Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo ricco e documentato contributo sulla Turchia scritto dalla geografa e docente Renata Allegri, suscitato anche dall’intervista pubblica da parte del nostro editore, Antonio Gozzi, al giornalista e inviato in Turchia Marco Ansaldo, svoltasi di recente al Giardino dei Lettori della Società Economica di Chiavari.
di RENATA ALLEGRI *
La particolarità geografica della Turchia
Lo spazio formato dal territorio della Repubblica Turca occupa una posizione geografica strategica sulla scala globale e su quella del Medio Oriente. Questi territori non hanno mai avuto la coerenza e omogeneità odierne, dal momento che sono stati delimitati con precisione solo in tempi relativamente recenti (nel 1923 e nel 1939) e perché sono il risultato di lotte di potere con i confinanti e, soprattutto, con le grandi potenze vicine o lontane.
Oggi il territorio della Repubblica di Turchia è transcontinentale, diviso tra l’Asia occidentale e l’Europa sudorientale. La parte asiatica della Turchia, con il 97% della superficie totale con l’83% della popolazione, si estende sulla penisola anatolica, sull’altopiano armeno e sulla pianura mesopotamica settentrionale, mentre quella europea è situata ad ovest dello stretto del Bosforo e dello stretto dei Dardanelli e include la parte orientale della Tracia. Territorialmente quest’ultima corrisponde solo al 3% della superficie totale della Turchia, ma comprende ben il 17% della sua popolazione e nella sola conurbazione di Istanbul si contano più abitanti che in qualsiasi altro stato balcanico e un terzo della popolazione della stessa intera penisola.
La regione che oggi corrisponde allo stato turco è sempre stata un luogo di scambi economici, culturali e religiosi, ponte e collegamento terrestre tra Oriente e Occidente, un paese dell’Asia con una piccola porzione in Europa, posto al crocevia degli assi Russia-Mediterraneo e Balcani-Medio Oriente, posizionato al termine dell’antica Via della Seta e oggi sul percorso di oleodotti di importanza strategica. Questo è, essenzialmente, il motivo della sua crescita geo-strategica, anche in conseguenza degli avvenimenti politici che stanno scuotendo la politica internazionale con la guerra russo-ucraina, il Medio Oriente sempre instabile, il mercato degli idrocarburi o le tensioni legate al problema idrico.
La Turchia moderna fu fondata su impulso di Mustafa Kemal Atatürk nel 1923 sulle rovine dell’Impero Ottomano, sconfitto dopo la Prima guerra mondiale e è stata funestata dai genocidi armeno, assiro e greco-pontico. È una repubblica parlamentare, laica, unitaria e costituzionale e dal 1945 non ha mai interrotto un cammino di avvicinamento all’Occidente aderendo, ad esempio, alle organizzazioni di cooperazione come la NATO, l’OCSE, l’OSCE, il Consiglio d’Europa o il G20.
In particolare, la Turchia ha presentato dal 1987 domanda di adesione alla Comunità Economica Europea (CEE), l’attuale Unione Europea, con la quale ha concluso nel 1995 un accordo di unione doganale, in vigore dal 1996. I negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea sono ufficialmente iniziati nel 2005, con andamento altalenante dei capitoli negoziali, a causa della questione cipriota, anche se l’UE rimane il principale partner commerciale della Turchia, rappresentando il 41% delle sue esportazioni e il 32% delle sue importazioni nel 2020. Nello stesso anno, tuttavia, la Cina è diventata il principale fornitore del paese con 23 miliardi di dollari di importazioni, davanti alla Germania con 21,7 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, la Turchia ha saputo mantenere legami privilegiati con i paesi a maggioranza musulmana, come con il Medio Oriente e l’Asia centrale, partecipando in particolare all’Organizzazione dei Cooperazione islamica, all’Organizzazione per la cooperazione economica e degli Stati turchi[1].
La Turchia si trova dunque al crocevia tra il Medio Oriente, il Caucaso e l’Europa sud-orientale, una situazione privilegiata che le consente di controllare l’accesso a uno spazio definito come “un’ellisse strategica di risorse energetiche” (Kemp, Harkavy, 1997).

La costruzione transnazionale
Per comprendere le complessità attuali e il ruolo sempre più emergente della Turchia in campo geopolitico, può offrire interessanti chiavi di interpretazione esaminare le due scale di spazio e di tempo: dal VI al XXI secolo i popoli turchi hanno percorso, nel lungo periodo storico[2], una traiettoria che li ha condotti dall’Asia centrale all’Europa occidentale e che ha trasformato un popolo nomade e conquistatore in uno imperiale, un popolo originariamente caratterizzato dalla migrazione in uno che nell’epoca recente si è ancorato al territorio nazionale, corrispondente alla penisola anatolica. I popoli nomadi con strutture claniche e tribali sono così diventati, un millennio e mezzo dopo il loro arrivo, una nazione che ha costruito il proprio Stato territorializzato, con minoranze etniche in altri Stati-nazione (Russia, Iran, Iraq, Cina), e nuovi Stati-nazione dalle strutture linguistiche e culturali turche (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan).
Per rendere conto di questo fenomeno spazio-temporale di popoli che hanno conosciuto numerose mutazioni, ma che hanno conservato durante tutto il processo della loro evoluzione un nocciolo duro di identità e di continuità e per comprendere la logica territoriale turca, occorre dunque risalire agli imperi della steppa e alla vasta area linguistica turco-mongola eurasiatica. Si tratta di un “grande caso di espansione linguistica”(Bazin, De Tapia, 2012) il cui filo conduttore è costituito dalle migrazioni di conquista, dalla fondazione di stati imperiali più o meno effimeri, dall’aggregazione di vari gruppi etnici attorno a dinastie rivali turche o mongole.
L’unica dinastia che sopravvisse alle altre fu quella degli Ottomani.
Il mosaico delle popolazioni
In questo fenomeno spazio-temporale di popoli che hanno conosciuto numerose mutazioni, si può osservare una logica territoriale: al posto di un nucleo centrale a lungo termine (si pensi agli Stati europei), esiste un asse eurasiatico est-ovest attraverso le steppe, dall’Asia centrale all’Anatolia, lungo il quale le tribù nomadi turche e turkmene, seguite dai turchi ottomani, migrarono e progredirono in modo conquistatore. Tra il VII e il XVII secolo, per un millennio, edificarono vari sultanati, emirati o imperi, dominando diversi popoli prima delle loro conquiste.
Questo asse è proseguito nella direzione occidentale nel XX secolo dal campo migratorio di tre-quattro milioni di migranti economici turchi, che oggi costituiscono una “comunità transnazionale” turca nell’area europea e nei paesi arabi produttori di petrolio (Arabia Saudita, Emirati del Golfo Arabo-Persico, Libia). Si tratta di un fenomeno puramente migratorio, di origine economica o più raramente politica (legata al diritto d’asilo), di natura completamente diversa rispetto alle “invasioni” o conquiste avvenute in precedenza a lungo termine.
Il collegamento tra lo spazio della penisola anatolica, in gran parte turca, e gli spazi vicini che circondano questo territorio, è stato a lungo facilitato e talvolta anche favorito dalle popolazioni non turche. I Greci sono stati a lungo, e sono ancora in parte, la popolazione presente sulle coste del Mediterraneo (arcipelago dell’Egeo e Cipro), del Mar Nero (Greci del Ponto) e nei Balcani. I Greci, dopo essere stati con l’impero bizantino e fino all’XI secolo il popolo politicamente e culturalmente unificante dello spazio anatolico, divennero fino al 1923 l’etnia maggioritaria solo lungo le coste dell’Asia Minore. Gli armeni e i curdi erano i due popoli della montuosa Anatolia orientale, mentre i bulgari hanno svolto, invece, un ruolo più limitato e spazialmente meno esteso nella Tracia orientale accanto ai greci, così come i Laz[3] o Lazi, al confine del Ponto e nel Caucaso georgiano, e gli arabi ai piedi del Tauro, in Cilicia fino a Diyarbakir.
Nel passato questi popoli svolsero, in un tempo più o meno lungo, il ruolo di intermediari con le potenze imperiali che agivano e/o minacciavano lo Stato ottomano e poi turco: si trattava della Russia a est, del mondo arabo a sud-est, delle potenze mediterranee a ovest, con le Repubbliche di Genova e Venezia, con la Francia e l’Inghilterra.
La costituzione dello Stato-nazione turco, su iniziativa dei Giovani Turchi del Comitato dell’Unione e del Progresso e poi dei kemalisti, espulse e massacrò alcuni di questi popoli e stabilì con loro un rapporto di ricorrente confronto-tensione, in particolare con armeni, bulgari, greci, curdi provenienti dall’Iraq, dall’Iran e dalla Siria, arabi dalla Siria. Gli unici ad avere un rapporto duraturo e pacifico, senza scontri episodici, sono stati i Laz i meno numerosi e soprattutto i più vicini culturalmente e politicamente ai turchi.
Le cinque interfacce territoriali della Turchia
A distinguere le singolarità geostoriche descritte, permangono ancora e si possono individuare ben cinque “interfacce”( Bruneau, 2015) con le aree vicine, marittime o continentali, che ne definiscono le periferie. Con interfaccia ci si riferisce ad una terminologia presa in prestito dall’informatica, che indica ciò che agisce da elemento comune, in parte di separazione e in parte di collegamento. I punti di collegamento territoriali sono e sono stati luoghi o spazi di scambi, migrazioni e confronti: popolazioni, commerci, influenze culturali, confronti militari… I flussi avvenivano in entrambe le direzioni, dall’esterno all’interno e viceversa.
La prima interfaccia è rappresentata dal mare: il Mediterraneo orientale, il Mar Egeo, il Mar Nero (Ponto Eusino nell’antichità) e il Mar di Marmara (Ellesponto o Propontide) collegati da due stretti, i Dardanelli a sud-ovest e il Bosforo a nord-est. Si tratta di un’area aperta a scambi e migrazioni attraverso il Mediterraneo (dalla Spagna e dalle Repubbliche di Venezia e Genova) e il Mar Egeo (con la Grecia e l’Impero Romano). È uno spazio da tempo greco ed ellenizzato, in simbiosi con l’arcipelago dell’Egeo. Nei secoli XVIII e XIX, fu lo spazio attraverso il quale passavano i commerci e le influenze europee, in particolare dal porto di Smirne (oggi Izmir), luogo di comunicazione tra l’Anatolia e il Mediterraneo fin dal XVI secolo, ma che si sviluppò soprattutto nel XIX secolo grazie ad una rete ferroviaria che portava i prodotti agricoli dall’interno della penisola e dalla regione dell’Egeo. Le popolazioni greche furono drammaticamente espulse e scambiate con la Grecia (nel 1923), mentre qui si stabilirono profughi musulmani provenienti dai Balcani e dalla Grecia, dalla Macedonia e Creta in particolare.
La seconda interfaccia è rappresentata dalla Tracia orientale con i Balcani: il confine con la Grecia e la Bulgaria con la città di Edirne, centro di frontiera ed ex capitale dell’impero. Questo è ciò che resta dell’area balcanica dell’Impero Ottomano e in questi luoghi le popolazioni greche e bulgare della Tracia orientale furono espulse e sostituite da profughi musulmani provenienti dai Balcani e dal Caucaso. Questo spazio è stato ricomposto per diventare uno spazio di frontiera sicuro della Turchia tra il 1914 e il 1923 ed è contraddistinto dalla presenza della città di Istanbul, cosmopolita nelle radici storiche.
A nord, l’interfaccia del Mar Nero e del Caucaso è uno spazio sia marittimo sia continentale, in contatto in passato con gli imperi ottomano e russo. Quest’ultimo conobbe un’espansione, a scapito di quello turco, dal XVIII all’inizio del XX secolo che si estese fino al XVII secolo in tutto il Mar Nero, con scontri militari ricorrenti. La conquista russa della Crimea e del Caucaso respinse gran parte delle popolazioni musulmane che vi abitavano come tartari, circassi, abkhazi, ceceni, che andarono a rifugiarsi nell’impero ottomano, mentre la Russia attirò le popolazioni cristiane ottomane, soprattutto greci e armeni, per ripopolare questi territori: ciascuna delle guerre russo-turche portò queste popolazioni a seguire l’esercito russo nella sua ritirata, fino al 1918.
Tra l’impero russo e quello ottomano giocarono un ruolo fondamentale alcune popolazioni: i Laz, gli armeni e i greci del Ponto. Le province di Kars e Ardahan, occupate dalla Russia per quarant’anni (1878-1918), da cui erano partite le popolazioni musulmane, erano uno spazio intermedio, conquistato dagli Ottomani con la Pace di Brest-Litovsk. Oggi il confine è aperto con la Georgia e chiuso con l’Armenia. In questa interfaccia, la città di Trebisonda (Trabzon) ha giocato fino al XIX secolo il ruolo di collegamento tra la Persia, il Caucaso, l’Armenia e le coste russe o balcaniche del Mar Nero, nonché in direzione di Istanbul/Costantinopoli.
Nell’interfaccia a Oriente si trovano barriere e confini montuosi: il Tauro, l’Anti-Tauro, le Alpi Pontiche, l’Anti-Caucaso, le montagne dell’Armenia che prolungano gli Zagros. Il confine con l’Iran risale ad un tempo molto antico, consolidato tra gli imperi romano, bizantino e ottomano da un lato e la Persia dall’altro, mentre il confine con l’Iraq fu stabilito dopo la Prima guerra mondiale. Questo è anche il territorio molto montuoso e frammentato dei curdi, il Kurdistan, collocato su entrambi i lati di questo confine. Le province di Van, Bitlis e Hakkari contavano molti armeni vittime del genocidio del 1915-16 e negli ultimi tempi è stato uno spazio di tensione, di confronto con i curdi e tra Turchia e Armenia.
A sud-est si trova, infine, l’interfaccia con il mondo arabo, oltre il Tauro e l’Anti-Tauro. La pianura della Cilicia, le province di Gaziantep e Diyarbakir a est e il territorio di Antakya a sud, sono popolate da curdi, siriaci, caldei insieme ad arabi musulmani e turchi. Questo spazio al di sotto delle catene montuose e la loro estensione è una zona bassa semiarida di colline, spalti e pianure alluvionali attraversata dal Tigri e dall’Eufrate in continuità con la Siria. Il confine di lunga data con l’Anatolia era la catena montuosa del Tauro e dell’Anti-Tauro, che non fu mai attraversata in modo permanente dagli arabi. L’Impero bizantino vi aveva stabilito fortezze difese dai suoi Akriti[4] contro i guerrieri arabi. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano, è tornata ad essere una zona di confine tra Turchia e Siria, con il sangiaccato di Alessandretta attribuito per un periodo alla Siria sotto mandato francese (1918-1939). Dal 2011 a oggi vi si affollano in emergenza umanitaria continua i profughi della guerra civile siriana e la crescente città di Gaziantep svolge sempre più il ruolo di contatto tra la Turchia e il mondo arabo, in particolare quello siriano.
Le eredità geostoriche
Questa rappresentazione geostorica delle interfacce, modellata dal territorio nazionale turco e sui suoi rapporti con le aree limitrofe, vorrebbe illustrare come le interazioni di durata più o meno lunga con aree culturali e paesi confinanti svolgano un ruolo fondamentale nella comprensione della contemporaneità.
Il mondo arabo, dall’Iraq alla Siria, non è mai stato in grado di esercitare un’influenza significativa e duratura oltre il Tauro. D’altronde la Persia, situata sulla traiettoria eurasiatica dei turchi, era il passaggio obbligato per chi desiderava stabilirsi in Anatolia. Tabriz ha incanalato a lungo i flussi migratori, di commercio e cultura tra Persia e Turchia attraverso il popolo turco degli Azeri.
Va sottolineato che oggi ai paesi dell’Asia centrale la cooperazione con la Turchia e le aziende turche consente di evitare un’eccessiva dipendenza dalla Russia. Infine, lo Stato d’Israele ( la Turchia è il primo Stato a maggioranza musulmano a riconoscere la legittimità dell’esistenza della nuova entità geopolitica nel 1949) nel cuore del mondo arabo, che ha attirato una parte notevole degli ebrei ottomani in particolare quelli della Tracia orientale e dell’Anatolia, è con la sua potenza militare un partner importante della Turchia, che non può prescindere dal problema palestinese.
La Turchia deve dunque fare i conti con tre grandi gruppi geostorici che hanno esercitato una forte influenza e/o pressione nel lungo termine: Russia, Iran, mondo arabo.
A ovest deve confrontarsi anche la Grecia che, pur di dimensioni demografiche e peso economico inferiori rispetto alle precedenti e alla stessa Turchia, controlla l’intero bacino dell’Egeo. Essendo molto vicina, per via del suo arcipelago, alle coste turche, è presente anche militarmente con il suo alleato cipriota. Sebbene abbia solo 11 milioni di abitanti rispetto alla Turchia, la cui popolazione supera i 75 milioni e il cui PNL è più di tre volte maggiore, la Grecia mantiene la capacità di bloccare e causare danni all’interfaccia marittima mediterranea della Turchia. Difatti il problema della piattaforma continentale e del controllo dello spazio aereo al confine tra i due Paesi ha più volte generato tensioni, nonostante entrambi siano membri della NATO.
La combinazione delle due scale di spazio e di tempo permette di comprendere meglio quanto la Turchia sia ancorata ad un passato imperiale e a un nomadismo conquistatore, che ha comportato una grande mobilità delle sue popolazioni. La relativa omogeneità etno-nazionale, acquisita solo nella prima metà del XX secolo, al costo di una politica demografica molto costosa in vite umane, costituisce un’eccezione nella regione anatolica centrale e rischia costantemente di indebolirsi nelle interfacce descritte, testimonianze del passato multietnico ottomano, così come nella comunità transnazionale turca europea, in cui le identità minoritarie, troppo spesso non riconosciute in Turchia, possono più facilmente affermarsi. Dunque, i movimenti diplomatici dell’attuale presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan (al primo posto nella classifica dei “500 musulmani più influenti del mondo” stilata nel 2019 dal “Royal Islamic Strategic Studies Centre” con sede in Giordania) possono comprendere ragioni di ricerca di stabilità politica interna, oltre che di sviluppo economico.
(* geografa e docente)
[1] L’Organizzazione degli Stati turchi (Ost) è un organismo intergovernativo poco conosciuto che raggruppa membri di lingua turca (Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turchia e Uzbekistan) e alcuni osservatori (Ungheria, Turkmenistan e Cipro Nord). La guerra in Ucraina ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo dell’organizzazione e ha preparato il terreno per una più stretta collaborazione e integrazione tra gli Stati membri. La conclusione del conflitto è auspicata non soltanto per ragioni umanitarie, ma anche perché potrebbe porre le basi per un mondo turco stabile e integrato, che offrirebbe notevoli vantaggi agli attori europei, soprattutto per la presenza di vie alternative nei settori del trasporto e dell’energia (Limes, N°7,2023)
[2] La storiografia dei turchi attesta la presenza di popolazioni di lingua turca molto strettamente imparentate tra loro sui monti Altai ai confini della Siberia e della Mongolia dal V al VI secolo. Queste tribù turche si diffusero poi nell’Asia centrale (Turkestan russo e cinese) per fondarvi stati che a volte vengono chiamati imperi della steppa, simili a quelli fondati dai Mongoli.
[3] Gruppo etnico che vive principalmente lungo le regioni costiere di Turchia e Georgia sul Mar Nero.
Tra le principali tribù dell’antico regno di Colchide, i Laz furono inizialmente cristiani ortodossi, ma la maggior parte di loro si convertirà all’islam sunnita durante il dominio ottomano del Caucaso nel XVI secolo.
[4] 𝘈𝘬𝘳𝘪𝘵𝘢 indica tanto i semplici abitanti che i soldati posti di guardia alle frontiere, e potrebbe infatti essere tradotto semplicemente come “soldato di confine”.
Il nome deriva dalle 𝘢𝘬𝘳𝘢𝘪, le “zone estreme”, intese sia come passi di montagna che le aree più lontane, verso il nemico.