di DANILO SANGUINETI
C’è più di una Sparta che non ride in Liguria ed una sola Atene che però, a differenza del detto, non piange: Chiavari, grazie alla Virtus Entella. In un autunno di scontento, il calcio professionistico è una frana da Ventimiglia a La Spezia.
Sampdoria e Genoa ultima e penultima in serie A, la prima che cambia allenatore, la seconda che lo tiene a bagnomaria, i presidenti di entrambi invisi alla stragrande maggioranza dei tifosi. Lo Spezia ultimo in serie B con allenatore e patron nel mirino della contestazione. Acque agitate, previsioni per niente rosee che per contrasto accentrano i fari sul porto tranquillo in mezzo al Tigullio.
La Virtus Entella Chiavari, che dodici mesi fa era schiacciata tra processi infiniti e vagava tra i campionati senza poterne disputare uno, oggi, dopo aver compiuto un’impresa storica – vincere un campionato di serie C partendo con un ritardo di oltre due mesi sulla concorrenza – è tornata in serie B dalla porta principale e, invece di sedersi su uno strapuntino, ha afferrato una delle seggiole alla tavola reale. In sette giornate ha conquistato undici punti che le valgono il nono posto, a pari punti con l’ottava e quindi a un soffio dalla zona play off.
La partenza della matricola è ancor più folgorante se si pesa la caratura delle avversarie incontrate: Crotone, Benevento, Frosinone, Cremonese erano e sono tra le favorite per la promozione, i biancocelesti di mister Boscaglia si sono arresi solo ai calabresi nell’ultimo turno prima della sosta per le nazionali.
L’obiettivo di stagione era e resta la difesa della categoria appena riconquista, il bottino accumulato è un buon viatico e allo stesso tempo la riprova che una proprietà autorevole, lungimirante e sempre presente, una dirigenza affiatata e scrupolosa, uno staff tecnico guidato da un allenatore esperto della categoria e minuzioso nella preparazione sono garanzie a lungo termine.
Possono esserci momenti neri e c’è pure il rischio di qualche scivolone, ma la stabilità societaria e la chiarezza di intendimenti pagano sempre. Vietato chiamare fortuna quello che si è conquistato con il duro lavoro.
A Chiavari c’è una discrepanza con la situazione generale del calcio ligure che non si può spiegare altrimenti. Se servono altri esempi, diamo un’occhiata tra i dilettanti.
Nella serie D ci sono grandi nomi, blasoni che possono essere comparati e in alcuni casi addirittura essere dichiarati superiori a quello entelliano: Savona, Sanremo, Lavagnese arrancano nel girone A, le prospettive di salire o tornare in serie C vicine allo zero. Altri club storici come Imperia e Sestri Levante sono addirittura ancora più in giù, in Eccellenza, sudano per lasciare categorie non adatte alla loro storia.
Insomma l’Entella è la perla rara, l’eccezione che conferma la regola di una Liguria in sofferenza, non solo nel calcio. La mosca bianca di Chiavari ha faticato a guadagnarsi l’attenzione di cugine che l’hanno sempre guardata un po’ dall’alto in basso.
La ruota gira e l’Entella fa tendenza. Si è capito che ha successo e resiste al vertice pur andando contro ogni logica geografico-politica: lotta con capoluoghi di regione ed ha alle spalle una città di ventisettemila abitanti e un bacino di utenza potenziale non superiore alle sessantamila unità. Ci riesce con una gestione oculata e con una strategia di valorizzazione dei propri prodotti (leggi settore giovanile) che non ha eguali.
L’anno scorso ha vinto uno scudetto nella categoria Berretti e piazzato diversi giovani in prima squadra propria o di altri club pro. Il sistema Entella andrebbe esportato? Forse no, perché può funzionare solo se hai un presidente come Antonio Gozzi. Che però quando viene interpellato perché spieghi i segreti del momento d’oro della sua società, fa il cenno di cucirsi la bocca. E guarda l’interlocutore come se fosse un redivivo Rosario Chiarchiaro, prototipo dell’implacabile iettatore.