Il parroco di Cassego, don Sandro Lagomarsini, reagisce alla richiesta di una Carta dei Diritti delle Piante da parte della giornalista ambientalista Alessandra Viola con un intervento indirizzato al nostro giornale. Al di là della specifica questione, ci pare interessante non trascurare, nel dibattito sulla nuova coscienza ambientale che necessariamente ci deve tutti coinvolgere, la centralità dell’essere umano. Aspettiamo altri interventi.
di DON SANDRO LAGOMARSINI *
Una nuova forma di odio circola per il mondo: l’antropofobia. I suoi banditori, ‘haters’ colti e agguerriti, lo diffondono con argomenti pesanti. Partiamo dal numero: siamo tanti, siamo troppi, togliamo spazio agli animali e alle piante. Pensate come sarebbe più bella la terra, se le foreste prendessero il posto delle orribili megalopoli, se i ciuffi d’erba comparsi nei selciati durante il lockdown del 2020 riuscissero a ingoiare le pietre squadrate dalla violenza dei martelli pneumatici e cervi e caprioli se ne cibassero tenendoli al livello del climax, il loro punto di equilibrio.
E poi cos’è questa pretesa di occupare il vertice dei viventi? Siamo solo una specie tra le tante: siamo i ‘sapiens’, come dice Mario Tozzi, una specie infestante che da migliaia di anni abusa di altre specie.
Facciamo dunque un passo indietro. Possiamo mettere al nostro posto gli animali coperti da pelliccia: non abbattono alberi per scaldarsi, al massimo cambiano colore al pelame secondo le stagioni (a parte i castori, traviati da qualche cattivo esempio). Oppure lasciamo il posto agli alberi.
Sentite: “La scienza dice che le piante sono esseri viventi senzienti, intelligenti, che imparano e hanno memoria, che hanno vita sociale e comunicano con le altre piante e con gli animali”. Ed ecco la proposta: “Promuovere una Dichiarazione universale dei diritti delle piante”.
Se questa dichiarazione esistesse, pensa l’autrice di queste proposizioni illuminate, non si sarebbero tagliate duemila querce – “alcune di oltre 200 anni” – per costruire la “foresta”, cioè le travature per il tetto di Notre Dame restaurata. Non si poteva usare “un materiale alternativo”? Certo. Per esempio travi in lega leggera, ottenuta fondendo metalli con l’energia del carbone o del gasolio… o in fibra di carbonio…
Nessuno avverte un morso alla coda? Molto spesso, chi porta avanti queste posizioni veste jeans e blusa (cachemire? alpaca? seta?). Nessuno scrupolo per lo sfruttamento della pianta del cotone o di poveri animali come pecore, capre, filugello? A questo punto l’ironia non basta.
Leggo su un altro giornale: “Il legno è troppo prezioso per bruciarlo nel riscaldamento”. Io mi scaldo con una stufa alimentata dal legno dei castagni morenti a causa del cinipede: da dove viene il gasolio degli impianti urbani? Il legno è, fino a questo momento, l’unico materiale dove l’anidride carbonica viene ‘inscatolata’. Dunque la ‘foresta’ di Notre Dame (‘cimitero’? Ohibò!) è uno scrigno per migliaia di quintali di CO2 tolti dall’atmosfera per centinaia di anni (nella foto in alto). E milioni di case che reggano il tetto con travature in legno, invece che in ferro e cemento, risponderebbero proprio a quella svolta ecologica che viene invocata ogni giorno.
La ‘Repubblica delle piante’ di Stefano Mancuso? La scienza vera non procede per forzate analogie romantiche. I ‘diritti delle piante’? Siamo alle foreste antropizzate di Tolkien o al ‘pizzicorino’ sofferto da Pinocchio ancora pezzo di legno. Cioè: favole.
Una seria gestione della copertura vegetale non esclude gli usi che una saggezza non distruttiva ha elaborato nei secoli e nei millenni. In questa gestione trovano posto i tagli periodici di boschi cedui o di boschi maturi e uno sfruttamento soffice dei prodotti delle piante (foglie, frutti, resine). Perfino il fuoco colturale è importante: il grande rogo di Yellowstone, cinquant’anni fa, ha fatto riemergere organismi che lo sviluppo delle specie più aggressive aveva azzerato. Sostituire i dati storici e scientifici con visioni fumose o formule magiche non giova al miglioramento della vita umana sul pianeta.
(* Parroco di Cassego, frazione di Varese Ligure)