di recente formazione isola di plastica al mondo è stata scoperta nel mare di Barents, in prossimità del circolo polare artico. Le materie plastiche scartate in Europa e nella costa orientale del Nord America sono andate lentamente alla deriva seguendo le correnti oceaniche fino al nord della Norvegia dove si sono accumulate. Le informazioni a riguardo sono poche, ma una spedizione del 2013 ha fatto luce su alcuni punti fondamentali: l’isola ha dimensioni notevolmente ridotte rispetto alle altre cugine; gran parte del mar glaciale articolo risulta privo di materie plastiche nocive (che sono per la maggior parte raggruppate sull’isola di Barents).

Numeri impressionanti di un fenomeno che non è circoscritto alle sei ‘isole di plastica’ in continuo accrescimento negli Oceani, ma tocca anche il nostro Mar Mediterraneo che sta diventando una ‘zuppa’ di plastica come ricorda uno studio del nostro Consiglio Nazionale delle Ricerche apparso su ‘Nature Scientific Reports’.

Si stima che un chilometro quadrato nei mari italiani ne contenga in superficie fino a 10 kg, in particolare nel Tirreno settentrionale, tra Corsica e Sardegna; attorno alla Sardegna, alla Sicilia e alle coste pugliesi si stimano almeno 2 chilogrammi.
Se filtrassimo tutte le acque salate del mondo, scopriremmo che ogni chilometro quadrato di esse contiene circa 46.000 micro particelle di plastica in sospensione.
(2/segue)

Fonti:

CNR-ISMAR (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Scienze Marine) su Nature Scientific Reports
The Mediterranean Plastic Soup: synthetic polymers in Mediterranean surface waters – 23 November 2016

American Association for the Advancement of Science

SCIENCE ADVANCES – RESEARCH ARTICLE

PLASTICS – Production, use, and fate of all plastics ever made – 19 July 2017

OECD –  Organisation for Economic Co-operation and Development

Improving Markets for Recycled Plastics – Trends, Prospects and Policy Responses (2018)

COREPLA – Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica

Rapporto di sostenibilità 2017

LEGAMBIENTE

Beach litter 2017 – indagine sui rifiuti nelle spiagge italiane

Maggio 2017

Ellen McArthur Foundation – https://www.ellenmacarthurfoundation.org

THE NEW PLASTICS ECONOMY – Rethinking the future of plastics – edizione 2016

EPRS – European Parliamentary Research Service

Single-use plastics and fishing gear – Reducing marine litter

28 November 2018 – Third edition

* (l’autore è un esperto di analisi, progettazione, gestione e commercializzazione di servizi ambientali e di igiene urbana)

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