(r.p.l.) Costruire uno spazio economico euro-americano oppure virare verso l’America First di Donald Trump? In ballo alle prossime elezioni presidenziali c’è anche la stabilità dell’economia italiana ed europea che potrebbe dover affrontare una nuova stagione di dazi e chiusure.
Quali sono le differenze nel piano economico di Biden e di Trump? Stavolta in ballo non ci sono soltanto politiche fiscali o la spesa pubblica, ma una questione nodale: la globalizzazione può avere un futuro, sia pur in una versione riveduta e corretta rispetto ai primi anni Duemila, oppure il mondo è destinato a una nuova stagione di chiusure e di visioni contrapposte che si ripercuoteranno soprattutto sulle tasche della classe media a livello globale?
Di questo discuteranno insieme il prossimo 24 aprile, alle ore 18 presso la sede della Società Economica di Chiavari, Antonio Gozzi, nostro editore e presidente di Federacciai, e Carlo Stagnaro, direttore delle ricerche e degli studi dell’Istituto Bruno Leoni, già capo della segreteria tecnica del Ministero dello Sviluppo economico. A moderare l’incontro, organizzato da ‘Piazza Levante’ e a ingresso libero, sarà Matteo Muzio, giornalista e ideatore della piattaforma ‘Jefferson-Lettere sull’America’. Prenotazioni sulla piattaforma Eventbrite (cliccando qui) o telefonando in orario ufficio al numero 347 2502800.
In queste prossime elezioni americane, nonostante l’importanza di temi come immigrazione, geopolitica, aborto e le cosiddette ‘culture wars’, l’economia si conferma come un argomento di primaria rilevanza nella campagna elettorale. Analizzando i dati, il presidente Joe Biden può vantare alcuni successi notevoli, che possono essere sintetizzati come “due missioni compiute e mezza”, secondo gli analisti.
La prima missione compiuta è l’aver guidato il paese fuori dalla pandemia, con una ripresa economica più forte rispetto agli altri paesi sviluppati. Il prodotto interno lordo degli Stati Uniti è aumentato a un tasso annualizzato del 5,2 per cento nel terzo trimestre e del 3,3 per cento nel quarto trimestre del 2023.
Poi, durante la presidenza di Biden si è verificata una seconda “missione compiuta”, ovvero il fatto che l’inflazione sia tornata sotto controllo, realizzando un ‘soft landing’, un atterraggio morbido, senza innescare una recessione. Vi è un vivace dibattito su quali meccanismi abbiano prodotto il risultato, se il rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, l’attenuazione delle interruzioni della catena di approvvigionamento o altri fattori. Ma il fatto è che dopo aver raggiunto un picco del 9,1 per cento a giugno 2022, il tasso di inflazione negli Usa è sceso significativamente. Questi dati sono particolarmente rilevanti considerando che non solo non c’è stata una recessione, ma il mercato del lavoro è estremamente forte, con una disoccupazione stabilmente bassa intorno al 3,7 per cento e numeri record di occupati. Rispetto all’inizio della pandemia a febbraio 2020, l’economia Usa conta oggi quasi 5 milioni di posti di lavoro in più. Inoltre, nonostante l’inflazione, la crescita economica è stata accompagnata da aumenti dei salari reali, cioè aumenti dei salari nominali superiori agli aumenti dell’inflazione.
La “mezza” missione compiuta da Biden riguarda il riavvio degli investimenti pubblici in America, dopo decenni di stasi. Gli investimenti in infrastrutture, transizione ecologica e nel settore considerato strategico dei semiconduttori hanno rappresentato una componente importante della ‘Bidenomics’, insieme a politiche a favore dei sindacati dei lavoratori e azioni di protezione di consumatori e lavoratori contro il potere di mercato delle grandi imprese, anche attraverso una politica antitrust più aggressiva.
La missione è “mezzo compiuta” perché il Congresso diviso non ha consentito al presidente di realizzare tutto ciò che aveva in programma. Tuttavia, Biden si trova ad affrontare una percezione molto diversa nella popolazione. Importanti fasce di americani sono scontente della situazione economica. Un recente sondaggio di ‘Pew Research’ mostra che circa tre americani su dieci (28 per cento) attualmente valutano le condizioni economiche nazionali come eccellenti o buone, mentre una quota simile (31 per cento) afferma che sono cattive e circa quattro su dieci (41 per cento) le considerano solo “discrete”. A gennaio 2020, all’inizio dell’ultimo anno dell’amministrazione Trump, ben il 57 per cento degli americani considerava la situazione economica eccellente o buona.
Lo scollamento tra realtà e percezione è stato da alcuni battezzato “vibecession”, o recessione nelle “vibes”, cioè nelle “sensazioni” della gente. È difficile non associare queste percezioni con il giudizio negativo sul presidente Biden, considerando che attualmente solo il 33 per cento degli americani approva la sua presidenza, mentre il 65 per cento la disapprova. Il tasso di approvazione del presidente non supera il 40 per cento dall’aprile 2022.
