di DANILO SANGUINETI
La caterva di nodi che vengono al pettine rischia di trasformare l’intera Riviera di Levante in un aggrovigliato gomitolo di vasche chiuse, malandate se non pericolanti, in perpetuo restauro. E cassa con ancora maggior forza i ragionamenti asfittici di coloro che abbandonarono con eccessiva fretta e miope visione le strutture natatorie migliori.
Sori chiusa, Camogli chiusa, Chiavari/Ravera chiusa, Rapallo regge tra un rammendo e l’altro, Lavagna e Sestri funzionano nella limitata portata delle loro dimensioni, ingabbiate da vincoli ambientali e cronica mancanza di fondi.
La pandemia, poi, ha portato a galla i problemi strutturali. La caduta verticale degli introiti – attività amatoriale, quote di iscrizione dei settori giovanili – con i quali i club riuscivano ad azzerare i costi di gestione e compensare le uscite sostenute per l’attività agonistica, è stata terribile. Neppure attaccarsi alla proverbiale canna del gas è consentito ai derelitti sodalizi. Le colpe però non sono attribuibili che in minima parte alle società. Che sono gli affittuari. Sono i padroni di casa, le amministrazioni comunali che nei decenni non hanno capito o fatto finta di non capire.
In Liguria, come suggerisce la storia degli sport natatori e le condizioni climatiche ribadiscono ai duri di comprendonio, si deve puntare sulle vasche scoperte, costruite sulla battigia o poco lontano. Che possono a richiesta essere chiuse con un tetto mobile come si vede in Croazia, Germania, Ungheria, Usa, dove gli impianti sportivi sanno pensarli e realizzarli a regola d’arte. In più, semmai, come impianti di appoggio, erigere strutture al chiuso, comunque di ampie dimensioni, e mai, dicesi mai, piazzati nei centri storici asfittici, in luoghi impossibili da adattare alle esigenze di un edificio frequentato da centinaia di persone e predisposto per accoglierne migliaia. A Recco dopo infinite circonlocuzioni mentali e contorcimenti burocratici ci sono arrivati. Hanno fatto marcia indietro, accantonato i sogni di gloria legati alla costruzione del super impianto nella zona ex Iulm e sono – precipitosamente – tornati a puntare sulla ‘Antonio Ferro’, il tempio a Punta S. Anna.
A Sori idem. Hanno realizzato che la vasca al Porticciolo vale più di quella incastonata – per non dire incastrata – al centro del paese. Uno scatolone di cemento compresso e architravi di ferro che i vapori di cloro mordono dal primo minuto di apertura. Niente spazio per i pullman e per le auto del pubblico, aree di sfogo inesistenti. La piscina comunale ha ospitato anche incontri internazionali e sfide scudetto: chi vi si è recato ricorda ancora le file per accedere al parcheggio sopraelevato, qualcuno deve essere ancora lì in coda…
A Chiavari sono al solito un po’ più lenti o forse talmente ‘capatosta’ da far finta che le strutturali carenze della piscina Ravera costruita in largo (si fa per dire…) Pessagno possano avere un lieto fine. I crolli a ripetizione degli ultimi mesi hanno ribadito il concetto di base. Un centro sportivo nella parte di città compressa tra le case antiche di via Entella e i contrafforti della collina di Circonvallazione non doveva neppure essere pensato.
La vasca sotto la palestra non ‘respira’, non ha parcheggio, i suoi spogliatoi sono posti a decine di metri di distanza in un ex cinema ristrutturato. Sin dall’apertura al pubblico 18 anni fa si è compreso che la piscina era un sacrificio inutile, uno sgarbo fatto al monumentale complesso del Lido, vasca simbolo con una parte importante nella storia del nuoto (Guarducci nel 1976 vi ottenne un record europeo nei 100 stile libero) e della pallanuoto nazionali. Là si dovrebbe tornare e velocemente, con un progetto di ricostruzione fattibile in tempi non biblici. L’amministrazione Di Capua a fine dello scorso anno ha parlato di un progetto presentato per ricostruire la piscina principale (erano 50 metri di straordinaria scorrevolezza), rimettere in sesto i locali adiacenti e quelli interni alla maestosa gradinata lato fiume, abbattere la gradinata più piccola, quella lato mare, per fare spazio a una vasca da 25 metri per riscaldamento nelle gare e per il fitness. Un complesso sportivo senza copertura mobile, da tenere aperto per cinque mesi l’anno, da primavera avanzata a fine estate, gestito dalla Chiavari Nuoto.
La fattibilità di una simile impresa sarà da verificare. E in ogni caso dovrà per forza appoggiarsi negli altri sette mesi alla piscina Ravera che quindi andrebbe tenuta aperta e in grado di funzionare in maniera economicamente autonoma. Il che è da dimostrare.
Nel mentre che gli amministratori consultano il libro dei sogni, i poveri atleti tentano di arrangiarsi con la solidarietà: proprio sabato 1 maggio la piscina del Parco Lavagna (costruita con razionalità, a 32 anni dalla apertura regge ancora botta…) e la società Asd Lavagna 90 hanno aperto le porte alle ‘cugine’ R.N. Camogli e Chiavari Nuoto, al momento senza un tetto sulla testa.
Ha scritto il presidente dei lavagnesi Ezio Firenze: “Sabato 1 maggio di condivisione. Viste le recenti problematiche che coinvolgono le piscine del territorio, in un clima di assoluta collaborazione cerchiamo uniti di permettere ai nostri atleti di portare a termine la loro già difficile stagione agonistica. Piscina divisa in tre per permettere a tutti di allenarsi. Lo spirito sportivo è anche questo”. Fosse così anche per i politici. Che seguono filosofie diverse. Venticinque anni fa si disse che abbandonare il Lido per costruire la Ravera faceva venire in mente “un polinesiano che, pur avendo a disposizione un atollo magnifico, sceglie una tinozza per fare il bagno”. Oggi scopriamo che la tinozza è pure bucata.