È difficile esprimere un giudizio definitivo sul protocollo d’accordo Italia-Cina (MOU, Memorandum of Understanding) recentemente firmato a Villa Madama tra il governo italiano e il governo cinese nell’ambito della visita in Italia del premier Xi Jinping.
Le questioni in gioco sono molte, politica ed economia vi si intrecciano, e una sintesi che guardi a quale sia, o dovrebbe essere, l’interesse nazionale prevalente non c’è.
Gli accordi internazionali devono sempre essere letti secondo questa chiave: quali siano, nell’ambito di questi accordi, gli interessi dell’Italia, del suo ruolo nel mondo, delle sue imprese e della loro competitività.
Gli osservatori hanno oscillato tra due atteggiamenti diversi: da una parte si è visto un chiaro apprezzamento dell’accordo sulla Via della Seta come grande opportunità da sfruttare per l’economia italiana (soprattutto da parte di molte imprese grandi e medie che già lavorano con la Cina e che sperano di incrementare il loro giro d’affari) ; da altri si è vista una maggiore prudenza soprattutto per le asimmetrie che ancora caratterizzano il rapporto tra Italia e Cina e per il fatto che il nostro Paese si è presentato solo all’appuntamento, e non coordinato con l’Unione Europea.
In particolare la grande questione aperta è relativa al profilo e al futuro del gigante asiatico: la Cina punta a diventare la prima potenza mondiale entro il 2030. Dopo aver investito per oltre un decennio migliaia di miliardi in Africa per assicurarsi materie prime di ogni tipo ed enormi estensioni di terreni agricoli, oggi vi investe fondi illimitati non solo in infrastrutture materiali come strade, ferrovie, ponti ecc., ma anche in infrastrutture digitali, intelligenza artificiale, telecomunicazioni e altro ancora.
Con il progetto Via della Seta (Belt and Road) la Cina mette in campo mille miliardi di dollari (più della metà del PIL italiano) guardando all’Europa. La costituzione cinese è stata modificata nell’ottobre 2017 per introdurvi la Via della Seta come strumento di proiezione geopolitica del Paese.
È evidente come la firma del protocollo di collaborazione con un Paese del G7 abbia per la Cina un grande valore simbolico. Ed in effetti, i giornali di Pechino danno la notizia dell’ingresso della Cina nel cuore del Mediterraneo e dentro un Paese del G7.
Per contro, i 29 accordi previsti dal Memorandum sono assai generici, e anche, in qualche caso, depotenziati rispetto al testo originario per renderli meno ostici per le diplomazie euro-americane.
Sia europei che americani non hanno infatti visto di buon occhio l’iniziativa italiana.
La posizione europea espressa con chiarezza da Macron e dalla Merkel afferma che con Pechino, date le enormi dimensioni del colosso cinese, non ci si può muovere da soli ma è indispensabile un forte coordinamento della UE. “Il tempo dell’ingenuità europea nei confronti della Cina è finito”, ha efficacemente sintetizzato il presidente francese Macron, che teme una disparità di pesi tra Cina ed Europa anche con un’Europa unita nel confronto con il colosso asiatico.
Gli americani temono, e lo hanno detto con forza, le possibili implicazioni geo-strategiche e militari in particolare per le parti dell’accordo che riguardano i porti e tutti gli aspetti dell’accordo legati alle telecomunicazioni e all’informatica. La parte dedicata al 5G è scomparsa dal MOU su pressione statunitense e affondata in una più generica parte dedicata alle piattaforme telematiche.
Il malessere e la preoccupazione dei nostri tradizionali alleati sono dovuti all’improvvisazione con la quale Conte e Di Maio hanno affrontato le vicende del protocollo di accordo.
Anche in questo caso è sembrato prevalere l’aspetto propagandistico e della campagna elettorale permanente a cui ci ha abituati questo governo: sostanza economica ben poca, ma un gigantesco assist politico alla Cina per le ragioni sopra dette.
Non si può affrontare da soli un passaggio così importante senza un chiaro disegno di politica estera. Eppure la linea italiana al riguardo era già tracciata, essendo stata nei decenni costante e univoca, al di là dei governi che si sono succeduti: ritagliare al nostro Paese uno spazio ed un ruolo tra le due sponde del Mediterraneo, ampliando la collaborazione con la Cina ma rispettando i legami storici e strategici con l’Europa e con gli Stati Uniti.
Ancora una volta, nella confusione (Salvini ha disertato ogni incontro con i cinesi, marcando il suo dissenso che peraltro non ha certo impedito la firma del documento), solo il Presidente Mattarella ha cercato di rimettere insieme i cocci di una posizione di politica estera improvvisata e propagandistica ricordando nel suo discorso a Xi Jinping non solo la tradizionale amicizia italo-cinese ma anche l’ineludibile necessità che quel grande Paese rispetti i principi del fair trade e della simmetria negli scambi e nelle attività delle imprese qui e là e rispetti i diritti umani.
Ancora una volta, grazie Presidente!