di ANTONIO GOZZI
C’è un silenzio assordante della sinistra italiana sugli ultimi efferati delitti del fondamentalismo islamico in Francia: la decapitazione di Samuel Paty, l’insegnante francese che aveva mostrato in classe le vignette di Charlie Hebdo su Maometto e lo sgozzamento dei tre fedeli cattolici nella cattedrale di Nizza.
Tali delitti non sono episodici ma colpiscono la Francia dopo altre terribili stragi ad opera di fondamentalisti islamici nei mesi e negli anni passati: Charlie Hebdo, Bataclan, lungomare di Nizza, uccisioni di religiosi cristiani ed ebrei ecc.
Tranne pochissime eccezioni, che citeremo, non ci sono state, da parte di esponenti della sinistra, prese di posizione e di solidarietà alle famiglie delle vittime e alla Francia che invece non può essere lasciata sola dall’Occidente e dall’Europa in questo momento terribile.
Il fatto è paradossale perché gli ‘intellò’ della gauche nostrana che seguono l’atteggiamento di molti loro colleghi d’oltralpe, sono sempre, giustamente, pronti alle petizioni e all’indignazione per qualunque buona causa e difesa dei diritti inalienabili eventualmente violati come quelli di parola, di associazione, di genere, di religione ecc. Sempre pronti alla mobilitazione tranne che quando si tratta di fondamentalismo islamico e dei suoi delitti.
Qui la sinistra va in crisi. In preda ad una specie di riflesso automatico per tutto ciò che riguarda popoli e paesi di quello che una volta si chiamava terzo mondo, è incapace di ragionare e di discernere. Non riconosce i valori dell’Occidente e delle sue democrazie come quelle più evolute del mondo, e al di là di qualche condanna formale della violenza si nasconde normalmente in una reticenza e un silenzio intollerabili.
Negli ultimi giorni da parte di qualcuno si è ribadito che la violenza va ovviamente condannata ma che non è una buona idea prendere in giro una religione e offendere i suoi fedeli.
Io non sono un cattolico militante ma ricordo con una qualche sofferenza famose copertine di giornali di sinistra esplicitamente blasfeme o irridenti la religione cattolica. Ve la ricordate la donna nuda e incinta messa al posto di Gesù sul crocifisso in una famosa copertina dell’Espresso per lanciare la campagna a favore dell’aborto, o ancora il titolo a tutta pagina de Il Manifesto con l’immagine di un bellissimo cane ‘Pastore Tedesco’ nel giorno dell’elezione di Papa Ratzinger?
Ho sempre ritenuto quelle manifestazioni, ancorché per me e per moltissimi altri spiacevoli, come rientranti nella libertà di espressione che è per la nostra cultura e civiltà un diritto sacro.
Vi immaginate cosa sarebbe successo in Italia se qualche fanatico fascista o lefebvriano avesse non dico decapitato ma anche solo insultato e malmenato un insegnante che per spiegare cosa significa in Occidente la libertà di espressione avesse mostrato ai suoi studenti questi giornali?
Invece in questo caso silenzio totale, che denota un’incapacità di analisi della situazione e della prospettiva che sta dinanzi all’Occidente e all’Europa con tutte le sue incognite. L’appannamento di visione è tale che in non pochi media occidentali, a partire dal New York Times, in un primo tempo, dopo l’uccisione di Paty, si è persino cercato di minimizzare la matrice islamica del delitto.
Come ci ha giustamente ricordato Paolo Flores d’Arcais, una delle poche voci di sinistra che si sono levate con forza contro le recenti barbarie e i delitti consumati in Francia e altrove, nel suo bel libro di qualche anno fa ‘La guerra del sacro-terrorismo, laicità e democrazia radicale’ (edizioni Cortina), e in un suo recente intervento, chi si permette di criticare/offendere l’islamismo (che è un’ideologia politica che non distingue tra stato e religione, tra politica e religione) o la religione islamica stessa viene accusato di islamofobia.
Eppure quella ideologia e il fanatismo religioso connesso dovrebbero porre non pochi problemi di coscienza a chiunque voglia difendere libertà e giustizia.
Si tratta infatti di una visione in definitiva imperialistica del mondo, che prevede l’espansione coranica sul filo della spada e lo sterminio degli infedeli. L’ex primo ministro malese Mohamad Mahatir, poco dopo il bagno di sangue di Nizza, ha affermato su Twitter che “i musulmani hanno il diritto di essere arrabbiati e di uccidere milioni di francesi”. E ancora: l’interpretazione fanatica del Corano propone una discriminazione di genere terribile. La Sura 4 del Corano al versetto 34 recita: “Gli uomini hanno autorità sulle donne per la superiorità che Dio ha concesso agli uni sulle altre… Le donne di cui temete l’indocilità, ammonitele, lasciatele dormire sole, battetele. Ma se vi obbediscono lasciatele in pace”.
Perché è possibile criticare qualunque ideologia e religione ma non l’islamismo?
A questa domanda non c’è risposta in molta parte della sinistra italiana ed europea.
Una certa retorica della sinistra spesso richiama le deplorevoli condizioni economiche e sociali in cui vivono nelle varie banlieue europee i giovani fondamentalisti islamici che sono protagonisti degli efferati delitti commessi soprattutto in Francia e in Belgio. Saviano lo ha fatto anche in questi giorni.
In realtà la questione del fondamentalismo islamico ha poco o nulla a che vedere con l’economico e con il sociale e ha purtroppo moltissimo a che fare con il culturale, con il fanatismo religioso e con un’interpretazione estrema del Corano. In zone sempre più ampie delle periferie francesi ed europee, a prevalente immigrazione mussulmana, la sharia (e cioè la legge islamica) è divenuta la legislazione vigente di fatto, con il tentativo, da parte di queste comunità, di creare delle enclave dove lo Stato non può entrare. Ciò pone evidenti problemi di sovranità e ordine pubblico con i quali fanno i conti soprattutto francesi e belgi.
Conosco bene la situazione belga per aver vissuto per oltre quindici anni in quel Paese. Conosco in particolare la situazione dei quartieri ad alta densità islamica di Bruxelles: Molenbeek e Anderlecht. Molenbeek in particolare è un quartiere “sottoposto alla Sharia”. Qui nessuno, anche se non islamico, può bere o mangiare in pubblico durante il Ramadan; le donne sono “invitate” ad indossare il velo e a non portare i tacchi; bere alcool e ascoltare musica sono attività non gradite. A tutti gli angoli di strada un cartello giallo con scritta nera avverte che ci si trova in una ‘Sharia controlled zone’, sottintendendo che in quelle strade la polizia ha un potere limitato ed è meglio che non entri.
In questo quartiere vivevano e hanno trovato a lungo rifugio alcuni degli autori delle stragi di Charlie Hebdo e del mercato kosher della capitale francese e alcuni dei giovani della strage all’aeroporto di Bruxelles.
Si trattava di giovani musulmani di seconda o terza generazione di immigrati, con il passaporto belga, non cresciuti in particolari condizioni di indigenza e protetti dal ricco welfare sociale, scolastico e sanitario di quel paese. In molti casi il loro passato era fatto di piccola delinquenza e di spaccio di droga. Si erano radicalizzati e avevano scoperto il fondamentalismo come elemento identitario nei più o meno lunghi soggiorni in carcere.
Anche in questo caso le visioni tradizionali della sinistra e la lettura di ogni fenomeno sotto la lente economica e sociale hanno poca capacità di spiegazione.
Dobbiamo tenere presente che nel mondo islamico non hanno molto senso le nostre tradizionali differenze tra Destra e Sinistra. Ma se volessimo applicare queste categorie certamente il fondamentalismo islamico verrebbe classificato come estrema destra. È questa la ragione per la quale già nel lontano 1994 Bernard-Henri Levy definì il fondamentalismo islamico fascislamismo.
In effetti ci sono assonanze terribili tra fascismo e islamismo: l’odio per gli ebrei, ad esempio, la negazione della Shoah, la concezione dello Stato etico come unico depositario della fede, in definitiva la concezione di un popolo eletto protetto da Dio che vuole imporre a tutto il mondo la propria legge.
La frase usata da molti giovani fondamentalisti prima o dopo i loro delitti “noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita” non ricorda forse il “Viva la muerte” e cioè grido di battaglia dei falangisti nella guerra civile spagnola?
Il fondamentalismo islamico nasce dalla constatazione dolorosa delle condizioni di debolezza, di penosa inferiorità il cui il ‘dar islam’ (il regno dell’islam) si trova rispetto al mondo cristiano europeo. Per circa mille anni Islam e Cristianesimo si sono affrontati con alterne vicende con l’Islam generalmente all’attacco e la difesa cristiana ora soccombente ora in vigorosa riscossa.
Dalla fine del 1600 con la rovinosa sconfitta dell’armata musulmana a Kahlenberg vicino a Vienna ad opera di un esercito cristiano guidato da un re polacco, i musulmani hanno cominciato a perdere ogni scontro. Per questo l’attentato e la strage di Vienna di qualche giorno fa nella mente malata di un ragazzo di origine macedone alla ricerca del martirio dei fondamentalisti islamici rischia di essere così simbolica.
Per il fondamentalismo islamico la decadenza araba e musulmana degli ultimi 400 anni è dovuta all’abbandono della tradizione coranica. Solo il ritorno all’integrale applicazione della legge coranica (Sharia) può fare rinascere l’Islam, la gloriosa civiltà islamica e far rivivere i tempi mitici del Califfato.
Questo è il punto essenziale: la rinascita islamica passa attraverso il rigetto dell’Occidente e dell’occidentalizzazione. Il fine del terrorismo islamico è quello di destabilizzare e rovesciare tutti i regimi arabi che più o meno esplicitamente prendono ispirazione dall’Occidente, e di sconfiggere l’Occidente a partire dall’Europa.
Ciò che vaste aree della sinistra italiana ed europea non comprendono o fanno finta di non comprendere è che la lotta contro un Islam radicale che ha dichiarato guerra alla civiltà e al diritto sarà difficile e di lunga durata.
Bisognerà essere implacabili con coloro che impugnano coltelli e fucili e mettono le bombe; ma bisognerà anche individuare quelli che sono stati definiti gli incendiari delle anime, i capi piromani e le guide che telecomandano gli assassini, anche quando questi siano Stati o leader di Stati.
Francamente molto più lucidi in tutta questa vicenda ci appaiono intellettuali musulmani progressisti, e se ne potrebbero citare molti, che sono implacabili nei confronti del fascislamismo e del fondamentalismo islamico. È esistita ed esiste, anche se minoritaria, una corrente laica e progressista araba che ha animato i movimenti di liberazione di quei Paesi a partire dall’Algeria e dalla Tunisia, una corrente perseguitata dai fondamentalisti che hanno assassinato molti dei suoi esponenti.
Si potrebbero citare molte figure al riguardo, da Tahar Djaout, ucciso nel maggio del 1993 dagli islamisti algerini, a Chokry Belaid, ‘il Matteotti tunisino’. Tra tutti mi piace citare la figura dello scrittore algerino vivente Boualem Sansal.
Sansal ha incominciato a scrivere tardi, a cinquanta anni. La decisione di scrivere prese il volo dopo l’uccisione, nel 1992, del suo grande amico, il neoletto presidente della Repubblica algerina Mohamed Boudiaf, a opera di un ufficiale della guardia presidenziale di simpatie islamiste dopo solo sei mesi di presidenza. Boudiaf era un eroe della rivoluzione algerina, esiliato per 28 anni a causa delle sue idee progressiste e richiamato in piena crisi a salvare il Paese.
Nei giorni della decapitazione di Paty lo scrittore algerino Sansal sull’Express ha invitato la Francia alla guerra contro il fondamentalismo islamico. “Condanniamo gareggiando in emozione e slogan, affermiamo il nostro sostegno alla famiglia della vittima, rassicuriamo il personale docente e i genitori degli studenti, chiediamo misure forti e promettiamo fermezza. Facciamo il nostro dovere, abbiamo la coscienza pulita… fino al prossimo orrore, fino alla prossima strage”.
Sansal non è ottimista e pensa che la battaglia contro il fondamentalismo islamico sarà lunga e difficile. Sansal considera Israele, come la Palestina, ‘paesi fratelli’, nel senso di una fratellanza mediterranea che ha come modello culturale l’Occidente e non l’Oriente e in questo senso mi ricorda molto la visione che del Mediterraneo e dei suoi popoli aveva Bettino Craxi, amico di Israele ma anche dell’Olp.
L’islamizzazione radicale dei paesi mediterranei è per Sansal la fine del progetto di una cultura mediterranea unita, laica e progressista. La primavera araba, secondo Sansal, è ancora lontana. Bisogna sbarazzarsi prima della tentazione islamista per poter tornare a sognare rivoluzioni.