di ALBERTO BRUZZONE
“Ci chiamano spesso dopo, ma a volte sarebbe meglio se ci chiamassero prima”. Franco Elter lo dice “senza nessuna polemica, perché non mi piace farne e questo poi non è proprio il momento”, però riesce a fotografare una situazione che è quasi sempre la stessa. Un Paese non capace di ragionare secondo l’ottica della prevenzione e che, alla fine, si ritrova a dover ragionare nell’ottica dell’emergenza. Quando tutto è ormai successo.
Eh sì, perché è successo di nuovo: la costa del Levante genovese è tornata a franare e questa volta la notizia ha fatto ancor più rumore del solito perché a finire in mare non sono state solamente delle porzioni di roccia, non sono state solamente delle porzioni di strada oppure di qualche abitazione ormai vuota. No. Questa volta a franare è stato un cimitero, il Cimitero di Camogli: e duecento tra bare e ossari sono finiti di sotto in mare, con tutta la complessità delle operazioni di recupero, l’enorme dispiacere per i parenti dei defunti, la sempre più triste constatazione, tra la gente di Camogli, di come non si è saputo preservare quanto lasciato dai propri avi (le testimonianze nel video a fianco curato da Marisa Spina).
Qualche anno fa, un bello scatto del grandissimo fotografo Gianni Berengo Gardin, nel suo ciclo dedicato a Camogli, ritraeva una porzione del borgo e, a fianco, un enorme costone di roccia che terminava direttamente in mare (lo riproponiamo in fronte a questo articolo). Il costone aveva un che di minaccioso e in quello scatto molti hanno letto quella denuncia che si fa ormai da più di cinquant’anni: ovvero di come il territorio sia stato violato dal troppo cemento, dall’eccessiva antropizzazione, da una sfida nei confronti della natura “di fronte alla quale l’uomo non può vincere né potrà vincere mai. Perché quello che si toglie al mare, prima o poi il mare se lo riprende”.
Franco Elter lo ripete assai spesso: è una lezione che ha appreso dai suoi maestri, è una lezione che vuole che apprendano tutti i suoi allievi. Professore associato di Geologia Strutturale all’Università di Genova (presso il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita), Elter si occupa da anni del rischio frane della Collina delle Grazie di Chiavari, anche attraverso numerosi interventi e altrettante denunce.
Ma da sempre conosce altrettanto bene tutto il territorio ligure. La frana di Camogli ha fatto un’enorme ‘audience’, anche a livello nazionale, per il fatto del crollo di una porzione del cimitero e per le bare finite in mare, ma è solo l’ultimo episodio di una lunga serie: come non ricordare il crollo della strada per Portofino a seguito della devastante mareggiata del 2018, o il crollo di Capolungo a Nervi del 2014, per non citare tutte le criticità nella zona di Sant’Anna, tra Cavi di Lavagna e Sestri Levante, che costringono assai spesso all’interruzione della viabilità con la chiusura delle relative gallerie.
“Tutta la Liguria è fragile – ricorda il professor Elter – ma la Riviera di Levante lo è ancora di più proprio per la sua conformazione. Si riconoscono fra noi tecnici quattro sistemi di fratture, tra quelli in parallelo alla costa e quelli ortogonali. Sono legati alla particolare apertura del Mar Ligure, nella zona che viene definita unità del Monte Antola e che va da Nervi a Chiavari, fatta eccezione per il solo promontorio di Portofino. A prima vista può sembrare tutto tranquillo, ma in realtà si tratta di una situazione geologica profondamente instabile. E i tempi della geologia non sono rapidi, possono anche essere molto lunghi, ma vanno avanti comunque in maniera inesorabile”.
Inesorabile come “il moto ondoso, come la continua erosione del mare sulle falesie, di fronte alla quale non c’è alcun sistema di difesa”. Secondo Elter, non si può dissociare tutto quello che avviene da quanto accaduto dal 1970 in poi: “La natura presenta sempre il suo conto e, purtroppo, l’antropizzazione selvaggia è stata regolata esattamente con questo conto. In più, non ci sono risorse sufficienti per la mitigazione del rischio: le singole amministrazioni comunali non le hanno, la Regione Liguria si trova in grossa difficoltà”.
Inoltre, secondo Elter, “l’antropizzazione selvaggia della costa ha prodotto anche un’altra conseguenza, ovvero lo svuotamento dell’entroterra. Anche questo significa terreni non curati, campagne e boschi abbandonati e soggetti a crolli, frane, alluvioni e incidenti di ogni tipo. Serve un ingente sforzo economico per invertire questa tendenza, ma soprattutto occorre che ci sia un netto e preciso cambio di mentalità rispetto alle politiche ambientali”.
Si arriva sempre lì: investire sulla prevenzione per non dover spendere dieci volte tanto nell’emergenza. Ma è un cambio di prospettive duro da mettere in campo, evidentemente. “Se prendiamo comuni come Chiavari o Lavagna – fa notare Elter – oltre l’ottanta per cento del territorio è urbanizzato. Nel frattempo, in maniera inversamente proporzionale, i territori dell’entroterra si sono svuotati”.
Intanto proprio ieri, 24 febbraio, il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha firmato la richiesta di Stato di Mobilitazione del Servizio nazionale di Protezione civile, inviandola al presidente del Consiglio, Mario Draghi, e al capo del Dipartimento nazionale della Protezione civile, Angelo Borrelli. Si tratta di una procedura legata a un’emergenza locale, ma di dimensioni sovraregionali per le forze da mettere in campo.
La richiesta del governatore segue l’interlocuzione avvenuta martedì scorso con Borrelli e con il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, per consentire, nelle more della richiesta e della risposta del Governo, di anticipare i tempi dell’intervento dei militari del reparto speciale Comsubin della Marina Militare, sul posto da ieri mattina a Camogli per il sopralluogo finalizzato alla valutazione dell’intervento di recupero dei feretri finiti in mare a seguito del crollo e dello smaltimento del materiale di frana.
Presenti anche i tecnici della Fondazione Cima e dell’Università di Firenze, per le ulteriori valutazioni sullo scenario di rischio della falesia: si tratta degli stessi soggetti che, insieme a Regione Liguria, avevano gestito l’emergenza a seguito della frana che nel novembre del 2019 provocò il crollo della campata del viadotto dell’autostrada A6 Torino Savona.
Nella richiesta dello Stato di Mobilitazione, il presidente Toti sottolinea che “le operazioni di recupero delle salme, finalizzate alla tutela della pubblica salute e alla doverosa restituzione della dignità alle sepolture, sono subordinate alla verifica delle condizioni di sicurezza a fronte della possibile evoluzione del dissesto per cui è necessario provvedere con urgenza alla messa in sicurezza” della falesia e del cimitero sovrastante. Per questo, viene richiesto l’impiego di “strutture operative nazionali specializzate e dotate delle professionalità, competenze e attrezzature non disponibili presso le risorse locali, territoriali e regionali già dispiegate”.
Il riconoscimento dello Stato di Mobilitazione costituisce l’ultimo passo per avviare la fase operativa degli interventi. Sperando che i defunti possano tornare a riposare in pace, ci sarà poi da fare di tutto perché pure la costa possa stare, finalmente, in pace. E questa è una sfida ancora più lunga e più grande.
IL VIDEO DEL CROLLO DEL CIMITERO