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Giovedì, 8 giugno 2023 - Numero 273

L’analisi scomoda di Federico Rampini

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La serata del Festival della Parola con Federico Rampini e l’anteprima del suo spettacolo, ‘Quando inizia la nostra storia’, tratto dal suo omonimo libro e che girerà l’Italia nei prossimi mesi, è stata un grande successo. 

Successo di pubblico, innanzitutto: posti a sedere esauriti, moltissimi in piedi ai lati della tensostruttura montata sul sagrato della cattedrale di Chiavari. Ma, soprattutto, successo di contenuti. Il messaggio dello spettacolo ha centrato in pieno l’obiettivo di far riflettere gli spettatori e di proporre loro una lettura della realtà e delle vicende che viviamo in chiave fondamentalmente storica, alla ricerca degli antefatti, e non convenzionale. 

Un messaggio importante soprattutto per quell’area di cultura ed intellettualità di sinistra da cui Rampini proviene, e che troppo spesso resta ancorato a certezze e a verità ‘teologali’ che non spiegano più nulla dell’oggi e che dinanzi al distacco sempre più evidente con vastissimi strati della popolazione e all’incapacità di comprendere la realtà invocano il destino cinico e baro. 

Molte le questioni scomode sollevate da Rampini nella sua ora e mezza di monologo. 

Prima fra tutte l’ambiguità dei processi di globalizzazione, per troppo tempo visti dalla sinistra esclusivamente come fenomeno di progresso e di miglioramento delle condizioni di vita di masse enormi di persone e rivelatisi invece, almeno ad occidente, una via crucis di sofferenza e marginalizzazione per moltissimi. Operai di settori in declino, giovani senza lavoro, insegnanti, abitanti delle periferie, precari sono stati investiti dagli effetti della globalizzazione economica con i suoi eccessi di mercatismo diventato un’ideologia e dalle emergenze dei flussi migratori sempre più incontrollati ed impattanti proprio sulle fasce di popolazioni più deboli. 

Donald Trump viene eletto con i voti determinanti degli operai dell’Illinois e della Pennsylvania (tradizionali serbatoi di voto democratico anche nella precedente elezione di Obama) che si rivoltano contro l’establishment e percepiscono lo speculatore immobiliare plurifallito, ma che però parla  di ‘America first’, più vicino a loro rispetto alla candidata democratica Hillary Clinton. 

Altro tema molto scomodo quello dell’Islam, di cui Rampini ha raccontato l’involuzione violenta e oscurantista degli ultimi 30 anni, un’involuzione dei cui esiti la sinistra parla malvolentieri o addirittura si rifiuta di riconoscere nonostante il terrorismo, la gravissima discriminazione delle donne, l’odio infinito verso l’occidente. 

Rimozione e disconoscimento paralleli a quelli nei confronti di Israele, unica democrazia parlamentare aperta, civile e con straordinarie performance di innovazione e modernità immersa in un oceano di dittature arabe e islamiche che ne teorizzano ogni giorno l’annientamento. 

È quella stessa sinistra che tra Guaido’ e Maduro sceglie quest’ultimo, epigono di un castrofascismo che affama e conduce alla disperazione la maggioranza del popolo venezuelano nonostante le riserve petrolifere più grandi del mondo. 

Nella ricerca degli antefatti Rampini è persino prudente, e quasi dispiaciuto. Si limita ad accennare che bruciare la bandiera degli Stati Uniti come gli studenti americani della contestazione degli anni ‘60 insegnarono a fare a tutti gli estremisti del mondo offese gli operai americani e vastissime fasce popolari della nazione statunitense che nelle stelle e strisce vedevano invece un simbolo di riscatto e di identità. 

Sul tema dell’identità e della nazione Rampini chiude il suo monologo per dire che questi concetti lasciati ai cosiddetti sovranisti dovrebbero appartenere ed essere cari a tutti. Non a caso scorrono sullo sfondo in quel momento le rappresentazioni  pittoriche di Garibaldi e delle sue camicie rosse, costruttori e simboli della nostra unità e identità nazionale. 

Un senso di nazione ed identità che non deve essere regalato alla destra ma al contrario deve costituire l’unico modo per vivere una globalizzazione ed un multiculturalismo che senza radici e senza identità declinerà soltanto l’ideologia dei consumi. 

Uno spirito di nazione e identità che in fondo, conclude Rampini, riprende il concetto dei diritti e dei doveri. Come diceva Mazzini, ‘…il diritto ma anche il dovere di essere Italiani’. 

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