di ALBERTO BRUZZONE
Bene, benissimo il ritorno del viadotto sul Polcevera a meno di due anni dal crollo del Ponte Morandi. Il Ponte Genova San Giorgio, inaugurato lunedì scorso e percorribile da martedì sera al traffico veicolare, è un simbolo di rinascita e di ripartenza, per una città che troppe volte è finita in ginocchio e troppe volte ha fatto un’enorme fatica a rialzarsi, senza mai riuscire, fino ad ora, a centrare l’obiettivo di tornare tra le prime in Italia a livello economico e industriale.
Ma basta il nuovo viadotto a considerare finalmente Genova e la Liguria uscite dall’isolamento? Basta il nuovo viadotto a veder chiusa la partita delle infrastrutture per quanto riguarda la nostra regione? E la risposta non può che essere una: assolutamente no.
Il giorno dopo il taglio del nastro del nuovo ponte, si è tornati con insistenza a parlare di grandi opere, la cui prosecuzione è fondamentale per il futuro della Liguria. Il concetto, in fondo, è molto chiaro: vero è che il nuovo ponte garantirà nuova linfa alla città, vero è che il traffico veicolare, soprattutto quello urbano, ne risentirà notevolmente in termini positivi, ma altrettanto vero è che siamo ritornati a una situazione ante 14 agosto 2018.
Ovvero: allora c’era il Ponte Morandi, ora c’è il Ponte Genova San Giorgio. Allora mancavano opere come Gronda e Terzo Valico, oggi mancano ancora opere come Gronda e Terzo Valico. Ecco perché, con l’inaugurazione del nuovo viadotto, si sono pareggiati i conti rispetto al passato, ma non è che sia stato fatto qualche passo in avanti, rispetto al 2018.
Il tema delle grandi opere, insomma, continua a essere stringente. Qualche settimana fa, per quanto riguarda la Liguria, sono stati indicati dal Governo quali cantieri prioritari, e quindi da far ripartire quanto prima, sia il Terzo Valico che la Diga Foranea del porto, un altro punto importantissimo se si vuole garantire al nostro scalo di continuare a mantenere un ruolo strategico non solo in Italia ma un po’ in tutto il Mediterraneo.
Facendo un conto a spanne, insomma, la Liguria attende opere infrastrutturali urgenti per una cifra intorno ai 16 miliardi e mezzo di euro. La cifra è contenuta all’interno di uno studio appena pubblicato dalla Camera di Commercio di Genova e inviato al Governo: un fiume di denaro impantanato fra pastoie burocratiche, risse politiche, beghe di campanile e insipienze gestionali.
Le opere ferroviarie
Del Terzo Valico, ovvero l’alta velocità (questa per i passeggeri, mentre per i merci si parla di alta capacità) fra Genova e Milano, si parla da decenni. Il costruttore (è il terzo che ci prova) è lo stesso del Ponte: la Webuild della famiglia Salini. La nuova linea, per una spesa prevista di 6,2 miliardi di euro, dovrebbe essere pronta fra il 2023 e il 2024. Si sviluppa complessivamente per 53 chilometri, di cui 36 in galleria. Peccato, però, che una volta ‘bucati’ i Giovi non troverà che la vecchia linea per Milano. Il quadruplicamento della tratta fra Novi e Pavia è solamente ‘previsto’ e, se i cantieri aprissero domani, la fine dei lavori sarebbe non prima del 2030.
Sempre sul fronte ferroviario, poi, è ancora da sistemare il collegamento Genova-Ventimiglia-Nizza: a binario unico come ai tempi della Belle Epoque fra Finale e Andora. L’opera risulta bloccata dalle beghe fra i comuni rivieraschi (del tipo: dove fare la stazione), da scandali e mancanza di fondi. L’ultimo progetto, approvato dal Cipe nel 2011, prevedeva un costo di 1,5 miliardi per 31,7 chilometri, per il 79% in galleria. Per ora si sta completando l’aggiornamento della progettazione definitiva. All’altro estremo della regione, troviamo il raddoppio della ferrovia Pontremolese, fondamentale per spedire i container via ferro dalla Spezia a Parma e oltre. Per i 120 chilometri della linea il Governo ha stanziato 200 milioni.
Le opere marittime
È ancora alle battute preliminari, poi, il progetto per la nuova diga foranea di Genova: la più grande opera portuale mai realizzata in Italia negli ultimi decenni. Servono 1,1 miliardi. Proprio ieri, Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità Portuale di Genova e Savona, ha dichiarato: “La diga foranea è veramente il mio dolore: avrei voluto essere più avanti. La diga risolve due grandi problemi: abbiamo un bacino di evoluzione che rischia di non essere più adeguato al gigantismo navale. Anche l’entrata nel canale di Sampierdarena diventerà difficoltosa quando ci sarà una nave al terminal Bettolo. È quindi una questione di sicurezza: ricordiamoci quello che successo con la torre piloti”.
Secondo Signorini, “l’accessibilità marittima del nostro porto è uno dei principali colli di bottiglia individuati dalla Commissione Europea sul corridoio Reno-Alpi. La nuova diga non è soltanto una visione locale, partigiana e localistica. È anche una priorità europea”.
Lo stesso aspetto è stato ricordato, qualche giorno fa, da Bartolomeo Giachino, ex sottosegretario ai Trasporti e attuale presidente di Saimare spa: “Con la nuova diga foranea, Genova potrà diventare la porta da e verso l’Africa e l’Oriente dell’Europa centro-meridionale. Occorrono pertanto da un lato interventi che riducano l’intasamento del traffico e il sovraccarico in alcuni snodi. La gronda autostradale risponde pienamente a questi requisiti, mentre la costruzione della nuova diga foranea al porto di Genova consentirà l’aumento dei traffici e quindi della crescita. Ecco che la costruzione della nuova diga genovese dovrebbe essere posta a carico dei nuovi concessionari e in parte di FS, così come sarà strategico alleggerire il traffico sulla rete stradale normale prevedendo uno sconto diretto al casello per le aziende di autotrasporto, iniziativa attualmente a carico del bilancio dello Stato con un costo che supera i cento milioni di euro annui. Questi fondi potrebbero essere utilizzati per una forte rottamazione dei vecchi mezzi pesanti euro 0, 1, 2, 3, 4, dando in questo modo un contributo alla ripresa del settore mezzi pesanti”.
Le opere stradali
Altro capitolo, in effetti, è quello della Gronda. Se ne parla da anni, non è mai partita nel concreto. Ultimamente, dopo anni di schermaglie politiche che parevano essersi ormai risolte, il candidato presidente per il centrosinistra, Ferruccio Sansa, è tornato a essere dubitativo, il che ha provocato forti reazioni, anche da parte di certi ambienti sindacali.
Intanto, sul ‘Sole 24 Ore’ di ieri, si informa che fra le tante autorizzazioni necessarie, ne mancherebbe solo una, ma questa non muove un passo da un anno. Continuerà a essere così almeno per qualche mese: bisogna aspettare che finisca davvero la partita fra il Governo, i vecchi soci di Aspi (innanzitutto i Benetton) e quelli destinati a entrare nella società. L’inaugurazione del Ponte Genova San Giorgio, però, secondo il quotidiano contiene un indizio: “La Gronda, a questo punto, non si può non fare. Se il Morandi non fosse crollato, probabilmente i cantieri della Gronda sarebbero già aperti da un pezzo”.
Se ne parla dagli anni Ottanta e, dopo vari progetti che proponevano altrettanti tracciati, la svolta era arrivata il 7 settembre 2017, con l’approvazione del progetto definitivo (il passo più importante dell’iter) da parte del Ministero delle Infrastrutture (Mit). Ad aprile 2018 era arrivato anche l’ok al piano di convalida degli aspetti finanziari (compreso il nulla osta Ue all’allungamento della concessione di Aspi dal 2038 al 2042), per cui restava solo da avere l’ok al progetto esecutivo. Che non è mai arrivato, perché il documento fu presentato nell’autunno 2018, cioè quando il Morandi era già crollato e la concessione di Aspi era stata messa in discussione. Ciò non impedì che la società completasse il 93% degli espropri di imprese e abitazioni sul territorio e bandisse gare di pre-qualifica per 750 milioni (acquisto di frese per scavare gallerie e opere preliminari). Insomma, ci si è portati avanti per tutto il possibile; ora però occorre l’ok al progetto esecutivo.