di ALBERTO BRUZZONE
Il suono delle campane? Può far ammalare le persone. Così finisce che i giudici danno ragione a chi ha intentato la relativa causa e che la chiesa in questione debba pagare un congruo risarcimento.
Del caso si è parlato moltissimo nei giorni scorsi: siamo a Lavagna, presso il Santuario del Carmine che, insieme alla vicinissima Basilica di Santo Stefano, è stato guidato per lungo tempo da don Stefano Queirolo, un sacerdote molto amato e molto attivo in questa parte di Tigullio, oggi parroco emerito.
La Corte di Cassazione, e quindi il terzo grado della giustizia italiana, ha chiuso di recente, scrivendo la parola fine, una vicenda che si protrae sin dal lontano 1985. Era in quel periodo che una turista milanese, la professoressa Flora Leuzzi, il cui nome risulta dagli atti, decise di trasferirsi in città e acquistò una casa proprio nei pressi del campanile, che peraltro è una delle principali attrazioni di Lavagna.
Poco tempo di convivenza con il suono dei rintocchi e poi la signora iniziò a non sopportare più, chiedendo all’allora Tribunale di Chiavari che quel ‘fastidio’ venisse fermato. Le venne data ragione in primo grado, con la chiesa condannata a pagare un risarcimento di quasi settantamila euro; poi, la parte soccombente ricorse in appello e ottenne un altro stop, con le spese ridotte a circa trentacinquemila euro.
Adesso la Cassazione, anche se le carte non sono ancora in possesso dei ricorrenti, ha confermato il verdetto. E quindi il Santuario del Carmine dovrà pagare: “Non si sa ancora quanto, ma la cifra dovrebbe essere molto vicina a quella della sentenza di secondo grado – osserva don Stefano Queirolo – Inutile dire che per noi sarà un problema enorme, perché già in questo periodo di restrizioni facciamo una fatica enorme a pagare le utenze normali, figuriamoci a pagare questa ammenda. Chiederemo sicuramente una rateizzazione”.
Quasi quarant’anni di ‘scontro’ a carte bollate, poi la sentenza definitiva è arrivata nel periodo peggiore. Fa sempre un certo effetto, quando vengono fermate le campane di una chiesa: “A dire il vero – precisa don Stefano – al Carmine non suoniamo più già dal 2002. Siamo andati anche oltre rispetto alle disposizioni della Diocesi, che invitava tutte le parrocchie a non suonare le campane prima delle sette e trenta al mattino e dopo le venti alla sera. Non suoniamo più, neppure in occasione dei funerali, mentre continuiamo regolarmente a suonare presso la Basilica di Santo Stefano”.
Sinora, spiega il sacedote, “non avevamo pagato nulla, ora dovremo pagare tutto insieme. A me dispiace molto, perché evidentemente la signora, oltre a problemi all’udito, aveva anche qualche problema di vista… Possibile che quando ha comprato l’appartamento, non ha visto che era vicino a un campanile? Ad ogni modo, non essendo noi un’azienda a fini di lucro, ci attrezzeremo per pagare nei tempi e nei modi in cui riusciremo”.
Non c’è un tono di resa, nelle parole di don Stefano Queirolo, ma certamente traspare una grandissima amarezza. Ci sono chiese, specialmente nel Sud Italia, in cui le campane suonano ogni quarto d’ora, a ogni ora del giorno e della notte. Poi c’è una chiesa, qui a Lavagna, dove non potranno mai più suonare (la bellissima foto qui a fianco è di Andrea Esposito). E questo perché, secondo i giudici, la donna ha subìto gravi danni “dal perdurare delle emissioni rumorose” delle campane della chiesa, che “le hanno cagionato fortissimi e cronici malesseri”.
Già nella sentenza di primo grado, emessa a Chiavari, si leggeva che “la situazione aveva determinato l’azzeramento della vita sociale e di relazione della donna, e le immissioni sonore sono state la fonte di una permanente lesione della sua integrità psicofisica”. Ora, come il suono delle campane possa azzerare una vita sociale e di relazioni è difficile da capire; quanto alle lesioni, c’è tutta una relazione di tipo medico a dimostrarle.
La notizia della condanna definitiva del Santuario del Carmine ha destato enorme scalpore a Lavagna. A cominciare dall’amministrazione comunale, che si è subito schierata al fianco di don Stefano. Sui social, è stato anche lanciato l’hashtag #iostoconlecampane, accompagnato da un bellissimo scatto del campanile, realizzato dal fotografo Luca Sanguineti, anche assessore della Giunta Comunale del sindaco Gian Alberto Mangiante.
Secondo il primo cittadino, “fa male, fa tristezza, fa rabbia ma non abbiamo certo le competenze oggi, a fronte di tre gradi di giudizio, per intervenire sulla decisione della Suprema Corte che ha condannato il nostro don Stefano. Noi non possiamo far a meno di ringraziarlo per avere combattuto per così tanti anni per le nostre campane. Oggi una città ferita e forse incredula si sta stringendo all’unisono intorno al suo ex parroco, dimostrando che il volto di questa città passa anche per un semplice suono, il cui veto inesorabilmente fa perdere un pezzettino di quella autenticità che tanto ci contraddistingue e tanto ci inorgoglisce. Grazie don Stefano”.
I parrocchiani, ma anche chi non frequenta direttamente le funzioni religiose, si sono già attrezzati per dare un aiuto, mentre don Stefano conclude con una vena di tristezza e di sconforto: “Vorrà dire che ci venderemo le campane, intanto ormai non servono più a niente. E comunque questa è la morte del buon senso, è una giustizia senza empatia”.
Ma com’è posta di preciso la questione, dal punto di vista giuridico? Sulla base di quali leggi sono state scritte le sentenze di primo e secondo grado e, poi, quella della Cassazione? ‘Piazza Levante’ ne parla con l’avvocato Santo Durelli, che è uno dei principali esperti in tema di tutela dal rumore. Secondo Durelli, “bisogna distinguere se le campane vengono suonate nell’ambito di funzioni liturgiche (esempio, annuncio delle Messe) o al di fuori di queste (esempio, per scandire le ore). Nel secondo caso, le campane sono equiparate a qualsiasi altro strumento sonoro, per cui devono rispettare il limite della normale tollerabilità previsto dall’articolo 844 del Codice Civile, proprio per non arrecare disturbo alle persone. Il limite della normale tollerabilità non è un limite rigido e predeterminato, ma si lascia al giudice di valutare caso per caso tenendo conto di vari fattori (esempio, la condizione dei luoghi, la frequenza, se il suono avviene in ore serali o notturne, ecc.)”.
Il legale genovese ricorda che “un parametro generalmente seguito nella prassi giudiziaria per stabilire la soglia della normale tollerabilità è quello per cui si considera intollerabile un rumore che superi di almeno 3 decibel il rumore di fondo della zona. Nel caso in cui le campane vengono suonate in funzione liturgica, allora occorre tener conto della Legge 121/1985 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede (modificativa del Concordato lateranense del 1929). L’articolo 2 dispone che ‘è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica’. In forza di questa disposizione, la soglia della normale tollerabilità si alza, per così dire, e sono generalmente consentiti i suoni delle campane per annunciare le Messe così come gli scampanii in occasione dei cosiddetti ‘momenti forti’ della Chiesa, quali il Natale, la Pasqua, il Santo Patrono. Ma, ripeto, è sempre lasciata al giudice la valutazione del caso concreto. Ricordo un caso che avevo seguito ove la parrocchia era stata obbligata ad usare la campana più piccola per l’annuncio delle Messe prima delle 9”. Un caso di ‘silenziamento’ totale, invece, è più unico che raro.