di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
La fiera di Sant’Antonio in Chiavari rappresenta un importante frammento di storia, una pagina fondamentale per ricostruire intere cronache della nostra comunità, un episodio capace d’illustrare la fondazione medievale della città.
In quell’angolo dell’oppidum del XII secolo, più precisamente nel corrente compreso tra la centrale Porta della Marina e il Bastione Ovest, erano in sequenza tre oratori: il centrale era dedicato al culto e alle pratiche sanitarie di Sant’Antonio.
Il culto si svolgeva nell’oratorio, sede di diverse confraternite che si alternarono nei secoli, le cure sanitarie nell’annesso Hospitale, in particolare per la cura dell’ignis sacer, il fuoco sacro o fuoco di Sant’Antonio: malattia a tutti gli effetti sociale, causata dall’uso costante, nell’alimentazione della segale cornuta, cereale contaminato dall’ergot, un fungo capace di scatenare un male non curabile in quel tempo.
Sin dal XII secolo sono documentate diverse funzioni religiose, pratiche collettive che coinvolgevano l’intero territorio, in occasione della festività del 17 gennaio, nel grande spazio dinanzi alla Porta della Marina (l’attuale Piazza Nostra Signora dell’Orto) si radunavano tutti gli animali del circondario per la tradizionale benedizione. La liturgia derivava dalla rappresentazione iconografica di Antonio, sempre circondato da animali, in particolare dal maialino. In realtà, come ci racconta Jacopo da Varagine nella Leggenda Aurea, si trattava del diavolo che tentava il Santo durante le sue meditazioni e si presentava sotto ingannevole immagine zoomorfa.
Se pensiamo a questo grande raduno del mondo contadino e pastorale del territorio, con le cronache del tempo che illustrano gli animali bardati con fiori e nastri, ordinati nei loro basti e inquadrati per la funzione della benedizione, non è difficile pensare alla scena immediatamente successiva. Terminato l’ufficio iniziavano infatti gli scambi, le vendite dei capi, in particolare dei maialini da ingrasso: insomma la fiera.
Raccogliendo testimonianze etnografiche, in particolare nelle vallate retrostanti Chiavari, si trova conferma diffusa di questa pratica: il giorno di Sant’Antonio si scendeva alla fiera per acquistare il maialino. Specie nelle comunità più interne, era usuale l’acquisto su commissione, vi erano infatti dei mulattieri che scendevano a valle per provvedere a tale compito. Questo dato è confermato nei dati statistici del Comizio Agrario di Chiavari, dove, nei rilievi numerici, è rilevato il maiale e il suo allevamento in tutto il territorio.
La Fiera, da sempre riportata nei quadri organizzativi più antichi, si ripeteva per ben tre giorni e, nella sua evoluzione commerciale, si ampliò poi nell’offerta delle produzioni, in particolare negli attrezzi e i prodotti per l’agricoltura. Sui banchi si trovavano tutte le tipologie di zappe, dalle piane, ai bidenti e tridenti, i marassi per il taglio delle ramaglie e tutto ciò che riguardava le seminagioni e l’orticoltura.
In questo mondo si inseriranno diverse figure che approfittavano dell’evento e della grande partecipazione popolare, figure capaci di richiamare l’attenzione e ricavarne qualche soldo, guadagni spesso al limite tra legalità e frode.
Nel Libro dei Vagabondi, Speculum Carretanorum, ritroviamo ben documentate queste figure: dai saltimbanchi ai cantastorie, dagli orsanti agli scimmiari, dai ghitti ai batti birba, il mondo della furfanteria era rappresentato in tutte le sue tipologie. A Chiavari, in tempi diversi, troviamo questo settore della fiera raccolto in aree specifiche, nei pressi dell’attuale piazzale Moretti, nell’areale di piazza Ravenna, dinnanzi alla chiesa di San Francesco. Ognuno richiamava l’attenzione dei passanti e, dopo qualche esibizione o intrattenimento, scattava la richiesta di denaro. Si chiedeva qualche soldo per solidarietà per qualcuno cui era bruciata l’intera casa, oppure si offriva un’ampolla di vera acqua di Lourdes, o il foglio volante con una canzone, o una crema di serpente antidoto ad ogni dolore.
Venne poi il giorno in cui la fiera e le sue tradizioni si trovarono a cozzare con il correre dei tempi: la città bloccata per tre giorni sollevava pesanti critiche, commercianti e residenti lamentavano i disagi ai quali erano sottoposti, così iniziarono le restrizioni, gli spostamenti verso aree che non creassero fastidi. Le modifiche portarono progressivamente alla diminuzione dei giorni e allo spostamento del calendario, oggi rimane il fine settimana più prossimo al 17 gennaio.
Tutto è cambiato, non esiste più il mondo di quel tempo lontano, il frenetico cammino del rinnovamento tutto ha cancellato lasciando la sola nostalgia, tra i tanti banchi allineati davvero pochi i prodotti del tipico mondo fieristico. Chi vuole ritrovare una conferma storica, preziosa e caratterizzante per la comunità di Chiavari, può soffermarsi ad ammirare il bassorilievo di via Rivarola, dove nell’ardesia nera del XV secolo rileggiamo l’evoluzione dei santi che hanno rappresentato Chiavari, e tra questi, con l’immancabile maialino, Sant’Antonio.
Sono circa ottocento anni che il 17 gennaio segna una giornata particolare per i chiavaresi, ma il futuro della fiera è segnato da un velocissimo cambiamento. Forse un domani non lontano finirà su Internet.
(* storico e appassionato studioso di tradizioni locali)