Il Mary-Jo è un bar del lungomare di Chiavari diventato famoso tra i giovani perché da più di dieci anni centinaia di loro vi si ritrovano per trascorrere insieme la notte del 24 dicembre.
L’appuntamento è divenuto nel tempo sempre più importante e il concorso di folla è così imponente da rendere di fatto obbligatoria la chiusura della pubblica via.
La particolarità e l’interesse dell’evento stanno nel fatto che, nella notte di Natale, convergono al Mary-Jo non solo i giovani stanziali, ma anche moltissimi altri che, durante l’anno, non hanno l’opportunità di incontrarsi.
Molti di loro, infatti, vivono e lavorano fuori dalla Liguria e alcuni anche all’estero, e ritrovano amici e conoscenti solo in occasione delle vacanze natalizie.
Nuovi emigranti di una terra che da secoli ha l’emigrazione nella sua tradizione e che oggi, dopo aver formato giovani capaci e talentuosi, li perde per la cronica incapacità di creare impresa e posti di lavoro e di trattenere sul territorio le nuove generazioni.
Ciò che colpisce della vicenda di questi ragazzi è la loro età e l’importanza delle cose che fanno fuori da Chiavari e dal Tigullio. Vediamo insieme alcune di queste storie.
Alice, 30 anni, lavora come pubblicitaria di un marchio mondiale a Portland (Oregon, USA).
Davide, 28 anni, ha un PhD in fisica e fa il ricercatore all’Università di Valencia (Spagna).
Dario, 33 anni, fa il broker marittimo a Montecarlo.
Manu, 28 anni, fa il musicista a Milano.
Tommy, 25 anni, ha girato il mondo occupandosi di consulenze nel campo del food and beverage e oggi lavora in Spagna.
Stefano, 28 anni, lavora come esperto di marketing a Milano in un’azienda specializzata nel marketing dell’automotive.
Francesca, 29 anni, è sommelier in un importante ristorante di Torino.
Andrea, 33 anni, fa ricerca nel campo delle cellule staminali all’Università di Montreal.
Paolo, 38 anni, fa il banker a Londra.
Marco, 28 anni, studia al conservatorio ad Amsterdam.
Guia, 29 anni, è architetto a Londra.
Giorgio, 30 anni, fa il chirurgo a S.Francisco.
Alberto, 29, fa l’editore a Torino.
Sofia, 24 anni, fa la ballerina classica a New York.
Danilo, 29 anni, fa il traduttore a Berna.
Giulia, 31 anni, è biologa ricercatrice all’università di Liverpool.
Alessandro, 30 anni, è matematico a Barcellona.
Francesco, 29 anni, fa lo chef a Los Angeles.
E questa è solo una lista parziale, dei primi nomi che vengono alla mente, e che certamente lascia fuori tantissimi ragazzi che lavorano e si fanno apprezzare fuori dai confini chiavaresi.
Le storie di questi ragazzi provocano sentimenti contrastanti. Da un lato, sincera ammirazione per ciò che stanno facendo e per la capacità che dimostrano di saper vivere e crescere in contesti nazionali e internazionali basandosi esclusivamente sulla loro forza ed intelligenza, così com’è richiesto dall’economia della globalizzazione, sempre più competitiva ed esigente. Le loro vicende testimoniano tra l’altro che gli istituti da cui provengono, i licei e gli istituti tecnici di Chiavari, sono scuole di tutto rispetto.
D’altro canto, vedere questo esodo crea preoccupazione e tristezza perché l’andar via di questi ragazzi, il loro lasciare il territorio in cui sono nati e cresciuti, significa che il territorio stesso non ha saputo dare loro occasioni di lavoro e di crescita.
E così come i loro antenati, stremati dalla fame, prendevano con i piroscafi la via del mare soprattutto verso le Americhe, i nostri ragazzi, confondendosi negli immensi flussi aerei dell’era globale, se ne vanno da Chiavari e lasciano una città è una regione in declino attratti dalle luci di Milano, dell’Europa, del mondo.
Grazie alla facilità di spostamento della nostra era, tornano la notte di Natale a raccontare le loro vite ai compagni che sono rimasti, e che li ascoltano un po’ trasognati, in molti sperando di imitarli e di raggiungerli.
Un Paese incapace di trattenere le giovani generazioni e i tanti talenti che in esse abbondano è un Paese destinato a un duro e inesorabile declino. Investiamo molto sulla formazione di ragazzi ricercatissimi in altre nazioni che li impiegano e li valorizzano senza aver speso su di loro un soldo in formazione, mentre per noi questo si trasforma in un danno economico gigantesco.
L’unico modo per riportarli a casa è tornare a crescere offrendo loro lavoro e opportunità, creando occasioni di incontro e di scambio, promuovendo start up, incubatori ed imprese capaci di attrarli ed ancorarli al territorio.
Purtroppo niente di tutto questo è previsto nella legge di bilancio, che guarda soprattutto al passato mettendo miliardi per chi vuole andare in pensione a 62 anni, e niente per il futuro: università, ricerca, formazione, start up. (A proposito di questo, dopo aver strombazzato provvedimenti miliardari, la montagna ha partorito il topolino di 30 milioni di euro per i prossimi 3 anni).
E’ la cultura della cosiddetta ‘decrescita felice’.
Quella della decrescita è una cultura apocalittica, ma Gesù di Nazareth la notte di Natale è venuto tra noi per sconfiggere l’apocalisse e i suoi demoni.
Buon Natale a tutti!