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Giovedì 16 ottobre 2025 - Numero 396

Le relazioni pericolose tra il presidente Trump e il finanziere Jeffrey Epstein: un tema che continua a tenere banco nell’opinione pubblica

Per un periodo è stato quasi impossibile scorrere le app dei social senza imbattersi in un meme apparentemente innocuo che si concludeva con la frase: “Epstein non si è ucciso”
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

A complotto, complotto e mezzo. Si potrebbe riassumere così la strategia di Trump per risolvere l’imbroglio da lui stesso creato relativo alla lista Epstein, vera o presunta che sia. Di che si tratta? Si tratta di un elenco che sarebbe stato posseduto dal controverso finanziere Jeffrey Epstein, morto suicida in carcere nella notte tra l’8 e il 9 agosto 2019 dove era detenuto dopo essere stato incriminato per sfruttamento sessuale di minori con l’ulteriore aggravante di essere a capo di un’organizzazione criminale dedita proprio a quello. 

Già su quel punto molti utenti della rete hanno espresso dubbi più o meno fondati: per un periodo è stato quasi impossibile scorrere le app dei social senza imbattersi in un meme apparentemente innocuo che si concludeva con la frase “Epstein non si è ucciso”. 

Passa l’anno del Covid, Trump lascia la Casa Bianca ed ecco che la teoria si rinfocola. Ad uccidere Epstein, si dice, sarebbero stati “uomini del Deep State” che vogliono proteggere “potenti esponenti democratici” coinvolti in questi loschi traffici. Il tema diventa un leitmotiv della campagna elettorale permanente di Trump: tornerò alla Casa Bianca e finalmente toglierò “i sigilli” alla lista. 

Certi documenti, peraltro già trapelati alla stampa, coinvolgevano personaggi importanti, come l’avvocato Alan Dershowitz e il principe Andrew, fratello del re britannico Carlo III. Niente di definitivo però. E la loro secretazione era funzionale per la riservatezza dell’altro processo in corso, quello riguardante la ex compagna di Epstein Ghislaine Maxwell, conclusosi nel gennaio 2024 con la condanna della diretta interessata a vent’anni di detenzione. 

Ecco che arriviamo allo scorso novembre, con Trump che vince le elezioni promettendo “trasparenza” sul tema. “Lo stato maggiore dem sta tremando” scrisse una sostenitrice trumpiana il cui account si chiama “Libs of TikTok”. Lo scorso febbraio, dopo una conferenza stampa-show con alcuni influencer di destra, la procuratrice generale Pam Bondi affermava che la famigerata lista era “sulla sua scrivania”. 

Qualche mese dopo, il dietrofront: figure ascese ai vertici dell’Fbi in virtù delle loro sparate complottare come il direttore Kash Patel e il suo vice Dan Bongino se ne escono minimizzando e promuovendo la versione ufficiale dei fatti da loro tanto esecrata: Epstein suicida, nessuna lista, tutto finito, si vada avanti. Dall’altra parte della barricata, invece, i commentatori progressisti cominciano a insinuare: non è che questo dietrofront deriva dal fatto che nella lista c’è proprio Trump. Molti Maga non arrivano alla stessa conclusione, ma comunque puntano il dito contro qualcuno dell’amministrazione sacrificabile, come la stessa Pam Bondi.

Il vortice non accenna a fermarsi nonostante la dichiarazione di Trump che invita a rilasciare i file citati in tribunale. Si dice che invece vanno diffusi tutti, ormai non basta più, tutto somiglia sempre più a un insabbiamento generale che stride contro le numerose immagini del tycoon insieme a Epstein e che fa a pugni con lo scoop del Wall Street Journal su un biglietto di auguri dal tono lascivo che Trump avrebbe mandato al defunto finanziere newyorchese. A quel punto ecco che arriva in soccorso la direttrice dell’intelligence Tulsi Gabbard, già nota per le sue passate posizioni filorusse e filo Assad, che stende un controverso report sulla cospirazione guidata dall’ex presidente Barack Obama per impedire a Trump di ascendere alla presidenza dopo le presidenziali del 2016. Si parla del famigerato Russiagate, ovvero la teoria che Trump sarebbe stato aiutato in quell’anno dalla Russia in modo decisivo. Dopo lunghe indagini, si è scoperto che, se un contatto c’è stato, certo non ha cambiato il risultato. Non solo: anche il successivo report del procuratore speciale John Durham, diffuso nel 2022, ha stabilito che non ci sono grosse cospirazioni in corso. Non basta: Tulsi Gabbard rilancia e mette al centro addirittura Obama. Una sparata talmente grossa da far alzare qualche sopracciglio anche tra chi era scettico sul Russiagate. Quasi che l’obiettivo fosse alzare un polverone mediatico per archiviare la vicenda Epstein. Al momento però tale strategia sembra non funzionare affatto e potrebbe tormentare lo stesso Trump per il resto del suo mandato.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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