di DANILO SANGUINETI
Lavorare in un cantiere navale significa mettere in conto fin dall’inizio del proprio impiego la possibilità di un naufragio. Se non della nave, dell’impresa. Non solo sul mare ma nel costruire “per” il mare si corre l’alea. L’andare a fondo è cosa tutt’altro che insolita. L’importante è possedere intraprendenza e sapienza necessarie “per rimettere la prua” verso il porto.
Paolo Traversi per decenni era rimasto nella comfort zone dei Cantieri Navali di Lavagna ma nel 2010 lo tsunami partito dagli Usa con la crisi dei subprime si abbatté con una violenza tremenda sull’Italia facendo sfracelli nei settori più esposti, tipo la Sea Luxury… I Cantieri Navali Lavagna andarono a bagno e l’impiegato Traversi a 42 anni dovette ripensare al suo stesso piano di vita. D’accordo che oggi, che ne ha 58 ne dimostra dieci di meno, quindi all’epoca doveva apparire giovanile ma alla burocrazia non la si fa e un over 40 in cerca di occupazioni non può vederla molto rosea…
“Che fossi arrivato volente o nolente a una svolta epocale era chiaro. Per un po’ sperammo di poter salvare l’intera baracca. Che il cantiere dove io avevo una mansione ripartisse, ecco. Così non fu: dopo quasi tre anni di procedura fallimentare tutto venne smantellato, buttato al vento un patrimonio di conoscenze notevole. Da quel cantiere erano uscite barche che avevano fatto la storia della nautica da diporto non solo italiana”.
Per fortuna il signor Traversi aveva un hobby che poteva tramutarsi in una professione ricordante quella antica, anche se per alcuni versi dissimile. “Ho sempre avuto la passione dell’antiquariato, fin da ragazzo ho studiato il mobile antico e soprattutto cercato di apprendere l’arte del restauro. Una specie di mania, quella di rimettere a posto i pezzi, di restituire vita alle cose belle. Lo facevo anche quando lavoravo in cantiere, ma allora era un hobby, nulla di più. Poi in età non più giovanissima la necessità di inventarsi qualcosa. Decisi di seguire l’istinto”.
Una scelta dettata dal cuore ma corretta dalla ragione. Corsi professionali per acquisire le necessarie conoscenze, cinque anni e mezzo a Genova nell’istituto specializzato nel restauro. “Poi ho aperto bottega nella zona est di Chiavari, prima non lontano da dove sono ora, in via Piacenza, ed adesso, per la precisione dallo scorso aprile qui al vertice orientale di via Entella (proprio appena passata la rotatoria con via Magenta e l’imbocco di Circonvallazione N.d.r.)”.
La vetrina non è immensa e lascia intravedere solo un paio di lavori compiuti da Paolo Traversi, ma chi spinge la porta a vetri ed entra, rimane a bocca aperta: il locale si apre per diversi metri, con un tetto concavo a capriate che ricorda, e non è un caso, la chiglia rovesciata di una nave o il capannone di un cantiere, a scelta di chi guarda. Bisogna però farci caso. “Beh la gente mi sta fornendo un ottimo riscontro. Spesso lascio la porta aperta ed entra, vede, chiede e spesso gli piace ciò che osserva ed ascolta”.
L’offerta di Paolo Traversi è ampia: “Io lavoro su mobili di tutte le epoche, dal Gotico fino a fino al Primo Novecento, diciamo fino al Liberty. Faccio anche decorazioni, doratura a foglio d’oro che riguarda quasi esclusivamente l’arte sacra, ed infine restauro o creo l’impagliatura di sedie, dalla classica campagnola alla chiavarina”.
Il campo di azione è vasto ma la clientela c’è? “Lo dico molto francamente, il lavoro non manca anche perché noto un ritorno dell’interesse per l’antiquariato. Io seguivo il settore anche prima di entrarci e devo dire che il massimo livello venne raggiunto a fine anni ’90, primi anni 2000, Poi nel ventennio del 21esimo secolo c’è stato un calo sensibile a livello mondiale”. La pandemia in questo particolare frangente è stata una opportunità… La gente costretta a rimanere in casa ha aperto le cantine, ha sfruttato le case di campagna ed è incappata in mobili dimenticati ma meravigliosi. “Come in tutto ci sono anche corsi e ricorsi, ci sono mode e manie. Io ascolto ciò che i clienti propongono, dò consigli se richiesto. Non mi limito a intervenire su pezzi unici, che possono rivelarsi capolavori. Sono convinto che si possa riportare in vita ogni mobile, che abbiano possibilità anche pezzi che ad una prima vista sembrano perduti, impossibili da restaurare”.
Traversi lavora con scrupolo e con metodica sapienza. “Posso prendere diversi lavori e seguirli contemporaneamente anche se opero da solo senza aiuti. Perché il restauro sovente richiede diverse fasi, con tempi diversissimi tra loro e da pezzo a pezzo. Quindi mentre uno riposa – tipo deve asciugare la colla particolare usata per quel preciso materiale – l’altro viene “sotto i miei ferri”. Possiamo andare da qualche settimana a diversi mesi, anche parecchi mesi”. E fa vedere uno scrittoio del Seicento dal fascino capace di conquistare anche l’occhio meno esperto. Un “piece of work” che rimesso a nuovo varrà diverse migliaia di euro.
“Siamo sugli 8000 ed è lavoro che va fatto usando materiali di primissima scelta, rispettando il più possibile l’originale. Non si pensi solo ai “capo d’opera” che vanno vissuti con grande attenzione. Io credo anche nel rimettere a posto mobili molto rovinati che possono tornare a essere tavole, sedie, scrittoi, porta vasi e altro, svolgere ancora il compito per il quale furono concepiti decenni anzi secoli fa. Certo bisogna sempre usarli con attenzione: se ho trattato una tavola con la gommalacca, vernice prestigiosa, rara e un po’ delicata che soffre l’umidità, che soffre il calore non ci posso mettere sopra piatti o pentole bollenti. Certo non si tratta degli articoli moderni fatti di compensato fatti per durare poco. Io uso corde fatte di materiale vegetale per impagliare, di legni presi solo da pochi e fidati rivenditori del capoluogo, di colle animali e vegetali, di cere specialissime. Per esempio la palma brasiliana dove le foglie vengono fatte bollire, si crea un il grasso che galleggia e questa è cera durissima, lucentissima. Oppure la colla di mucca, fatta triturando ossa e zoccoli e un unghie e corno delle mucche. Importantissimo sapere che sono colle reversibili, che posso cancellare usando metodi naturali, non il Bostik o similari, colle industriali che sono inattaccabili, tanto che per toglierle bisogna spaccare non c’è altra soluzione”.

Arriviamo al nodo, al nocciolo del dubbio. Il restauro integrale conservativo deve rispettare la tecnica ed i materiali usati. Su questo non si tratta. Ma deve riportare l’oggetto al come era quando uscì dalla bottega dell’artigiano oppure no?
“Io sono per far vedere i segni del tempo. Non si può pretendere di avere una cosa creata 400 anni fa come se fosse appena costruita. Una signora tempo fa mi portò una piccola credenza rinascimentale del 1400, più o meno. Molto bella, tutta in noce. La voleva lucida, lucida, e pretendeva che venisse usata la gommalacca. Dissi subito di no. I mobili nel rinascimento erano finiti a olio, o a cera, o con un misto. Quindi il mobile non era verniciato. Per me sarebbe stato come travisare l’opera dell’artista che lo creò. Se ne andò non convinta. Un anno dopo è tornata e l’abbiamo restaurato come avevo proposto”.
La domanda divide gli animi di restauratori, storici e appassionati di antiquariato. “Ripristinare lo splendore originario spesso è sbagliato. Conservare i segni del tempo, rispettare la storia vissuta dal mobile: graffi, patine, usura raccontano il suo percorso. È una filosofia più conservativa, che punta alla conservazione più che al rinnovamento”. Apprezzata nell’antiquariato, dove l’autenticità e l’anima dell’oggetto sono fondamentali. Molti restauratori oggi seguono un approccio “minimale”, in cui si interviene solo per preservare la struttura, la funzionalità e la bellezza, senza cancellare l’identità dell’oggetto. Si parla di restauro conservativo, una via di mezzo che punta a rispettare sia l’estetica che la storia.
Mastro Traversi ha quindi un piano di intervento modulabile ma che segue essenzialmente fase in successione. Valutazione iniziale: si analizzano le condizioni del mobile, identificando danni strutturali, tarli, crepe o manomissioni precedenti. Pulizia delicata: si rimuove lo sporco con soluzioni neutre e pennelli morbidi, evitando prodotti aggressivi. Riparazioni mirate: si utilizzano stucchi per legno, colle naturali o resine per colmare fessure e consolidare giunture. Trattamento antitarlo: fondamentale per proteggere il legno da ulteriori danni. Finitura tradizionale: si applicano cere d’api, gommalacca o oli rigeneranti per nutrire e proteggere il legno, mantenendo la patina originale. Quindi rispetta il valore storico e artistico del mobile. Evita interventi invasivi che potrebbero alterarne l’identità.
È apprezzato da antiquari, musei e collezionisti per la sua attenzione all’autenticità.
Restauro ha la stessa radice di recupero, un volgersi indietro che non significa rifiutare lo svolgersi del tempo, tutt’altro, è il riconoscere che si vive hic et nunc. Avere una storia significa essere nella Storia.
Si lucida e si smalta, magari certi corpi e certe menti potessero essere rimesse in piedi come mastro Traversi fa con i suoi tavoli, sedie, scrittoi. Nel magnifico scrittoio del 600 chissà quante carte sono state vergate, sigillate, riposte, aperte. Ecco, aprirlo è come avvertire lo scorrere dei secoli: un quanto di bellezza che a differenza del “Gatto di Schroedinger” non ha bisogno di metodi cruenti per manifestarsi come presente.